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26.5.05

Greggio e guerra, il grande gioco

CECENIA, ABKHAZIA, KARABAKH: UNA SCACCHIERA INFUOCATA

di Anna Zafesova

Alla festa per «l’oleodotto del secolo» non ci sarà Vladimir Putin: non è stato invitato e, anche se lo fosse stato per buona educazione, non ci sarebbe andato. Il lancio del Baku-Tbilisi-Ceyhan (Btc), il grande oleodotto che dovrà dare uno sbocco alle riserve potenzialmente senza fondo del Caspio, è un regalo che il Cremlino non avrebbe mai voluto ricevere. Ma non è riuscito a fare nulla e i petrolieri che parlano inglese sono tornati in quella Baku che i fratelli Nobel 80 anni fa avevano trasformato nella capitale del greggio e alla quale, 40 anni fa, Hitler aveva puntato le sue armate, bloccate a Stalingrado. Il «Grande gioco» del petrolio del Caspio torna a essere il passatempo più avvincente da queste parti. Basta guardare la mappa per vedere come la geografia rende fondamentali per la politica zone che altrimenti sarebbero state insignificanti. E come la politica permette di combinare in modo inedito la geografia. Per la prima volta la Russia si trova tagliata fuori dalla partita: il petrolio estratto nel suo ex territorio non passerà più per le sue mani: il tubo del Btc lo trasporterà nel porto turco di Ceyhan sul Mediterraneo, attraverso quel Caucaso dal quale Saakashvili con l’aiuto degli Usa sta cacciando le truppe di Mosca.

Quando il progetto partì, nel 1994, con la benedizione dell’amministrazione Clinton, sembrava l’affare del secolo: il bacino del Caspio veniva stimato in 200-300 miliardi di barili, il fabbisogno Usa per 30 anni. Ci guadagnavano tutti: America ed Europa si affrancavano dalla dipendenza dal Golfo, i Paesi del Caspio - Azerbaigian, Kazakhstan e Turkmenistan - appena diventati indipendenti dall’Urss rilanciavano la loro economia ricca di risorse. La Turchia si liberava dal vincolo energetico con Mosca e portava in dote all’Ue lo sbocco delle risorse dell’Asia Centrale, proponendosi inoltre come locomotiva dell’area turcofona ex sovietica che nelle ambizioni di Ankara è considerata una sua zona d’influenza naturale.

L’unica a rimetterci era la Russia che infatti - per calcolo economico e vecchia abitudine imperiale - ha rivendicato l transito delle risorse dalle sue ex colonie proponendo l’alternativa del suo oleodotto Baku-Novorossiysk. Che oltre a dover venire ampliato, aveva un altro difetto: passava per Grozny. E’ stato versato forse più inchiostro che petrolio per dimostrare che il casus belli ceceno fu proprio il Btc. Se così fosse, Mosca ha ottenuto l’effetto opposto: invece di garantire la sicurezza per gli investitori ha reso impraticabile forse per sempre quel lembo di Caucaso. E il Baku-Novorossiysk ha chiuso per anni fino a quando è stato costruito un bypass che aggira la Cecenia.

Come ironizza Robert Abel del Center for Strathegic and International Studies, «un oleodotto non porta la pace, al massimo segue una pace». La mappa del Caspio e dell’Asia Centrale è un’intricata ragnatela di tracciati del petrolio e del gas che coinvolge anche l’Iran. Chi non ha greggio cerca di accaparrarsi almeno il transito. Ma tutti i progetti dovevano fare zigzag tra zone di guerra vecchie e nuove: Nagorno-Karabakh in Azerbaigian, Abkhazia in Georgia, Daghestan e Cecenia in Russia. Non è un caso forse che il Btc ha ccelerato con la «rivoluzione delle rose» di Saakashvili che ha riportato sotto controllo parte della sua costa.

Undici anni dopo la saga del Btc arriva al lieto fine, e si cerca di non pensare ai dubbi sulle risorse del Caspio che molti esperti ora ritengono gonfiate, al punto che si teme i fondali azeri non contengano abbastanza greggio da riempire il megatubo. Ma Mithat Balkan, sottosegretario turco all’Economia, è esplicito: «Non si tratta solo di un oleodotto, contribuirà alle aspirazioni politiche di tutti i popoli della regione». Per la Turchia senz’altro, visto che il progetto alternativo di Putin approda a Novorossiysk e viene poi trasportato via mare dal bacino chiuso del Mar Nero attraverso il Bosforo. Uno stretto che funziona da ulteriore leva nel «Grande gioco» per i turchi che minaccia di chiudere il transito alle petroliere temendo in caso di incidente una catastrofe ambientale a Istanbul. Il Btc invece sfocia direttamente nel Mediterraneo e il leader kazakho Nursultan Nazarbaev ha subito fiutato i vantaggi annunciando di voler dirottare il suo petrolio sul nuovo oleodotto abbandonando quello che aveva finora utilizzato in società con i russi e che da Aktau approdava alla solita Novorossiysk.

Si tratterebbe non più di «petrolio del futuro», come Abel chiama il Caspio, ma di un presente di milioni di barili finora maneggiati dai russi. Tradimento dettato da economia e geografia, che però non sarebbe possibile se non fosse cambiata la politica. «Le aspirazioni dei popoli» di cui parla il ministro turco, sono quelle di liberarsi dal diktat di Mosca. Lungo il perimetro dell’ex impero russo esplodono «rivoluzioni» di colori vari, e i khan asiatici rimasti ancora sul trono colgono l’allarme e fanno i loro calcoli. Quello che il Cremlino chiamava familiarmanete «il vicino estero» dell’ex Urss si vuole allontanare. La Russia avrà un motivo in più per sentirsi accerchiata. Il flusso del petrolio cambia rotta, la bussola non punta più dai giacimenti del Sud al Nord, ma dall’Est verso l’Ovest dell’Europa e dell’America.
lastampa.it

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