Bernardo Valli (La Repubblica)
Anche Voltaire se la prese con Maometto, ma a rimanerci male allora non
furono i musulmani bensì i cattolici. Al punto che il filosofo fu
costretto a sospendere le rappresentazioni della tragedia, una delle
più politiche della sua ampia produzione teatrale, il cui titolo, Le
Fanatisme ou Mahomet le Prophete, lasciava pochi dubbi sulla natura
della trama. Il tenente di polizia Feydeau de Marville lo avvertì che
se non avesse ubbidito poteva essere applicato il mandato d’arresto
emesso contro di lui, e rimasto in sospeso, dopo l’apparizione delle
Lettres philosophiques.
Insomma lo ricattò. Voltaire non ebbe scelta. Poi per anni si
dette da fare, arrivando a falsificare le lettere papali, al fine di
dissipare la voce sull’ostilità nei suoi confronti di Benedetto XIV per
Le fanatisme ou Mahomet le Prophete.
Il filosofo che voleva
«annientare l’infame », ossia l’intolleranza religiosa, aveva usato
il profeta musulmano come metafora, per colpire la Chiesa cattolica?
Il sospetto non era poi tanto infondato. Più di due secoli e mezzo fa
(la tragedia è stata scritta nel 1736 e rappresentata prima a Lilla
nel 1741 e l’anno successivo a Parigi) gli umori non erano ovviamente
quelli della nostra epoca.
Il concetto di laicità, annidato
nell’Illuminismo di cui Voltaire era uno dei massimi promotori, era
ben lontano dal diventare uno dei principi della Francia repubblicana,
del resto essa stessa ancora di là da venire. Poiché Voltaire era il
polemico, insubordinato suddito di una Monarchia per diritto divino.
Quindi a quei tempi le vignette irrispettose su Maometto di Charlie
Hebdo (per non parlare del video americano) avrebbero subito sanzioni
peggiori di quelle abbattutesi su Voltaire, essendo oltre che empie,
irrispettose verso la religione, anche volgari. Voltaire era un
grande autore di teatro. Era tra l’altro l’autore dell’Henriade, poema
popolarissimo in dieci canti, dedicato a Enrico IV e alla tolleranza.
Ed un ascoltato interlocutore di un sovrano come Federico II di
Prussia.
A Lilla, al teatro della Vieille Comédie, il 25 aprile
dell’anno precedente, la tragedia ha avuto un grande successo. Anche
il clero ha applaudito e questo ha rassicurato Voltaire. Ma a Parigi,
dove l’opera deve andare in scena il 9 agosto, le cose si complicano.
Interpellato come censore, Prosper Jolyot Crébillon, autore di cupe
tragedie, ha dato un giudizio negativo. Prevedendolo, Voltaire ha però
mandato il manoscritto al cardinale de Fleury, il quale non ha fatto
obiezioni. Il pubblico parigino è dunque, infine, ammesso allo
spettacolo, e può cogliere facilmente le allusioni al fanatismo
religioso in generale, e quindi anche a quello di casa. Gli
spettatori, più avvertiti, meno bigotti di quelli di Lilla, sono
entusiasti, avvertono l’audacia dell’autore, e sono al tempo stesso
inquieti. Persino un prete, Le Blanc, trova «bella, forte, ardita e
brillante» la tragedia. Ma i giansenisti, gli integralisti cristiani
dell’epoca, reagiscono. Loro non si lasciano ingannare: «Hanno visto
cose enormi contro la religione ». Voltaire non presenta il Maometto
conquistatore, ma il Maometto Profeta, e lo tratta da fanatico. I
ministri si consultano. C’è chi trova la tragedia «irreligiosa, empia,
scellerata», e chi vorrebbe lasciar correre. Si arriva a un
compromesso: si proibisce Mahomet ma ufficiosamente.
Voltaire
presenta Maometto come un impostore, e glielo fa confessare, subito,
al primo atto. Assedia la Mecca con il suo esercito e cerca di
convincere l’avversario a unirsi a lui. Gli confida i suoi progetti
che sono quelli di un politico, di un capo militare. Tutte le potenze
orientali sono in decadenza ed è giunto il momento degli arabi. I
quali possono conquistare il mondo. Ma per questo bisogna
fanatizzare gli uomini con una nuova religione. «Bisogna creare un
nuovo culto». «Ci vuole un nuovo Dio per l’universo cieco». Il
Maometto di Voltaire inganna, tradisce, seduce, è sensuale, vuole
imprigionare Palmire nel suo harem. La bella Mademoiselle Gaussin,
l’attrice preferita di Voltaire, recita nella tragedia. Di lei l’autore
dice che è debole e volubile, ed anche «incapace di tenere un
segreto come di conservare un amante». È lei che seduce Maometto.
Il
pubblico di Mahomet non è ancora quello del teatro di Beaumarchais,
emblematico dell’illuminismo, ma è già un pubblico che intravede «i
lumi » René Vaillot, autore di uno dei cinque volumi di un’imponente
biografia («Voltaire en son temps», diretta da René Pomeau ed edita
dall’università di Oxford) ricorda che al posto di
Mahomet, il 16
agosto 1742, alla Comédie Française andò in scena Polyeucte di
Corneille. E la platea, offesa dalla censura imposta a Voltaire, si
vendicò applaudendo l’imprecazione di un protagonista contro i
cristiani. E manifestò il suo entusiasmo alle parole tolleranti di un
altro protagonista: «Approvo tuttavia che ciascuno abbia il suo Dio e
che lo serva come vuole».
Due secoli e mezzo fa Voltaire usa
Maometto per denunciare la religione sanguinaria. Egli ricorderà in
proposito Réné Clement, spinto da un prelato ad assassinare Enrico
III. Ed è stato un difensore di Calas, un protestante accusato
ingiustamente dai cattolici di avere ucciso il figlio che si era
convertito. Se è severo con Maometto, non risparmia, nel Saggio sui
costumi, gli elogi alla civiltà musulmana e all’Islam in quanto
regola di vita.
Per evitare che accetti l’interpretazione dei
giansenisti, manda al Papa una copia di Mahomet, con una lettera in
buon italiano (Voltaire parlava e scriveva l’inglese e l’italiano) in
cui dice che nessuno meglio «di un vicario e di un imitatore di un Dio
di verità e di mansuetudine» può riconoscere la crudeltà e gli errori
di un falso profeta. E poi esibisce un messaggio d’approvazione di
Benedetto XIV che risulterà falso.
2 commenti:
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