30.1.09

La tribù dei capi carismatici

Spinelli, Zagrebelsky e Zingales discutono sulla legalità: un dibattito organizzato da Micromega su la Repubblica, 30 gennaio 2009

Con le recenti inchieste che hanno coinvolto esponenti politici di rilievo del centro-sinistra è tornata prepotentemente di attualità nel nostro paese la cosiddetta "questione morale".

GUSTAVO ZAGREBELSKY - Prima di entrare nel vivo della discussione, desidero fare una premessa. In generale, nell’affrontare questi problemi, dobbiamo tenere conto della circostanza che la politica - da sempre, ab immemorabili - è un impasto potremmo dire di idealismi e di bassure, di idealismi e corruzione. Lo è forse intrinsecamente; quindi pensare che si possa avere una politica totalmente libera da corruzione rappresenta un caso di moralismo essenzialmente antipolitico. Da questa constatazione, però, non deriva che la corruzione debba essere accettata passivamente, anche perché, oltre un certo limite, essa è destinata a minare dall’interno il regime entro il quale si diffonde. Nel nostro caso, il regime democratico. Questa premessa mi pare necessaria. La corruzione politica non è uno scandalo "di sistema". Diventa invece uno scandalo "del sistema" se si diffonde fino al punto da diventare una sua regola costitutiva e da essere accettata come tale, senza che si manifestino reazioni o, peggio, che si manifestino reazioni non nei confronti della corruzione e di coloro che ne sono autori, ma nei confronti di coloro che la mettono a nudo, la denunciano, cercano di colpirla. Qui c’è una prima domanda alla quale dobbiamo tutti una risposta, quale che sia la nostra posizione nella società e nelle istituzioni: nel nostro paese, la corruzione la si combatte o la si copre?

Secondo punto. Si ritorna a parlare di "questione morale", ma siamo tutti d’accordo nell’intendere che cosa sia la "morale" nella questione morale? Non ne sono sicuro. Inutile dire che vi sono concezioni della morale quante sono le visioni del mondo e, per restare al nostro tema, quante sono le visioni della politica. La corruzione è una questione di contraddizione tra concezione della politica e azione politica. Se cambia la concezione della politica, azioni che in una concezione sono perfettamente "morali" possono non esserlo più, e viceversa. C’è una morale politica comune, ora, qui, nel nostro paese? Guardiamo i fatti: i medesimi comportamenti, presso gli uni, provocano riprovazione; presso gli altri, nessuna riprovazione, anzi talora consenso. Ad esempio: la confusione del privato nel pubblico e del pubblico nel privato per alcuni è una gravissima prova di disprezzo delle istituzioni; per altri, è una benefica forma di modernizzazione, sburocratizzazione, perfino avvicinamento delle istituzioni e della politica alla gente. Chi è "morale" e chi "immorale"? Dipende dai punti di vista. Se i punti di vista sono lontani, il discorso sulla necessità di una vita pubblica ripulita dalla corruzione - una questione che dovrebbe unire, nel nome di un interesse comune, superiore a quello delle parti - diventa semplicemente un’occasione, un pretesto per scambiarsi accuse. In conclusione: ciò che dovrebbe essere ripristinata è la visione comune, l’idea del vivere insieme. Come si può fare appello alla morale in un paese in cui l’evasione fiscale, uno dei comportamenti eticamente più condannabili secondo un’etica repubblicana, sia accettata addirittura come esercizio di un diritto o manifestazione di furbizia?

BARBARA SPINELLI - Partirei da quanto ha detto il professor Zagrebelsky a proposito della politica, che è sempre un impasto di idealismo e bassezze o di idealismo e forme di corruzione. È vero che il potere è qualche cosa che naturalmente corrompe. Come diceva lord Acton, "il potere corrompe, e il potere assoluto corrompe assolutamente". È un dato di fatto. Nella storia del liberalismo - prima ancora che cominciasse l’esperienza della democrazia - si è guardata in faccia questa realtà e da qui hanno avuto origine tutte le teorie del potere che va limitato o controbilanciato. Montesquieu dice l’essenziale quando afferma: "Perché non ci sia abuso di potere occorre che il potere fermi il potere": che cioè ci siano istituzioni, organismi che facciano da contrappeso. Da qui è nata poi la separazione dei poteri, e da qui è nato anche il quarto potere, quello della stampa, che è un altro potere chiamato ad arginare il potere.

Più avanti avremo modo di parlare di che cosa sia la morale in politica: sono convinta anch’io che essa sia la questione centrale nell’Italia contemporanea. Eugenio Scalfari ha spiegato d’altronde come lo sia quasi da principio, nella sua storia. La cornice fondamentale che impone un comportamento corretto in politica è però costituita sempre dalla possibilità che il potere fermi il potere. Solo la separazione dei poteri può garantire che la corruzione venga fermata, proprio perché il potere tende intrinsecamente a farsi assoluto e dunque a corrompere assolutamente, andando verso la crescente occupazione dello spazio pubblico da parte di singoli soggetti come i partiti, gli interessi particolari, e chiunque non abbia come obiettivo il bene comune o lo Stato, ma la promozione del proprio vantaggio e del proprio bene parziale. Chiunque parli di questione morale - o di giustizia che funzioni - in questo momento storico, nell’Italia di oggi, deve ormai preoccuparsi quasi sempre di spiegare che non è un moralista, che non è un giustizialista; così come deve sistematicamente spiegare, se difende la laicità, che non è un laicista. In questo momento, chi domanda comportamenti eticamente corretti in politica si trova in una posizione difensiva.

LUIGI ZINGALES - Tutto quello che è stato detto finora mi sembra giustissimo. Però prima ancora di una questione morale, io parlerei di una questione legale in Italia, che non interessa solo la politica ma anche il mondo degli affari. In Italia il delitto paga, e paga molto. Tanzi è stato condannato, però non si sa se andrà mai in galera, anzi è probabile che non farà nemmeno un anno di galera nella sua vita. Fiorani è in Sardegna che si diverte, fa la bella vita. In Italia praticamente nessuno va in galera qualsiasi cosa faccia. O meglio, in galera ci vanno solo i poveracci, perché non hanno un buon avvocato e non sanno tirare a lungo le cose.

ZAGREBELSKY - Naturalmente questione morale e questione legale sono strettamente legate. La legge è pur sempre un riflesso di un modo di concepire la vita sociale, secondo un punto di vista che è denso di contenuto etico, che rinvia a un’idea di vita buona, anche se è la legge più permissiva, più liberale del mondo. La libertà comporta un’etica della libertà. Ma in Italia la corruzione politico-amministrativa - e con questa alludo alla corruzione dei meccanismi della pubblica amministrazione come l’alterazione delle gare pubbliche, la compravendita di provvedimenti della pubblica autorità, insomma a tutti quei reati che hanno come vittime non singole persone concrete, ma la società nel suo complesso - viene considerata molto poco grave. Quando il soggetto passivo è "il pubblico", la coscienza etica si affievolisce. Sembra che ci sia un’idea pervasiva, che ha corrotto le nostre coscienze, secondo la quale ciò che è di tutti - ciò che è pubblico - per questo è di nessuno, non merita di essere difeso, può essere oggetto di spoliazione privata. E così da noi chi viene preso con le "mani nel sacco" sa di aver fatto, in fondo, ciò che molti altri, se ne avessero la possibilità, farebbero. Molte denunce, molte iniziative giudiziarie sono in realtà poco più che un omaggio ipocrita alla virtù. Ma basta lasciar passare un poco di tempo e tutto ritornerà come prima, anzi, in certi casi, peggio di prima. Quanti casi sapremmo indicare di persone incappate in "incidenti" giudiziari che ne sono usciti, in un modo o in un altro, rafforzati negli ambienti in cui operavano e continuano poi a operare?

Nel nostro paese i crimini dei "colletti bianchi" - come si diceva una volta - sono sostanzialmente impunibili, perché tra condoni, indulti, norme che accorciano i termini di prescrizione eccetera, è praticamente impossibile arrivare a sentenze di condanna e poi all’esecuzione delle sentenze. E questa, secondo me, non è causa di corruzione, ma conseguenza di un certo modo di vedere le cose, quando di mezzo c’è "solo" l’interesse pubblico. Ritorno al mio chiodo fisso: quando parliamo di morale, forse fra noi tre c’è un certo accordo sul modo di concepirla, ma nel nostro paese?

Barbara Spinelli faceva riferimento alla grande idea di Montesquieu del potere che arresta il potere, radicata nella convinzione che il potere è, in sé, corruttivo. Il potere corrotto, per Montesquieu, è quello troppo forte, smodato. I regimi sani, per lui, sono i regimi moderati. Ma questa è una, una soltanto, concezione della buona politica, una concezione liberale. Oggi hanno preso piede idee e pratiche politiche che Max Weber avrebbe definito carismatiche. Il capo carismatico, quello al quale i suoi adepti affidano fideisticamente le proprie sorti e dal quale si attendono tutto il bene possibile, non sa che farsi dei limiti, dei contropoteri eccetera. Li considera degli impacci, delle forme di corruzione del potere ch’egli vuole forte perché grande è l’attesa che gli adepti ripongono nel loro salvatore. Ecco, ancora una volta, la relatività dei punti di vista. Perfino l’imbroglio, la corruzione, il furto, il delitto, si giustificano quando la causa è grande e i leader carismatici non si accontentano di una piccola politica: vogliono il potere di fare tutto perché i fini che sbandierano sono grandi, storici, epocali, perché i nemici contro cui combattere sono potenti, pericolosi, subdoli. Perfino il "bossismo", la caricatura del regime carismatico (bossismo non nel senso di Bossi, ma del potere del "boss"), ha bisogno di ideali per giustificarsi e per giustificare l’uso spregiudicato di ogni mezzo possibile.
Nel nostro paese le reazioni all’illegalità sono così diverse proprio perché diverse sono le concezioni delle relazioni politiche e sociali alle quali - consciamente o inconsciamente - ci si ispira. Se si vuole, con una semplificazione, per l’una "il fine non giustifica i mezzi", mentre per l’altra, altrettanto classica, "il fine giustifica i mezzi".

La Repubblica (eddyburg)

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