28.8.09

Scuola, ecco le nuove regole per diventare insegnanti

Un anno di tirocinio per legare teoria a pratica. Assunzioni solo in base alla necessità per evitare il precariato. Più inglese e competenze tecnologiche. Cambia radicalmente la formazione iniziale degli insegnanti. Il ministro dell'Istruzione, Maria Stella Gelmini, ha presentato le novità per chi vuole accedere all'insegnamento che si sviluppano in particolare- recita una nota- su quattro grandi linee: - Il tirocinio da svolgere direttamente a contatto con le scuole e col "mestiere" di insegnante, perché insegnare non può essere solo teoria ma anche pratica; - Il numero di nuovi docenti sarà deciso in base al fabbisogno. Fine dell'accesso illimitato alla professione che creava il precariato; - Con la fine del precariato sarà consentito ai giovani l'inserimento immediato in ruolo; - Più inglese e nuove tecnologie.

Il regolamento è il frutto del lavoro della Commissione presieduta dal professor Giorgio Israel, a cui è seguita una azione di primo confronto col mondo della scuola e delle associazioni per l'integrazione scolastica. L'obiettivo dei nuovi percorsi- dice sempre il comunicato del Miur- è di garantire una più equilibrata preparazione disciplinare, didattica e pedagogica nel corso delle lauree magistrali e lo svolgimento di un anno di percorso, il Tirocinio formativo attivo, direttamente a contatto con le scuole.
"Oggi iniziamo a progettare un nuovo tassello per il cambiamento del nostro sistema scolastico. Un tassello fondamentale, perché riguarda la formazione iniziale dei futuri insegnanti". Lo ha affermato il ministro dell'Istruzione, Mariastella Gelmini.
"Prevediamo una selezione severa- ha aggiunto commentando le nuove regole diffuse dal Miur- doverosa per chi avrà in mano il futuro dell'Italia e sostituiamo alle vecchie Ssis un percorso più snello, di un anno, coprogettato da scuole e università, concentrato nel passaggio dal semplice sapere al saper insegnare".

Cambiano dunque le modalità per accedere all'insegnamento. Con il nuovo sistema per insegnare nella scuola dell'infanzia e nella scuola primaria sarà necessaria la laurea quinquennale, a numero programmato con prova di accesso che consentirà di conseguire l'abilitazione per la scuola primaria e dell'infanzia; sono rafforzate le competenze disciplinari e pedagogiche ed è previsto un apposito percorso di laboratorio per la lingua inglese e le nuove tecnologie; per la prima volta si è data specifica attenzione al problema degli alunni con disabilità, prevedendo che in tutti i percorsi ci siano insegnamenti in grado di consentire al docente di avere una preparazione di base sui bisogni speciali; Per insegnare nella scuola secondaria di primo e secondo grado, invece, sarà necessaria la laurea magistrale + 1 anno di Tirocinio formativo attivo; è prevista una prova di ingresso alla laurea magistrale a numero programmato basato sulle necessità del sistema nazionale di istruzione, composto da scuole pubbliche e paritarie; l'anno di tirocinio formativo attivo contempla 475 ore di tirocinio a scuola sotto la guida di un insegnante tutor; rispetto al percorso Ssis (Scuola di specializzazione per l'insegnamento secondario), si prende il meglio di quella esperienza, evitando la ripetizione degli insegnamenti disciplinari, approfonditi già nella laurea e nella laurea magistrale, per concentrarsi sul tirocinio, sui laboratori e le didattiche.


Dalle Ssis, quindi, al Tirocinio formativo: si passa "dal sapere al sapere insegnare", dice ancora la nota. Durante il tirocinio sarà dedicato infatti ampio spazio all'approfondimento della didattica con esperienze sul campo.
In questo regolamento è stato dato pieno riconoscimento al sistema nazionale dell'istruzione (formato dalle istituzioni scolastiche statali e paritarie), tanto nel coinvolgimento nei tirocini quanto nel calcolo dei fabbisogni di personale docente, e si inizia a prevedere la possibilità di svolgere tirocini anche nelle strutture di istruzione e formazione professionale dove c'è la sperimentazione dell'obbligo formativo.
Inoltre gli uffici scolastici regionali organizzeranno e aggiorneranno gli albi delle istituzioni scolastiche accreditate che ospiteranno i tirocini sulla base di appositi criteri stabiliti dal ministero, evidenziandone buone prassi e specificità.


