31.10.13

Decadenza Berlusconi e voto palese, i tre errori di una scelta boomerang

di Stefano Cappellini (Il Messaggero)

La decisione della Giunta per le elezioni del Senato di rendere palese il voto in Aula sulla decadenza di Silvio Berlusconi è sbagliata, contraddittoria e controproducente. Decisione sbagliata, perché la rinuncia al voto segreto rappresenta una grave ferita ai principi del parlamentarismo.

Chiariamo subito: in ballo non c’è la valutazione sulla vicenda giudiziaria di Berlusconi, definita da una sentenza definitiva, né sulla sua decadenza, prevista da una legge dello Stato che stabilisce con chiarezza l’incompatibilità tra la condanna subita dall’ex premier e la sua permanenza sullo scranno di Palazzo Madama. In ballo c’è invece un pilastro della democrazia rappresentativa, e cioè la riservatezza del voto in alcune circostanze specifiche, tra le quali quella in questione, garantita per preservare l’inviolabile libertà dei parlamentari e tutelarla da ogni forma di pressione, ordine e condizionamento. Una libertà che non può essere discrezionale o sospesa a seconda delle circostanze e dei politici coinvolti nel voto, perché non si può violare un principio nemmeno in nome di un ”buon fine” o presunto tale.

Nulla c’entra la trasparenza invocata da qualcuno. La Costituzione prevede che i parlamentari esercitino il proprio ruolo «senza vincolo di mandato». In una democrazia parlamentare sono chiamati a rispondere ai cittadini delle loro scelte attraverso libere elezioni. Il problema, casomai, è che in questo Paese le elezioni sono diventate meno che libere, dal momento che a causa del famigerato Porcellum i parlamentari sono nominati d’ufficio. La scelta di farli votare in modo palese non è la rivincita della loro dignità e di quella del Parlamento ma, al contrario, il suo estremo svilimento: il trionfo finale della concezione che vuole deputati e senatori inquadrati e controllati dall’alto, come pretende Beppe Grillo (cui in questa occasione il Pd si è malamente accodato), e come propose lo stesso Berlusconi quando in passato avanzò l’idea che in Aula votassero i soli capigruppo.

Decisione contraddittoria, perché rappresenta un chiaro intervento contra personam, attuato dalla stessa parte politica che ha - giustamente, peraltro - rimproverato a Berlusconi di avere spesso utilizzato il potere legislativo in materia di giustizia per fini personali. Ma contraddittoria anche per un’altra evidente ragione. Le norme sono state cambiate solo perché a essere oggetto del voto del Senato è Berlusconi. Questo significa che è stato introdotto un criterio politico nella risoluzione di una questione giudiziaria. Eppure da mesi un ampio pezzo dell’attuale maggioranza si sta sgolando per ribadire che non può esserci alcuna interferenza tra le grane processuali del Cavaliere e il corso di governo e maggioranza. Ma a creare l’interferenza, ora, è proprio la Giunta del Senato confondendo i due piani, politico e giudiziario, e stabilendo che la decisione sulla decadenza di Berlusconi merita un trattamento straordinario.

Decisione controproducente, infine, almeno dal punto di vista di chi pensa che la stagione berlusconiana vada archiviata, perché questa forzatura mette in difficoltà proprio chi nel Pdl si sta muovendo, a fatica e non senza ambiguità, per affrancare il centrodestra dalla sorte personale di Berlusconi. Oltre a regalare un argomento alla propaganda dei falchi, la Giunta ha propiziato un compattamento intorno al leader decadente e alla sua pretesa - palese quanto il voto che esprimerà il Senato - di sottrarsi a una condanna passata in giudicato. voto