27.5.09

Economisti alla sbarra, ecco l'atto di accusa

Roberto Perotti

Con la crisi, agli economisti vengono mosse quattro accuse, che ritengo ingiustificate. Eccole.
1) «Gli economisti non hanno previsto la crisi». Su questo punto c'è molta confusione. È importante distinguere fra shock e propagazione degli shock. I primi sono, per definizione, non prevedibili. Dai sismologi non pretendiamo che prevedano i terremoti, ma che ci diano indicazioni di cosa succederà in certe zone se dovesse accadere un terremoto di una certa intensità. Per questo una critica più seria è che gli economisti non hanno saputo prevedere le conseguenze degli shock, una volta che questi si sono realizzati.

2) «Non hanno saputo prevedere né capire, perché la metodologia economica prevalente si basa su modelli troppo astratti e matematici».
Questa critica è frutto dell'ignoranza sugli sviluppi della scienza economica. Per molti qualsiasi differenza dall'approccio discorsivo e informale della "General Theory" di Keynes viene interpretato come il frutto di una forma mentis che costringerebbe la realtà ad accordarsi con modelli astratti. Chi fa questa critica ignora o non capisce l'enorme letteratura prodotta da eccellenti economisti che hanno allo stesso tempo una preparazione formale e una profonda conoscenza dell'economia reale. Spesso ignora e non capisce l'enorme letteratura empirica di economisti seri e assolutamente interessati a comprendere come funziona il mondo in pratica, dediti a testare le teorie economiche con dati macro e micro. E spesso i critici degli economisti non riescono a concepire che uno studioso possa usare un modello per organizzare il proprio pensiero, ma sia abbastanza intelligente per comprenderne i limiti.

3) «Guardano la realtà con la lente perversa di ipotesi assurde come le aspettative razionali, l'informazione completa, i mercati efficienti».
Una tipica variante di questa accusa prende la seguente forma: «Loro non lo sanno, ma noi che viviamo nel mondo e non nelle nuvole o nella turris eburnea dell'università sappiamo che i mercati non sono efficienti, che ci sono asimmetrie informative, che i prezzi degli asset possono deviare per lungo tempo dai fondamentali...».
Anche questa critica è frutto di una profonda ignoranza degli sviluppi dell'economia degli ultimi 30 anni, che si è dedicata in gran parte proprio allo studio di miriadi di deviazioni dall'ipotesi d'efficienza e d'informazione perfetta. Solo per fare un esempio, un'enorme ricerca studia teoricamente ed empiricamente come e perché vi possano essere bolle nei prezzi degli asset; e una enorme letteratura studia gli incentivi dei manager in presenza di asimmetrie informative.

4) «Molti non economisti hanno previsto la crisi».
Questo è falso. Dire per anni «la globalizzazione ha effetti perversi», «la nostra economia è eccessivamente finanziarizzata», oppure «l'economia finanziaria ha preso il sopravvento sull'economia reale» o ancora «il liberismo sfrenato comporta problemi sociali che solo gli economisti possono ignorare», non significa avere previsto la crisi. Accuse, tutte queste, a mio avviso infondate o strumentali. Ci sono però accuse realmente rilevanti. Vediamone alcune.
La stragrande maggioranza degli economisti non ha previsto né capito la crisi finanziaria perché era totalmente all'oscuro di alcuni fondamentali sviluppi del mercato del credito. Per mesi e anni siamo andati avanti a dibattere le spiegazioni e le implicazioni del fenomeno chiave dei primi anni 2000: il basso tasso d'interesse.
Ma mentre avveniva questo dibattito, i macroeconomisti hanno perso di vista completamente uno sviluppo ben più importante, cioè l'enorme evoluzione del mercato del credito. Con tassi d'interesse molto bassi, l'unico modo di rendere redditizia l'attività d'intermediazione delle banche era indebitarsi molto per comprare attività finanziarie, cioè aumentare la leva finanziaria.
Ma per fare questo, le banche dovevano trovare modi per sbarazzarsi del rischio di queste attività, sia perché in alcuni casi i regolatori non permettevano di eccedere una certa leva finanziaria per le attività più rischiose, sia perché le banche stesse non volevano detenere troppe attività rischiose.

Ciò portò a due sviluppi:
1) Le banche crearono un sistema bancario ombra, delle entità formalmente fuori bilancio in cui piazzarono le attività più rischiose; dotarono queste entità di un minimo di capitale, ma la gran parte dei fondi la raccolsero sul mercato con scadenza brevissima, anche giornaliera (commercial papers e repurchase agreements). Queste entità fuori bilancio avevano una garanzia esplicita o implicita delle banche, ma permisero di ridurre il capitale che le banche dovevano detenere, cioè di aumentare la leva finanziaria. Le entità spesso cartolarizzarono le attività trasferite dalle banche e le vendettero, spesso alle banche stesse.
2) Le banche decisero di detenere quantità sempre crescenti di titoli cartolarizzati, cioè di titoli creati dall'impacchettamento di centinaia o migliaia di mutui sottostanti, oppure di prestiti ai consumatori o alle imprese.

Per capire lo sviluppo successivo, è importante comprendere com'erano strutturati questi titoli cartolarizzati. Per consentire di ottenere rendimenti elevati da titoli apparentemente poco rischiosi, questi titoli erano divisi in tranche. La prima tranche (junior tranche) è la più rischiosa; se qualche mutuo sottostante va in default, la prima a esserne toccata è la junior tranche. L'ultima tranche (senior tranche) è apparentemente molto poco rischiosa: comincia a perdere valore solo se più del 10% dei muti va in default - una percentuale impensabile fino a tre anni fa.
Il 99% degli economisti italiani, ancora nell'estate del 2007, era all'oscuro di questi sviluppi, o al massimo ne aveva un'idea molto confusa. Ma ancora più vaga era la consapevolezza degli sviluppi e delle implicazioni successive. La teoria prevalente era che la cartolarizzazione permettesse di spandere il rischio dei vari tipi di credito al di fuori del sistema bancario, cioè da soggetti ad alta leva finanziaria a soggetti (come fondi pensione e fondi del mercato monetario) a bassa leva finanziaria.

Ma mentre i titoli più rischiosi (le junior tranche) vanno a ruba perché, essendo più rischiosi, danno rendimenti più alti, le senior tranche spesso rimangono nei portafogli delle banche o delle entità fuori bilancio. Con poche eccezioni (JP Morgan), le banche non se ne curano, perché sono ritenuti assolutamente sicuri. Nel 2008, banche ed entità fuori bilancio detenevano probabilmente il 50% di queste senior tranche. Lungi dall'aver diversificato i rischi, banche e shadow banking system avevano fatto un enorme investimento in economic catastrophe bonds, cioè in titoli di fatto rischiosissimi perché davano un rendimento generalmente elevato ma molto basso proprio nel momento peggiore, cioè nel caso di una recessione globale.
Gli acquirenti di questi titoli spesso cercarono di assicurarsi contro il rischio di default dei sottostanti. Lo fanno assicurandosi con monolines, compagnie di assicurazione precedentemente dedite all'assicurazione dei titoli municipali ma che ora tentano di espandersi. Ma le monolines avevano un leverage di 150, e fu presto chiaro a molti che non erano in grado di assicurare niente. Ma non fu chiaro per esempio a Merrill Lynch, i cui dirigenti pensavano di essersi assicurati con le monolines. Altri si assicurano con i credit default swaps, il cui mercato raggiunge a un certo punto quattro volte il Pil statunitense! Ma anche questi titoli sono esposti al rischio sistemico. Singolarmente, una banca poteva ritenere di aver fatto hedging; ma da un punto di vista macroeconomico il mercato non stava fornendo alcun hedge, anzi stava incrementando il rischio. Questo aspetto era compito dei macroeconomisti, ma essi non se ne resero conto a causa della loro mancanza d'informazione sui recenti sviluppi del mercato del credito.

Anche di questi due ultimi sviluppi gli economisti erano sostanzialmente ignari. Ancora nell'estate del 2008 è lecito affermare che la stragrande maggioranza degli economisti non si resero conto che il sistema finanziario aveva misspriced il rischio in un modo abissale consentendo alle banche di investire percentuali gigantesche del proprio attivo in catastrophe bonds, e l'irrilevanza (anzi la pericolosità) macroeconomica delle assicurazioni fornite dal mercato.
Come abbiamo imparato dal marzo del 2008, le banche centrali erano male equipaggiate a intervenire in questi mercati a difesa di queste istituzioni. Nel marzo del 2008 i problemi di Bear Stearns misero a nudo il quasi collasso dei mercati dei Cds e dei repos. Ma questi sono mercati di cui gli economisti non si sono mai occupati, perché in condizioni normali funzionano senza alcun problema, e di cui non avevano compreso il ruolo fondamentale nel nuovo sistema del credito. L'esempio più lampante fu la decisione della Bce di alzare i tassi nell'estate del 2008, quando già Bear Stearns era saltata esattamente per i motivi esposti sopra. Molti economisti accademici appoggiarono la decisione della Bce, perché così suggeriva la Taylor rule. Ma molta acqua era passata sotto i ponti, e per parlare di politica monetaria non era più sufficiente essere esperti di Taylor rule. Semplicemente, non avevamo idea di quanto lontano dal classico modello delle banche commerciali il mercato del credito era arrivato. Non avevamo idea delle grandezze e delle implicazioni macroeconomiche di tutto questo.

Eppure continuavamo a parlare di politica monetaria, quando era impossibile parlare di politica monetaria se non si conoscevano degli sviluppi recenti del mercato del credito. Come ha sostenuto con forza John Taylor in Getting Off Track, il problema non era tanto un classico problema di liquidità, quanto un problema di rischio di controparte in mercati a brevissimo termine. Ma il rischio di controparte non ha mai giocato il minimo ruolo nelle teorie monetarie più accreditate.
Poiché economisti di valore erano alla guida delle maggiori banche centrali, ci siamo convinti che il mondo fosse in buone mani. Ma non ci siamo resi conto che anch'essi, come gli altri, all'inizio sono stati tremendamente impreparati a comprendere i nuovi sviluppi.

Gli economisti hanno giocato troppo facilmente allo scaricabarile con politici e regolatori. Invece di studiare i dettagli del mercato del credito, hanno cercato di cavarsi dall'impiccio con facilità usando facili riferimenti al problema del moral hazard causato dai politici e a quello della regolamentazione.

Il moral hazard avviene quando le banche e le altre istituzioni finanziarie sanno che i politici, di fronte a una crisi, le salveranno. Questo ovviamente le incoraggia a prendere rischi molto maggiori di quanto sarebbe prudente e ottimale dal punto di vista del sistema economico nel suo complesso.
Il moral hazard è un vecchio cavallo di battaglia degli economisti, che generalmente si oppongono ai salvataggi bancari. Salvo poi criticare i policy makers per non avere salvato Lehman Brothers, causando il caos che è seguito al 14 settembre. Ma molti economisti hanno cambiato idea sul mancato salvataggio di Lehman Brothers proprio perché non si erano resi conto di cosa comportasse lasciar fallire una banca di investimento in un mercato del credito completamente cambiato. Proprio perché avevano una vaga idea dell'estensione e del ruolo del mercato dei Cds, pochissimi economisti si erano resi conto delle conseguenze quasi fatali che vi sarebbero state nel mercato dei Cds.

Alle prime avvisaglie di difficoltà, gli economisti hanno anche cercato di salvarsi con frasi del tipo «gli eccessi nel mercato del credito possono essere corretti con un'appropriata regolamentazione». Ma fino al 2006, finché Greenspan e poi Bernanke erano nettamente contrari a qualsiasi regolamentazione, dove erano gli economisti? Se i politici avessero tentato d'imporre più regolamentazione, cosa avrebbero detto gli economisti? Ma soprattutto, pochi economisti hanno avuto il coraggio di sporcarsi le mani dicendo esattamente quale regolamentazione si sarebbe dovuta imporre. Né poteva essere altrimenti, perché la stragrande maggioranza aveva una comprensione così limitata degli aspetti tecnici da non poter offrire suggerimenti competenti in materia di regolamentazione.
È stato anche facile per gli economisti scaricare le colpe sulla Greenspan put. Ma tutto questo ex post. Dove erano gli economisti quando il mondo inneggiava a Greenspan come il salvatore dell'economia mondiale?
sole24ore.it

1 commento:

Anonimo ha detto...

Perche non:)