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7.3.05

Omicidio preventivo

ROSSANA ROSSANDA

Non ho mai creduto ai servizi di sicurezza per il troppo potere che hanno e le immunità di cui godono: il dubbio sulla loro stessa utilità era la sola opinione che abbia condiviso con Indro Montanelli. Ma la realtà è più complessa delle supposizioni. Ci sono uomini integri in istituzioni dubbie e viceversa, e devo scusarmi di avere sospettato e scritto, durante il sequestro di Giuliana Sgrena, che i nostri servizi nulla sapevano e stavano facendo. Invece anche nel governo era prevalsa, e per la seconda volta, la scelta della trattativa; che sia avvenuto per un'etica dei doveri o per opportunità politica, l'importante è che sia prevalsa. A un pugno di uomini dei servizi e a chi li dirigeva dobbiamo Giuliana viva e libera. Viva malgrado la tempesta di fuoco che da un blindato americano ha colpito inaspettatamente l'auto dei servizi che la trasportava all'aeroporto. E colpiva per uccidere. Dei tre agenti uno, il dottor Calipari, è perito gettandosi sulla nostra compagna per proteggerla, due sono feriti, Giuliana stessa è stata colpita di striscio. Non è un incidente. Nelle ore concitate che sono seguite, c'è stato il goffo tentativo di Raiuno di passare tutto sotto silenzio, finché il premier non ha parlato; e poi in vari giornali si sono sprecate le giustificazioni: tragico errore, errore accidentale, equivoco, financo «disguido». E il finiano «scherzo atroce del destino». No, il destino non c'entra niente. Siamo di fronte a un episodio che non doveva avvenire, a un «effetto collaterale» imperdonabile, a un assassinio che finirà per passare come preterintenzionale, anche se la procura di Roma ha aperto ieri un fascicolo per omicidio volontario. Giuliana non è stata così vicina alla morte durante il sequestro quanto sotto la sparatoria americana.

Sulla quale molti interrogativi restano. Tutto si può pensare salvo che un agente accorto del Sismi, come il dottor Calipari, si inoltrasse in una zona di stretto controllo militare, come la via dell'aeroporto, senza segnalare la sua identità. Non sarebbe potuto neanche entrarvi.
Tantopiù se usava per prudenza una macchina qualsiasi, perché disponeva di tecnologie di comunicazione anche a distanze assai sofisticate. Ed è spaventevole, a parer mio, ipotizzare che qualche comando, per convinto che sia che non si debba trattare, come gli statunitensi e gli inglesi, abbia ordinato a dei subordinati: quando passano quegli italiani, liquidateli. Certo non si può escludere nessuna ipotesi ed è da dubitare che riusciremo a sapere davvero come è andata. Può anche darsi che le cose siano semplici e feroci: i soldati del blindato hanno trascurato, per sconsideratezza o paura o troppo whisky, di attenersi all'informazione che avevano certamente ricevuto e hanno applicato la massima nazionale: prima spari e poi vai a vedere. Se il loro governo teorizza la guerra preventiva e la fa, perché le truppe non dovrebbero praticare lo stesso sistema? L'informazione primordiale che hanno introiettato è che gli Stati uniti sono al di sopra delle regole. Per questo hanno lasciato a lungo Giuliana e gli altri feriti in macchina prima che avessero deciso se e come darne notizia. E tenere per sé le immagini, sicuramente prese.

Non è una filosofia diversa da quella che ha permesso gli abusi di Abu Ghraib. Anche là i soldati, maschi e femmine, si sono sentiti autorizzati a esercitare il loro sadismo sui sottouomini iracheni. Quelli dell'altra sera sui blindati erano giovanissimi, come è stato testimoniato, avevano appena sostituito un reparto più esperto, e hanno avuto con naturalezza il riflesso di sparare preventivamente su vite ignote, ma sicuramente meno importanti di quelle americane. Sono armati dalla testa ai piedi, vivono solo fra loro, separati da un infelice paese al quale si sentono invisi. Ma anche l'arroganza americana ha dei limiti. Rivelati stavolta dal non aver colpito gente irachena (questo conto non esiste), ma un funzionario del governo italiano e, per così dire, in diretta, mentre parlava con la presidenza del consiglio a Roma. Bush ha dovuto rammaricarsi e l'ambasciatore, convocato per la prima volta a Palazzo Chigi, ha dovuto assicurare che i responsabili pagheranno. Lo ha chiesto perfino Berlusconi, il più mite degli alleati, che si sente in seria difficoltà. In questa guerra insensata l'Italia ha perduto ormai non pochi uomini. E stavolta per un evitabilissimo «fuoco amico». Il governo sente quanto poco di esso tenga conto l'esercito dell'amico Bush. Un ragionamento su profitti e perdite del mantenimento delle nostre truppe in Iraq a un manager così sperimentato dovrebbe imporsi.

http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/06-Marzo-2005/art4.html

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