13.5.15

L’ipocrisia dell’Europa si chiama diseguaglianza

di Kenneth Rogoff (ilsole24ore)

L’emergenza dei migranti che sta vivendo l’Europa rivela un vizio di fondo, se non un’enorme ipocrisia, nell’attuale dibattito sulla disuguaglianza economica. Un vero progressista non sosterrebbe l’idea di pari opportunità per tutti gli abitanti del pianeta, anziché soltanto per quelli che hanno avuto la fortuna di nascere e crescere in Paesi ricchi?

Molti leader di pensiero nelle economie avanzate perorano la mentalità del diritto. Tale diritto, però, si ferma al confine, e anche se una maggiore redistribuzione della ricchezza all’interno dei singoli Paesi viene ritenuta un imperativo assoluto, le persone che vivono in Paesi emergenti o in via di sviluppo sono lasciate fuori.

Se le attuali preoccupazioni circa la disuguaglianza fossero espresse esclusivamente in termini politici, questo ripiegamento su se stessi sarebbe comprensibile; dopotutto, i cittadini dei Paesi poveri non possono votare in quelli ricchi. Invece, la retorica del dibattito sulla diseguaglianza nei Paesi ricchi tradisce una certezza morale che opportunamente ignora i miliardi di persone che in altre parti del mondo vivono in condizioni molto peggiori.

Non bisogna dimenticare che, anche dopo un periodo di stagnazione, la classe media nei Paesi ricchi, vista in una prospettiva globale, resta comunque una classe alta. Soltanto circa il 15% della popolazione mondiale vive in economie sviluppate. Eppure, i Paesi avanzati sono a tutt’oggi responsabili di oltre il 40% dei consumi globali e dell’esaurimento delle risorse. Aumentare le tasse sulla ricchezza è senz’altro un modo per ridurre la disuguaglianza all’interno di un Paese, ma non risolve il problema della povertà profonda nel mondo in via di sviluppo.

E neppure lo risolve appellarsi a una superiorità morale per giustificare il fatto che una persona nata in Occidente usufruisca di così tanti vantaggi. Senza dubbio, delle istituzioni politiche e sociali solide sono il fondamento di una crescita economica sostenuta, anzi rappresentano un ingrediente essenziale per la buona riuscita dello sviluppo.

Tuttavia, la lunga storia di sfruttamento coloniale dell’Europa rende difficile immaginare come sarebbero evolute le istituzioni asiatiche e africane in un universo parallelo in cui gli europei fossero arrivati solo per commerciare, non per conquistare.

Molte questioni politiche appaiono distorte quando si osservano con una lente che mette a fuoco solo la disuguaglianza interna di un Paese e ignora quella globale. L’affermazione marxiana di Thomas Piketty che il capitalismo sta fallendo perché la disuguaglianza nazionale è in aumento in realtà dice il contrario. Quando si dà lo stesso peso a tutti i cittadini del mondo, le cose appaiono sotto una luce diversa. Le stesse forze della globalizzazione che hanno contribuito alla stagnazione dei salari della classe media nei Paesi ricchi, altrove hanno affrancato dalla povertà milioni di persone.

La disuguaglianza globale si è ridotta negli ultimi tre decenni, il che implica che il capitalismo ha avuto un successo straordinario. Potrà aver eroso il livello delle rendite di cui i lavoratori nei Paesi avanzati godono in virtù dell’essere nati lì, ma ha fatto di più per aiutare i lavoratori a reddito medio, concentrati in Asia e nei mercati emergenti.

Consentire una più libera circolazione delle persone attraverso le frontiere bilancerebbe le opportunità in modo più rapido rispetto al commercio, ma un’ipotesi del genere incontra resistenza. I partiti politici anti-immigrazione hanno preso piede in Paesi come Francia e Regno Unito.

Certo, i milioni di disperati che vivono in zone di guerra e in Paesi falliti non hanno molta altra scelta se non chiedere asilo in un paese ricco, a prescindere dai rischi che ciò comporta. Le guerre in Siria, Eritrea, Libia e Mali hanno avuto un ruolo enorme nell’attuale impennata di profughi che cercano di raggiungere l’Europa. E se anche questi Paesi dovessero stabilizzarsi, l’instabilità di altre regioni si imporrebbe al loro posto.

Le pressioni economiche rappresentano un’altra forte spinta alla migrazione. I lavoratori dei Paesi poveri accolgono con favore l’opportunità di lavorare in un Paese avanzato, anche con salari da fame. Purtroppo, il dibattito in corso nei Paesi ricchi verte perlopiù, sia a destra che a sinistra, su come tenere gli altri fuori dai propri confini, una soluzione che potrà essere pratica, ma non è giustificabile da un punto di vista morale.

Inoltre, la pressione migratoria è destinata ad aumentare se il riscaldamento globale evolverà secondo le previsioni dei climatologi. Quando le regioni equatoriali diventeranno troppo calde e aride per sostenere l’agricoltura, nel Nord del mondo l’aumento delle temperature renderà invece l’agricoltura più produttiva. I mutamenti climatici potrebbero, quindi, incrementare la migrazione verso i paesi più ricchi fino a livelli che farebbero impallidire quelli dell’emergenza attuale, soprattutto tenuto conto che i paesi poveri e i mercati emergenti sono perlopiù ubicati in prossimità dell’equatore e in zone climatiche più vulnerabili.

Essendo la capacità di accoglienza e la tolleranza dei paesi ricchi verso l’immigrazione ormai limitate, è difficile immaginare di poter raggiungere in modo pacifico un nuovo equilibrio in termini di distribuzione della popolazione globale. Esiste, quindi, il rischio che il risentimento nei confronti delle economie avanzate, responsabili di una quota fin troppo sproporzionata d'inquinamento e consumo di materie prime globali, possa degenerare.

Mentre il mondo diventa più ricco, la disuguaglianza inevitabilmente si profilerà come un problema molto più vasto rispetto a quello della povertà, un’ipotesi che avevo già avanzato oltre un decennio fa. Purtroppo, però, il dibattito sulla disuguaglianza si è concentrato a tal punto su quella nazionale da oscurare il ben più grande problema della disuguaglianza globale. Questo è un vero peccato perché i paesi ricchi potrebbero fare la differenza in tanti modi, ad esempio fornendo assistenza medica e scolastica gratuita on-line, più aiuti allo sviluppo, una riduzione del debito, l’accesso al mercato e un maggiore contributo alla sicurezza globale. L’arrivo di persone disperate sulle coste dell’Europa a bordo di barconi è un sintomo della loro incapacità in tal senso.

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