Gli Usr avranno anche funzione di controllo e di verifica sui tirocini. Sino alla costituzione degli albi, le Università scelgono liberamente le scuole, di concerto con gli Usr che mantengono compiti di vigilanza. Il consiglio di corso di tirocinio, che prevede la presenza di scuola e università, ha compiti di coordinamento e di progettazione e rappresenta il terreno di incontro e di raccordo tra le due realtà. Le commissioni di abilitazione prevedono un equilibrio tra scuola e università e un peso determinante del tirocinio e della prova didattica sul voto di abilitazione. I dottori di ricerca e i "precari della ricerca", se in possesso dei requisiti curriculari, entrano in soprannumero, dopo un esame orale, nell'anno di tirocinio, vedendo valorizzato il loro percorso. L'anno di tirocinio prevede forme di interazione e co-progettazione del percorso tra istituzioni scolastiche e atenei ed è stato previsto uno specifico spazio di laboratori destinati ad approfondire quanto viene fatto in classe.


In merito alla "Formazione degli insegnanti di sostegno", è previsto che sia posta in capo alle università, pur prevedendo la possibilità di specifici accordi con gli enti del settore. Sono previsti percorsi di specializzazione per il Clil (insegnamento nella scuola secondaria di secondo grado di una materia non linguistica in inglese). Il sistema Afam concorre a pieno titolo alla formazione iniziale dei docenti nelle classi di abilitazione di propria competenza. In particolare, è stata rivista la classe di abilitazione per lo strumento musicale. Sino all'entrata a regime delle nuove lauree magistrali, la programmazione del numero di abilitati e il test è previsto, per la secondaria di primo e secondo grado, prima di accedere all'anno di Tirocinio formativo attivo. Per quanto riguarda i precari non abilitati e gli ex diplomati negli istituti magistrali sono stati previsti percorsi che, dietro il superamento di prove d'accesso in grado di verificare la preparazione disciplinare, consentano di conseguire l'abilitazione.
Il regolamento sulla Formazione iniziale, dunque, punta a raggiungere tre obiettivi: 1) Focalizza nella formazione iniziale non solo le materie tradizionali, ma l'acquisizione di alcune competenze trasversali: seconda lingua inglese e competenze di didattica attraverso le nuove tecnologie; 2) Sostituisce al sistema Ssis strutture più snelle, concentrate sull'incontro e sulla co-progettazione tra istituzioni scolastiche e università evitando autoreferenzialità, costi per il sistema e per gli studenti e abbreviando di un anno il percorso di abilitazione per la scuola secondaria; 3) Prevede una programmazione dei numeri in grado di evitare la proliferazione del precariato.

Con successivo decreto si stabiliranno le lauree magistrali relative al secondo ciclo dell'istruzione, per seguire il percorso di cambiamento del secondo ciclo e delle classi di abilitazione.


Pubblicate un po’ in sordina durante l"estate, e un po’ prima rispetto al classico mese di settembre, il ministero dell'Istruzione ha reso noto le Linee guida sull'integrazione scolastica degli alunni con disabilità. Lo ha fatto ai primi di agosto, mentre la maggior parte degli italiani erano in vacanza. Ma agli esperti che si occupano di scuola non è sfuggito, e presto sono arrivati i primi commenti. Positivo il giudizio espresso da Salvatore Nocera, vicepresidente della Fish (Federazione italiana per il superamento dell'handicap), che aveva anticipato il contenuto delle linee guida a fine luglio: "Pur essendo un documento che fa il punto della situazione in Italia, si tratta comunque di un segnale politico importante", ha ribadito. Meno entusiasta, invece, il commento del Coordinamento italiano degli insegnanti di sostegno (Ciis). "Nessun accenno al numero degli alunni disabili per classe, nessun cenno alla situazione di quelli impossibilitati a frequentare (per i quali si attua l'istruzione domiciliare), e neanche un richiamo all'attivazione di laboratori rivolti esclusivamente agli alunni con disabilità", si legge sul sito del coordinamento. Per quanto riguarda il "registro", molte volte "contenente il solo nome dell'alunno disabile e consegnato all'insegnante di sostegno quale 'unico mentore’, le Linee guida per l'integrazione scolastica" riportano che "gli insegnanti assegnati alle attività per il sostegno, assumendo la contitolarità delle sezioni e delle classi in cui operano e partecipando a pieno titolo alle operazioni di valutazione periodiche e finali degli alunni della classe con diritto di voto, disporranno di registri recanti i nomi di tutti gli alunni della classe di cui sono contitolari". Che cosa si dovrà registrare in questo documento ancora non si sa, ma per il momento il Ciis ha apprezzato
l'intervento: "da tempo si avvertiva l'esigenza di far chiarezza in materia per non continuare a perpetrare l'idea che l'alunno disabile 'appartenga’ solo all'insegnante per il sostegno", dicono.

