11.4.11

Quel patto (mancante) tra Ue e Africa

GIULIO SAPELLI (Corriere)

L’onda alta del dramma delle manifestazioni, e poi delle migrazioni, che dalle sponde africane giungono a lambire i lidi dell’Italia, sembrano sconvolgere il nostro Paese incapace di poter progettare un futuro fondato sull’inclusione sociale.

Questa incapacità investe tutta l’Europa ed è la prova di una comunità di destino con l’Africa assai più profonda di quanto non ci appaia a prima vista. Non è solo il destino dell’Italia che si mette alla prova sulle spiagge Nord Africane, ma è l’intera idea di Europa che si infrange sui flutti del Mediterraneo, incagliata nelle secche dell’egoistico interesse nazionale e nell’incapacità culturale e quindi economica di consentire la circolazione delle persone. Occorreva il dramma nord africano per far ricordare a tutti che la persona non è una merce e che la sua circolazione non è un fatto meccanico e neutrale, ma invece culturale e politico. Oggi è questa la sfida: garantire l’ordine sociale tanto al nord quanto al sud del Mediterraneo. Ho già ricordato sul Corriere che il dramma libico altro non è che la punta di un processo che si dipana a partire dal cuore stesso dell’Africa sub sahariana, come dimostra lo stesso intervento francese e inglese in Libia che ha come fine il controllo delle risorse della Costa d’Avorio, del Gabon e della Nigeria e poi, inevitabilmente dell’ex Congo belga attorno alla regione dei grandi laghi. Il disegno neo imperiale francese e inglese ha di mira la difesa degli intessi occidentali a fronte del tentativo di dominio cinese dell’Africa, secondo una strategia che è diversa da quella europea. In cambio delle risorse naturali che estrae grazie al lavoro forzato dei suoi sudditi, l’Impero di Mezzo lascia in Africa infrastrutture di ogni genere, che assicurano nel contempo la crescita dei territori e del consenso tra le popolazioni locali. A differenza del modello francese, che spartisce con i capi tribali locali le risorse. Ma tutto ciò provoca immensi spostamenti di forza di lavoro e crea un esercito industriale di riserva caratterizzato da dure lotte tra gli stessi lavoratori. Volete degli esempi? Eccone due: i lavoratori del settore petrolifero del Gabon hanno incrociato le braccia dall’ 1 al 4 aprile, sino a quando il governo non si è impegnato a espellere tutti i lavoratori irregolari immigrati. Il secondo esempio viene dalla stessa Libia. Nel bel mezzo della guerra le navi cinesi incrociano nel Mediterraneo per evacuare 36.000 cinesi che lavoravano in Libia: l’hanno fatto in circa una settimana. E la comunità cinese non era la più numerosa: veniva dopo quella bengalese e tunisina. Oggi sono i tunisini che ospitano più di 125.000 libici ivi rifugiatisi per sfuggire alla guerra. Insomma: la migrazione dal sud al nord del Mediterraneo e tra gli stati africani è un fenomeno destinato a intensificarsi. Non si riesce, quindi, a garantire né l’occupazione stabile in Europa né la migrazione controllata e regolare in Africa e tra l’Africa e l’Europa. Credere che tutto questo immenso processo possa essere compresso, ostacolato, deviato solo sulla base di quelli che ci si rappresenta come interessi nazionali è illusorio: il disordine non può che aumentare. Solo un patto tra Europa e Africa, senza estremismi e improvvisazioni, potrà lentamente creare un ordine che consenta di regolare e limitare i flussi migratori e nel contempo creare nuova occupazione. Un compito difficile e immenso. Occorre armarsi di ragionevole sopportazione e di sacrificio perché le nostre consuetudini saranno sottoposte a limitazioni e trasformazioni. Se non faremo così la democrazia diverrà incompatibile con lo sviluppo sociale ed economico e lo spettro della dittatura si affaccerà anche in Europa. In Nord Africa, del resto, ha — in realtà — solo cambiato volto, come ben sanno gli osservatori più attenti e consapevoli delle strutture di potere dei regimi in cui oggi dilaga un conflitto che da esplosivo è destinato a farsi intermittente e continuo. Nessuno è un’isola: la campana suona per tutti.

Nessun commento: