26.7.08

Il caso francese

Rossana Rossanda
Malgrado gli ori della reggia di Versailles e picchetti d'onore a spada sguainata, il varo delle camere unite della riforma costituzionale in Francia è stato assai poco glorioso. Promessa da Nikolas Sarkozy, elaborata da una commissione diretta da Edouard Balladur, vicepresidente il socialista Jack Lang, la riforma è passata per due soli voti, uno dei quali appunto di Lang, fra i tumulti del Partito socialista, che ha votato contro. Ma tutti i gruppi, partito del presidente compreso, hanno avuto i loro voti contrari, per cui lo scrutinio è stato preceduto da un frenetico mercato, la riforma ha rischiato di colare a picco e l'ha sfangata per miracolo.Si trattava di correggerne il carattere «monocratico» impresso da Charles De Gaulle nell'emergenza della guerra in Algeria e rafforzato dalla più recente e fatale decisione di livellare i tempi dei mandati, presidenza e Camera, eleggendo a suffragio univerale per cinque anni il capo dello stato subito dopo le legislative, con il risultato di corazzarlo di una maggioranza di ferro. Senza indicare nessuno dei contropoteri che nelle repubbliche presidenziali vengono di solito attentamente calibrati.Nulla di questo è stato fatto. Il capo dello stato resta dunque un super primoministro, nomina o cambia il governo, compreso il premier ormai azzoppato. I suoi mandati non potranno essere più di due, ma tutti i poteri sono nelle sue mani. La pretesa riforma consiste solo in qualche piccolo rattoppo: d'ora in poi la Camera potrà decidere l'ordine dei lavori due settimane su quattro (salvo le prioritarie leggi di bilancio) mentre all'opposizione viene elargito ben un giorno al mese. Il cumulo dei mandati (frequente quello di ministro più sindaco) non è soppresso. Né il sistema di voto al Senato, congegnato in modo da dare sempre la maggioranza alla destra. Il Consiglio superiore della magistratura non sarà più presieduto dal capo dello stato e dal ministro della giustizia (come piacerebbe a Berlusconi!) ma composto la maggior parte da consiglieri non togati. Quanto ai pubblici ministeri, essi dipendono dal ministro della giustizia. Addio a ogni pretesa di indipendenza. Le grandi nomine sono di pertinenza del capo dello stato ma potranno essere contestate da una maggioranza di ben tre quinti della Camera... dunque non senza il partito del presidente. E simili.I socialisti, salvo Jack Lang pronto ad accettare da Sarkozy un incarico di governo al primo rimpasto ministeriale, hanno votato contro, condotti da quel Robert Badinter che aveva abolito la pena di morte sotto Mitterrand. Ah, ah - ridacchiano Sarkozy e la stampa, tutta allineata - perché non hanno cambiato loro il sistema durante i quattordici anni della presidenza Mitterrand e i cinque di Jospin premier? Confidavano in una certa decenza del Presidente della Repubblica? Adesso si tengano un iper presidente, come lo chiamano tutti, dotato di un presenzialismo frenetico, che decide tutto, anche senza interpellare i suoi ministri e non esita a smentirli. «I francesi mi hanno eletto perché sono uno che decide» ribadisce Sarkozy a ogni passo. In comune con Berlusconi ha la certezza che la sola vera legittimazione viene dal voto popolare; e come il cavaliere è il solo convinto di sapere e potere, prerogativa che esercita immune da ogni senso del ridicolo. E' fin stupefacente che gran parte del Pd italiano abbia guardato in tema di riforme al sistema francese. Il pericolo maggiore sta in un presidenzialismo strisciante e senza contropoteri, coperti da maggioranze di ferro, decretazioni e fiducia, come quello che funziona di fatto anche da noi, isolando il Quirinale, deprivando le Camere di ogni vera possibilità di contare. Il vero e profondo guaio sta nell'essere divenute delle società senza un'idea di sé, prive di legame sociale, addizioni rissose di interessi individuali e di ceto, tutti malcontenti e tutti disposti a dare deleghe a qualcuno, che eventualmente puniranno alla prossima tornata elettorale. Che intendiamo ormai per democrazia, se questa è ridotta a votare ogni cinque anni un capo e la sua banda? L'agitazione sui diritti umani sta andando di pari passo con l'oscuramento dei diritti politici. Anche qui la critica del parlamentarismo che era propria della sinistra si è ribaltata nel contrario del suo intento; lungi da allargare i poteri fuori dal palazzo, gioca per la manovra della destra: il governo faccia presto e nessuno disturbi.A chi si preoccupa in Italia di riforme istituzionali raccomandiamo caldamente di studiare il caso d'oltralpe.
ilmanifesto.it

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