16.2.16

L’ambiente «innesca» i geni. Così possono esplodere comportamenti antisociali

Le violenze sui bambini e le violenze da grandi
di Giuseppe Remuzzi (Corriere)

Geni o ambiente? Il solito problema mai risolto che questa volta si applica a chi ha subito violenza da piccolo. Questi bambini, dall’adolescenza in poi possono avere comportamenti antisociali e qualcuno diventa persino aggressivo o commette dei crimini. Non tutti però, molti di loro avranno una vita normale, socievoli o meno si capisce, ma come tutti gli altri.
Perché qualcuno di loro sì e qualcuno no? Non lo sa nessuno. Potrebbe dipendere dai geni di cui si sa qualcosa ma non tutto, oppure dall’ambiente, dai genitori per esempio o dalle persone che frequentano o dalla scuola e dalle possibilità economiche. Come orientarsi?
Provate a chiedere a un genetista, vi dirà quasi sicuramente che tutto dipende dal Dna; poi fate la stessa domanda a uno psicologo, vi risponderà che è tutta questione di ambiente, quello in cui questi ragazzi sono cresciuti. Insomma siete al punto di prima, chi ha ragione? Tutti e due almeno un po’. Il fatto è che per rispondere a domande così bisognerebbe aver studiato il problema in modo molto più approfondito di come è stato fatto finora. Ci vorrebbero dati su varie popolazioni di ragazzi e si dovrebbero poter confrontare quelli che hanno avuto un’infanzia felice con chi invece ha subito violenza e il comportamento di questi ragazzi poi andrebbe seguito nel tempo e lo si dovrebbe poter fare per un periodo abbastanza lungo. Difficile, ma non impossibile, tanto che ricercatori del Canada — il lavoro è pubblicato su «The British Journal of Psychiatry» di questi giorni — ci sono riusciti. Hanno preso in esame più di tremila ragazzi, la maggior parte di loro con una vita del tutto normale fin da piccoli, ma c’era anche chi aveva avuto un’infanzia difficile. L’obiettivo di tutto questo poi era di studiare l’influenza dei geni sul comportamento che i ragazzi avrebbero avuto negli anni successivi. I ricercatori non potevano certo studiare l’intero genoma — almeno 30 mila geni con interazioni estremamente articolate tra loro e sistemi di regolazione che rendono tutto ancora più complicato — perché mettere in rapporto una o più alterazioni genetiche con diversi comportamenti è più difficile che cercare l’ago nel pagliaio. Così hanno fatto riferimento a un lavoro precedente pubblicato su «Science» da un gruppo di psichiatri inglesi, americani e neozelandesi che aveva già dimostrato come i comportamenti antisociali di chi aveva subito violenza da piccolo dipendevano soprattutto da un gene che presiede alla sintesi di una proteina: monoaminossidasi A (MAOA) — si tratta di un enzima che degrada noradrenalina, serotonina e dopamina, ormoni che funzionano come «neurotrasmettitori», aiutano cioè i neuroni a dialogare fra loro e in questo modo governano emozioni, tono dell’umore ma anche depressione, rabbia e tanto d’altro.
Una volta deciso di concentrarsi su quel gene, il resto diventava più facile. Si trattava di mettere in rapporto certe variazioni (i medici dicono polimorfismi) del gene MAOA con il comportamento dei ragazzi nel tempo confrontando chi aveva subito violenza da piccolo con gli altri.
La prima informazione che viene fuori da questo studio — e non è di poco conto — è che essere esposti a violenza da piccoli aumenta davvero la probabilità di sviluppare con il tempo una personalità antisociale fino ad arrivare, per qualcuno di questi, a comportamenti aggressivi, in famiglia per esempio o con il partner. Fin qui non c’è niente di nuovo e ci si poteva arrivare con il buon senso, ma il rigore con cui è stato condotto questo studio e il tempo di osservazione così prolungato ci consentono oggi di avere qualche certezza in più.
Un’altra informazione importante che emerge dallo studio canadese è che la variazione del gene MAOA, proprio quello identificato più di dieci anni fa su «Science», influenza in modo importante l’eventuale comportamento antisociale di chi ha subito violenza da piccolo. Questo polimorfismo ce l’ha il 30 per cento della popolazione e sono proprio i portatori di questa variazione ad avere alla lunga le maggiori difficoltà di rapporto con gli altri.
Ma l’informazione forse più importante che emerge da questo studio è che la variazione genetica da sola non basta a scatenare comportamenti antisociali. L’effetto negativo dell’alterazione genetica sul comportamento si esprime solo in contesti molto particolari che configurano di fatto circostanze ambientali sfavorevoli. Così la domanda che c’eravamo posti all’inizio (vale per questo ma per tantissime altre condizioni in cui ci si interroga sull’influenza dei geni rispetto all’ambiente) andrebbe posta in un altro modo: «Com’è che l’ambiente può modificare l’espressione o la funzione di certi geni?». Più si studia e più ci si rende conto che non ci sono comportamenti che dipendono dai geni e comportamenti che dipendono dall’ambiente. Ci sono piuttosto predisposizioni genetiche che consentono in circostanze ambientali particolari di sviluppare certi comportamenti piuttosto che altri. Ed è vero anche il contrario. Capita che l’ambiente possa influenzare attraverso modifiche che i medici chiamano epigenetiche, l’espressione di certi geni e questo si traduce in comportamenti diversi a seconda delle circostanze.
Insomma, nel caso dei bambini che hanno subito violenza da piccoli non bastano i geni per sviluppare comportamenti antisociali e altre forme di labilità psichica: ci vogliono circostanze ambientali sfavorevoli. Il termine «ambiente» però è un po’ vago. Il passo successivo rispetto allo studio del «British Journal of Psychiatry» sarà quello di capire quali sono queste circostanze ambientali sfavorevoli e come si possono prevenire i comportamenti antisociali ed eventualmente aggressivi. E non è solo una curiosità; il giorno che riusciremo a capirlo la vita di questi ragazzi potrebbe cambiare.

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