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11.4.05

L'ultimo evento

CARLO FRECCERO

Giovanni Paolo II conosce con i suoi funerali un trionfo mediatico che non ha precedenti. Queste esequie sono un evento. Sono presenti i capi di stato attuali e storici di tutto il mondo. La folla affluisce da ogni parte ed è incontenibile, commossa, conscia di partecipare a un evento storico. Tra le grandi cerimonie dei media, questa è la cerimonia per eccellenza. L'eccezionale successo di questo evento è legato a una serie di congiunture favorevoli: la figura del papa incarna oggi lo spirito del tempo. Il bisogno di religiosità è palpabile. La gente è affamata di cerimonie che consolidano il reciproco legame di appartenenza e connessione. Partecipare a una cerimonia storica, essere parte attiva di una maggioranza, essere inquadrato da una telecamera come un punto in mezzo a centinaia di migliaia di punti sembra oggi un obiettivo sufficiente a dare un senso alla vita. Si dirà: il papa è il papa. Ma non basta.

Nessun papa storico, e tutti i papa hanno fatto la storia, ha incarnato così profondamente gli umori della folla. Le spoglie di Pio IX, storico papa del Risorgimento italiano, vennero assalite dagli anticlericali al grido «al fiume il papa porco». E anche il pontefice più popolare Giovanni XXIII non ebbe per le sue esequie un così massiccio, irrazionale e divistico assalto di pubblico, perché tutto il suo pontificato era stato svolto sulle corde della carità, dell'impegno terreno e dell'aiuto reciproco tra gli uomini. Il pontificato di Giovanni Paolo II si è sviluppato invece all'insegna della comunicazione. Per questo l'ultimo papa incarna lo spirito del tempo. Conservatore a livello ideologico non ha concesso nulla alle spinte di rinnovamento interne alla chiesa che gli chiedevano di completare l'opera del concilio vaticano II. Ha riportato la chiesa a una classicità, una solennità, una tradizione che fanno parte oggi del comune sentire.

Anche a livello politico il pensiero dominante è oggi di destra, conservatore e impregnato di valori tradizionali: dio, patria, famiglia. Però è una conservazione non passiva, ma militante. I teocon teorizzano la guerra per diffondere la democrazia. Il papa è stato pacifista, ma ha combattuto il comunismo e ha contribuito al suo crollo. E lo ha fatto non con le armi tradizionali, ma con le armi della comunicazione. Tutto il suo pontificato è stato un viaggio. Tutto il suo pontificato è stato ricerca e creazione di eventi. Come il giubileo, che rispetto al Concilio Vaticano II non ha portato un rinnovamento di idee o principi, ma una esibizione vistosa della liturgia. In questo il papa è stato contemporaneo. La generazione del `68 - e con essa la chiesa del tempo - è stata intellettualmente anticonformista e ha teorizzato una rivoluzione che faceva appello alla ragione ed insieme alle sue possibilità pratiche: i filosofi si erano limitati a interpretare il mondo, bisognava cambiarlo. La carità è stata per la chiesa lo strumento e il concetto cristiano che giustificava un intervento attivo rispetto alle ingiustizie sociali. In questo senso la chiesa ha ridimensionato la sua trascendenza per impegnarsi nel sociale nell'al di qua piuttosto che nell'al di là. Ma si trattava di una rivoluzione concettuale, libresca, improntata a una sobrietà aniconica, poco fotogenica. Con Wojtyla ritorna la liturgia.
Lo spirito del tempo è conservatore e visionario. Chiede emozioni e immagini, e la chiesa tradizionale è più fotogenica e solenne dei preti operai. Esiste una spiritualità che non si esprime per concetti, ma per sensazioni: il canto gregoriano, l'incenso, le folle, il latino incomprensibile come il corano recitato meccanicamente a memoria ma egualmente solenne. Cerimonie storiche sono state le nozze e i funerali di Diana. Ma anche la monarchia è più sobria e meno sacrale e solenne della chiesa e della sua liturgia. A questo si aggiunge il bisogno di aggregazione della nostra epoca. Conformismo e maggioranza sono state a lungo disvalori. Oggi il bisogno di aggregazione, di integrazione, prevale sul bisogno di distinzione. Nessuno ricerca più l'esclusività, la differenza, l'originalità. L'imperativo è partecipare, essere accettati, connessi, presenti. Viviamo oggi una adolescenza collettiva in cui il bisogno di appartenenza al gruppo prevale sulla ricerca della propria identità. Appartenere alla maggioranza, fare maggioranza, non passivamente, ma attivamente è il desiderio di tutti. Per questo come per i pellegrinaggi dell'anno mille, una immensa folla si è riversata sul sagrato di san Pietro. E' una folla di fedeli, ma anche di agnostici che capisce che un frammento di storia si celebra oggi e che è importante essere presenti. Ore di coda sono sopportabili per poter fissare sul telefonino l'immagine del papa. Quell'immagine significa: «io c'ero». A quella folla in jeans attaccata al telefonino, compatta ed eternamente connessa, la chiesa conferisce forma e significato. E' la liturgia che attribuisce a questa massa informe un contenuto religioso, una convinzione. La maggioranza, la folla, scopre di avere un senso, di essere venuta per una idea e uno scopo e le guance di tutti si rigano di lacrime.
http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/09-Aprile-2005/art5.html

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