Le direttive impartite dal ministero dell'Istruzione, dell'università e della ricerca "si muovono nell'ambito della legislazione vigente e mirano a innalzare il livello qualitativo degli interventi formativi ed educativi a favore degli alunni disabili - si legge nella presentazione alle Linee guida per l'integrazione scolastica scritta dal vice della Direzione generale per lo studente, l'integrazione e la partecipazione del Miur Sergio Scala -. Il documento ripercorre le tappe degli interventi come fin qui concretamente realizzati nella pratica operativa al fine di valutarne la reale corrispondenza ai principi e alle norme che disciplinano la materia. L'obiettivo non è dunque quello di introdurre variazioni nelle disposizioni, quanto di fornire agli operatori scolastici una visione organica della materia che possa orientarne i comportamenti nella direzione di una loro più piena conformità ai principi dell'integrazione".


Se il ministero dell'Istruzione ha ribadito gli organici per l"anno scolastico 2009/2010 - oltre 90 mila docenti di sostegno per circa 180 mila studenti disabili, il che significa il rispetto su scala nazionale del rapporto di un insegnante ogni due studenti con disabilità - per Salvatore Nocera, vicepresidente della Fish (Federazione italiana per il superamento dell'handicap), i tagli alla scuola provocheranno comunque un effetto a catena. Nel senso che "i docenti di ruolo rimasti senza cattedra 'si ricicleranno’ come sostegno mentre quelli precari, che finora sono andati avanti con contratti annuali, perderanno il posto. Naturalmente occorre un titolo idoneo per fare l'insegnante di sostegno", precisa Nocera.Ma con il turn-over dei docenti, "la continuità didattica è fortemente a rischio". E questo fattore è molto importante per uno studente disabile. "Nel rapporto tra insegnante di sostegno e alunno, la conoscenza reciproca è spesso fondamentale, soprattutto quando si tratta di disabilità grave", osserva il vicepresidente della Fish. E il personale assunto a tempo indeterminato per il prossimo anno scolastico (circa 4.300 insegnanti di sostegno che saranno di ruolo, di cui la maggior parte in Campania, Lombardia, Sicilia e Lazio) è solo la punta dell'iceberg. "Sui 90.469 insegnanti di sostegno previsti per l'anno 2009/2010, infatti, quelli in organico di diritto diventeranno così 62.766", conclude Nocera. Gli altri docenti continueranno a essere precari.

Insabbiare

di EZIO MAURO

Non potendo rispondere, se non con la menzogna, Silvio Berlusconi ha deciso di portare in tribunale le dieci domande di Repubblica, per chiedere ai giudici di fermarle, in modo che non sia più possibile chiedergli conto di vicende che non ha mai saputo chiarire: insabbiando così - almeno in Italia - la pubblica vergogna di comportamenti privati che sono al centro di uno scandalo internazionale e lo perseguitano politicamente.

E' la prima volta, nella memoria di un Paese libero, che un uomo politico fa causa alle domande che gli vengono rivolte. Ed è la misura delle difficoltà e delle paure che popolano l'estate dell'uomo più potente d'Italia. La questione è semplice: poiché è incapace di dire la verità sul "ciarpame politico" che ha creato con le sue stesse mani e che da mesi lo circonda, il Capo del governo chiede alla magistratura di bloccare l'accertamento della verità, impedendo la libera attività giornalistica d'inchiesta, che ha prodotto quelle domande senza risposta.

In questa svolta c'è l'insofferenza per ogni controllo, per qualsiasi critica, per qualunque spazio giornalistico d'indagine che sfugga al dominio proprietario o all'intimidazione di un potere che si concepisce come assoluto, e inattaccabile. Berlusconi, nel suo atto giudiziario contro Repubblica vuole infatti colpire e impedire anche la citazione in Italia delle inchieste dei giornali stranieri, in modo che il Paese resti all'oscuro e sotto controllo. Ognuno vede quanto sia debole un potere che ha paura delle domande, e pensa che basti tenere al buio i concittadini per farla franca.

Tutto questo - la richiesta agli imprenditori di non fare pubblicità sul nostro giornale, l'accusa di eversione, l'attacco ai "delinquenti", la causa alle domande - da parte di un premier che è anche editore, e che usa ogni mezzo contro la libertà di stampa, nel silenzio generale. Altro che calunnie: ormai, dovrebbe essere l'Italia a sentirsi vilipesa dai comportamenti di quest'uomo.

27.8.09

La nuova regola: vivere con attenzione - Intervista a Marco Morosini

Rendere sostenibi i propri investimenti e le spese è la misura più efficace contro le crisi economiche

Esperimenti all'avanguardia, ma poca capacità di sistema. E l'Italia vista da Marco Morosini, curatore di Futuro sostenibile 2009 (in uscita a dicembre per Feltrinelli), seconda tappa del primo, pionieristico studio condotto da Wolfgang Sachs e dal Wuppertal Institut. I «bilancisti», ovviamente, rientrano nelle avanguardie positive.

E c'è da dire che coni Biland dl giustizia l'Italia, forse per la prima volta, fa scuola: ora, in Austria ci sono i Bilanzen der Gerechtigkelt...

«La peculiarità dei Bilanci di giustizia sta nel prendere alla lettera la parola bilancio: i partecipanti registrano tutte le spese e gli investimenti o comunque le voci più importanti. Inoltre non si limitano a spostare qualche spesa qua e là verso criteri più etici, ma cercano di farlo sistematicamente. Ovviamente, non sempre ci sono alternative alle scelte tradizionali; ma con una ricerca sistematica si scopre che le possibilità sono pi di quelle che si pensa».

Nel nuovo studio del Wuppertal Institut si parla molto del ruolo dei singoli: «vivere con attenzione», dal consumi ai risparmio energetico. Una ricetta anche contro la crisi?

«A lungo termine, rendere sostenibili (equi socialmente e responsabili ecologicamente) i propri investimenti e spese è la misura più efficace per evitare le crisi economiche. Le crisi finanziarie, invece, hanno spesso cause che dipendono dal disordine della regolamentazione del mondo finanziario e imprenditoriale; un disordine determinato da politica e lobby economiche, ben poco da uno stile di vita collettivo. L'Islanda è ai primi posti negli indici internazionali di sviluppo; ciò non ha impedito che una cattiva regolamentazione finanziaria la precipitasse in una delle crisi più gravi della sua storia. A livello di singoli, criteri di spesa più responsabili possono aiutare chi è in difficoltà per la crisi. Le famiglie dei bilanci spendono meno della media. Se alcuni prodotti etici possono costare di più , altri costano meno: un buon riso bio, in sacchi da 5 kg e senza pubblicità, è migliore e costa meno che un riso comprato a mezzi chili e imballato due volte, su cui devono guadagnare diversi intermediari».

Dai dati emerge un divario netto tra crescita economica e soddisfazione per la propria vita.

«Diverse ricerche confermano che da una ventina d'anni nei principali Paesi industriali si lavora più ore, invertendo la direzione del progresso sociale ed economico che per secoli era consistito anche nel ridurre la durata del lavoro umano. Se ai tempi di lavoro formali si aggiungono le ore dedicate ai trasferimenti casa-lavoro e soprattutto alla gestione economica di se stessi, come se ogni persona fosse una piccola azienda, non meraviglia che sempre più persone ritengano peggiorata la loro qualità di vita».

In Germania su questi temi è forte la collaborazione tra cittadini e istituzioni; da noi?

«Le faccio un esempio: tra i Comuni più avanti nella riforma economica verso la sostenibilità ambientale ci sono quelli in cui c'è un efficace ufficio per l'Agenda locale 21 , un organismo previsto nel 1992 dal programma Onu per lo sviluppo sostenibile deciso al vertice di Rio. In altre nazioni migliaia di Comuni hanno efficaci Agende 21 locali; su 8.ooo Comuni italiani, quelle coordinate nell'associazione Agende 21 (www.a2litaly.it) sono solo qualche decina».

Ga.Ja.

26.8.09

E il bibliotecario si affida a Facebook

Quattromila delegati al congresso mondiale in corso a Milano: il futuro è digitale

MARIA GIULIA MINETTI

Il tassinaro che porta il cronista al congresso dell'Ifla - International Federation of Library Association and Institutions - gira la testa e chiede: «Scusi, ma non è un convegno sulle biblioteche?». Sì, lo è. E il conducente: «Ma allora, come mai ci sono tanti giovani?». Ecco, l'idea del tassista che le biblioteche siano spelonche riservate a vecchi studiosi di vecchi libri in Italia è diffusissima. Anche ad alto livello. «Da noi il ministro, quando parla di biblioteche, pensa a Brera e simili», constata Stefano Parise della fondazione «Per leggere», un network di biblioteche sul territorio della provincia di Milano. «Tutt'altro discorso in Inghilterra. Là, per esempio, davanti a un calo degli utenti, comunque numerosissimi, delle biblioteche pubbliche, il premier Gordon Brown proclamò il 2008 "Anno delle biblioteche", esortando le mamme aleggere libri ai loro bambini, per "assuefarli" fin da piccoli».
Dei tantissimi convegni, workshop, tavole rotonde, incontri che ritmano i cinque giorni di questo 75° Congresso mondiale Ifla - un organismo «monstre» che comprende più di 500.000 biblioteche sparse in tutto il mondo, a Milano sono arrivati circa 4000 delegati da 180 Paesi -, sembra allora cruciale quello che si è tenuto ieri nell'Aula Magna della Statale, dedicato alle biblioteche digitali: a chi le usa, a come le usa, al ruolo delle istituzioni pubbliche nel loro sviluppo. Cruciale perché è attraverso la digitalizzazione dei servizi e dei testi che passa l'allargamento del pubblico, l'aumento dell'offerta, la «democratizzazione» sempre maggiore del sapere, insomma, per dirla all'antica. La via digitale è la via che permette approfondimenti, «immersioni» negli archivi di istituzioni culturali altrimenti raggiungibili con fatica, con impiego di molto tempo anche soltanto per scoprirne l'esistenza (perché la biblioteca digitale di una istituzione è un luogo in sé e, insieme, uno svincolo con tutte le indicazioni stradali ben evidenziate...).
Susan Hazan, curatrice del dipartimento Nuovi Media del Museo di Israele a Gerusalemme, ha spinto la soglia digitale anche più in là: «Per biblioteche e musei è importante essere presenti, come istituzioni, su Facebook, Twitter - abbiamo 205.000 amici su Twitter. Abbiamo sperimentato l'uso istituzionale di Second Life con risultati molto interessanti. Quanti di voi l'hanno fatto?», chiede rivolta alla platea. Si alzano molte mani, lei è soddisfatta. Molte mani alzate anche alla domanda: avete aperto dei blog? Il problema per tutti è però come «maneggiare», sui blog, il dibattito. Rinunciare a mantenere un livello «alto» o usare la censura? E come? «Per ora si naviga a vista», constatano in molti.
Delle infinite questioni aperte dalle «digital libraries», una sembra dominare più di altre le fantasie: perderemo l'«oggetto» libro? Rossella Caffo, direttore dell'Iccu, Istituto centrale per il catalogo unico delle biblioteche italiane, vede quella perdita molto lontana. «Lottiamo da anni per riuscire ad avere un equilibrio tra l'interesse dei cittadini e l'interesse degli editori», sospira. «Il governo ha dovuto di recente pagare una multa di 3 milioni di euro alla Siae per i "danni" arrecati agli editori dai prestiti di volumi e si è assunto l'obbligo di un forfait annuale che consenta di continuare i prestiti». Figurarsi se una biblioteca provasse a digitalizzare testi sotto copyright! Il futuro, almeno in questo caso, può attendere.

21.8.09

Rivals band to fight Google books - Rivali uniti per combattere Google libri

By Maggie Shiels, Technology reporter, BBC News, Silicon Valley

Three technology heavyweights are joining a coalition to fight Google's attempt to create what could be the world's largest virtual library.

Amazon, Microsoft and Yahoo will sign up to the Open Book Alliance being spearheaded by the Internet Archive.

They oppose a legal settlement that could make Google the main source for many online works.

"Google is trying to monopolise the library system," the Internet Archive's founder Brewster Kahle told BBC News.

"If this deal goes ahead, they're making a real shot at being 'the' library and the only library."

Back in 2008, the search giant reached an agreement with publishers and authors to settle two lawsuits that charged the company with copyright infringement for the unauthorised scanning of books.

In that settlement, Google agreed to pay $125m (£76m) to create a Book Rights Registry, where authors and publishers can register works and receive compensation. Authors and publishers would get 70% from the sale of these books with Google keeping the remaining 30%.

Google would also be given the right to digitise orphan works. These are works whose rights-holders are unknown, and are believed to make up an estimated 50-70% of books published after 1923.

Comments on the deal have to be lodged by September 4th. In early October, a judge in the Southern district of New York will consider whether or not to approve the class-action suit.

In a separate development, the US Department of Justice is conducting an anti-trust investigation into the impact of the agreement.

'Open access'

Critics have claimed the settlement will transform the future of the book industry and of public access to the cultural heritage of mankind embodied in books.
Brewster Kahle Internet Archive
The Internet Archive scans around 1000 books a day at 30 cents a page

"The techniques we have built up since the enlightenment of having open access, public support for libraries, lots of different organisational structures, lots of distributed ownership of books that can be exchanged, resold and repackaged in different ways - all of that is being thrown out in this particular approach," warned Mr Kahle.

The non-profit Internet Archive has long been a vocal opponent of this agreement. It is also in the business of scanning books and has digitised over 1.5 million to date. All are available for free.

As the September 4th deadline approaches, the number of groups and organisations voicing their opposition is growing. But with three of the world's best-known technology companies joining the chorus, the Open Book Alliance can expect to make headlines the world over.

Microsoft and Yahoo have confirmed their participation. However, Amazon has so far declined to comment because the alliance has not yet been formally launched.

"All of us in the coalition are oriented to foster a vision for a more competitive marketplace for books," said Peter Brantley, the Internet Archive's director of access.

"We feel that if approved, Google would earn a court-sanctioned monopoly and the exploitation of a comprehensive collection of books from the 20th century."

'Trust'

Much of the focus of the proposed settlement has been on anti-trust and anti-competitive concerns, but just as many are worried about privacy.
Woman in bookshop
Privacy is a big concern for critics

The Electronic Frontier Foundation, the ACLU of Northern California and the Consumer Watchdog advocacy group wrote to Google to ask the company to "assure Americans that Google will maintain the security and freedom that library patrons have long had: to read and learn about anything...without worrying that someone is looking over their shoulder or could retrace their steps".

"We simply don't like the settlement in its current form," said Consumer Watchdog advocate John Simpson.

"There are serious questions about privacy and Google seems to be taking the view 'let us put this in place and we will do the right thing down the road'. That is simply not good enough."

The American Libraries Association (ALA) agrees.

"We do think the product in essence is good but the proposed settlement asks us to trust Google and the other parties a little too much," the ALA's associate director Corey Williams told BBC News.

"When it comes to privacy, the agreement is silent on the issue and with regard to what Google intends to do with the data it collects. It's a great idea but it requires more trust that I think we feel comfortable being able to extend at this point," said Ms Williams.

'Brave new world'

In its defence, Google has argued that the deal brings great benefits to authors and will make millions of out-of-print books widely available online and in libraries.

In a statement, the company said: "The Google Books settlement is injecting more competition into the digital books space, so it's understandable why our competitors might fight hard to prevent more competition."
Michelle Richmond author
The author said she is not surprised by the reaction to the settlment

Despite the increasing tide of criticism over the settlement, there are some who believe there is not that much to fear.

Michelle Richmond is the author of New York Times best seller "The Year of Fog", which is also being turned into a movie starring Rachel Weiss.

"The thing I keep hearing from authors is 'I don't know what this settlement really means'. But this is the brave new world and we don't really know where it is going," Ms Richmond told BBC News

"Most authors work for so little and start from the point of we are doing this for the love it. But when there is this company that has nothing to do with the creation of the book or its publication, I think a lot of authors are concerned about this being a portal to greater access to their work without compensation for writers."

14.8.09

Ora fa paura l'inflazione

"Il rimbalzo dei mercati c'è, ma non sono ottimista per l'Europa, anche perché sarà difficile bilanciare il sostegno alla ripresa è il rischio di scatenare l'inflazione." Parola di Luigi Zingales, economista e docente all'Università di Chicago.

Per cominciare, è davvero possibile fare previsioni in una fase come questa, oppure tutti, Bce inclusa, tirano a indovinare?

«È un momento complicato, ma alcuni sintomi sono chiari. C'è un rimbalzo dovuto anche a motivi tecnici, cioè al fatto che nei mesi del massimo pessimismo le imprese hanno tagliato molto i magazzini e adesso devono riprendere l'attività. Poi, le Borse sono molto ottimiste, e questo diffonde ottimismo anche all'economia reale».

La Borse sono ottimiste a ragion veduta? O è una nuova bolla?

«Sono ottimiste perché si era temuta una crisi lunga e profonda, ma più il tempo passa e più c'è la sensazione che l'apocalisse sia stata evitata. I mercati finanziari anticipano sempre la ripresa, e ora c'è tanta liquidità facile, tassi zero. Ma ci sono elementi di rischio. I tassi così anormalmente bassi potrebbero essere illusori. Dopo la crisi del 2000-2001 Greenspan tenne giù i tassi troppo a lungo, per non compromettere la ripresa, e così gonfiò la bolla immobiliare. Adesso la Bce fa bene ad avvertire che dovrà ritirare la liquidità, al momento giusto, per evitare l'inflazione».

È un problema solo per l'Europa?

«No anzi, potrebbe essere anche peggio per l'America, che ha immesso molta più liquidità. Però l'America ha, in parte, esportato la sua recessione nel resto del mondo e questo sarà un problema soprattutto per l'Europa. Prima, gli americani sostenevano l'economia mondiale con i loro consumi privati, compravano auto tedesche, vestiti italiani eccetera. Adesso i consumi privati sono crollati e al loro posto l'economia Usa è sostenuta dai consumi pubblici che però non vanno a sostegno delI'export europeo. Soprattuttola Germania, forte esportatrice, ne sarà colpita. I Paesi emergenti stanno sostenendo la domanda globale ma non credo che questo sia sufficiente per l'Europa».

E' stato risolto qualche problema di fondo, o siamo pronti a ricaderci?

«Non è stato fatto assolutamente niente. Anche nell'Amministrazione Obama non c'è volontà di cambiare. Abbiamo visto che nel sistema c'è carenza di controlli ex ante (non ex post, a disastri avvenuti). Ma le istituzioni finanziarie hanno un potere di ricatto enorme e lo utilizzano per far pressione sulla politica e non cambiare niente».
[Lui. GRA.]

11.8.09

Chi gioca con i salari

II costo della vita varia anche tra aree metropolitane e piccoli comuni del Nord. E poi al Sud i servizi sono di qualità inferiore

di CHIARA SARACENO

Dopo i sindacati, anche Confindustria ha osservato che già ora i salari ufficiali sono differenziati per ambito territoriale, anche dopo l'abolizione delle gabbie salariali: perché le aziende più grandi, dove i salari sono in media più alti, sono più diffuse al Nord e perché qui è anche più diffusa la contrattazione aziendale.

Viceversa, aggiungo io, al Sud è più diffusa, soprattutto nelle piccole aziende, la pratica di distinguere tra busta paga ufficiale e salario effettivo, con il secondo più o meno sostanziosamente più basso del primo. Fosse solo per questi motivi, non si capisce la ragione per cui il presidente del Consiglio si accoda a Bossi nell'auspicare la reintroduzione delle gabbie salariali, proprio nel momento in cui si autonomina a capo della riedizione della Cassa per il mezzogiorno.

Ma ci sono altri motivi, oltre a quelli di uno stato davvero liberale che non fissa per legge i limiti salariali e i loro confini geografici, che devono indurre a respingere ogni velleità di re-introduzione di salari territoriali. Il primo motivo è che le differenze del costo della vita non riguardano solo le grandi ripartizioni territoriali. Altrettanto grandi sono le differenze tra aree metropolitane, grandi città e piccoli comuni. Ad esempio, secondo i calcoli dell'Istat, lo stesso paniere di beni essenziali costa circa 195 euro in più al mese in un'area metropolitana del Nord rispetto a una del Sud e isole, ma anche 76 euro in più rispetto a un piccolo comune sempre del Nord. Per motivi di coerenza, occorrerebbe quindi differenziare i salari anche all'interno di ciascuna area territoriale. Il secondo motivo, più importante, è che non basta tenere conto del costo della vita misurato sui consumi quotidiani e abitativi per comparare il valore dei salari nelle varie zone del paese. Occorre tenere conto di almeno due altri elementi. Il primo è la quantità e la qualità dei beni pubblici disponibili nei vari territori: scuola, sanità, infrastrutture, trasporti, sicurezza, efficienza della pubblica amministrazione e così via. Anche questi, infatti, entrano nella valutazione del benessere dei singoli e delle famiglie, integrando le economie famigliari o viceversa, quando sono assenti o di cattiva qualità, rappresentando un costo aggiuntivo.

Il secondo motivo è che il valore del salario non va rapportato solo al costo della vita, ma anche al numero di persone che di esso deve vivere. È noto che nel Mezzogiorno non solo i salari sono mediamente più bassi che nel Centro-Nord (e lo stesso vale per le pensioni), ma devono bastare per famiglie mediamente più grandi, tanto più che, vista la situazione del mercato del lavoro, nel Mezzogiorno sono meno diffuse le famiglie con due o più percettori.

Secondo i dati dell'indagine europea sulla condizioni socio-economiche delle famiglie, tra le famiglie il cui reddito principale è da lavoro dipendente, quelle del mezzogiorno hanno un reddito medio netto, tenuto conto anche del possesso dell'abitazione, del 20,4% inferiore a quelle del Nord. Uno scarto superiore al 16% complessivo di differenziale nel costo della vita rilevato da Istat e Banca d'Italia che ha scatenato la polemica di questi giorni. Gli scarti sono particolarmente accentuati per alcuni tipi di famiglia, per altro più diffusi nel Mezzogiorno rispetto ad altre aree del paese. Una famiglia di quattro persone ha un reddito netto pari al 67,4% di una famiglia analoga del Nord e al 69% di una del Centro. Se ci sono due figli minori, il reddito famigliare è pari al 65% di quelle analoghe del Nord. Non stupisce che l'incidenza della povertà assoluta, misurata tenendo conto del costo della vita, sia più che doppia nel Mezzogiorno rispetto al Centro-Nord.

Ma è soprattutto la diversa quantità e qualità dei beni pubblici a fare la differenza. Sappiamo come la scuola abbia sia infrastrutture che prestazioni più basse nel Mezzogiorno. I servizi per l'infanzia sono scarsi e spesso a metà tempo, così come la scuola elementare.

Di conseguenza, anche a fronte dell'esistenza di forti rischi ambientali, molte famiglie a reddito modesto preferiscono mandare i figli ad imparare un mestiere anche a scapito di un impegno scolastico di cui non vedono i benefici. Sappiamo anche che, nonostante alcune eccellenze, il servizio sanitario è spesso così scadente da costituire un rischio per la vita e da incoraggiare, in chi può, un turismo sanitario interregionale, con i costi aggiuntivi che questo comporta. A sud di Roma, i trasporti ferroviari e le autostrade assomigliano spesso a quelli di un paese del Terzo mondo. E l'efficienza della pubblica amministrazione è molto inferiore alla media, pur non eccelsa, nazionale.

Piuttosto che trastullarsi con l'idea delle gabbie salariali il governo dovrebbe intervenire sulla indegnità di "gabbie territoriali di beni pubblici", di cui è non marginale responsabile anche il ceto politico locale, presente e passato, spesso con l'uso improprio (clientelare) della Cassa per il Mezzogiorno. Lo stesso ceto che, in barba non solo alle gabbie salariali, ma anche ad ogni criterio di produttività, si assegna lauti compensi per il proprio malgoverno senza che nessuno pensi autorevolmente di intervenire.

10.8.09

Polistirolo city

di Fabrizio Gatti

Spese folli per tirare su in tutta fretta case in cartongesso. Mentre l'Esercito ha migliaia di alloggi-container inutilizzati. Dopo tante promesse è questa la ricostruzione di Berlusconi e Bertolaso

Il piccolo climatizzatore gira al massimo. Ma il termometro è implacabile. Dentro la tenda segna 37 gradi. Fuori, sullo zerbino arroventato dal sole, 46 virgola due. È un pomeriggio qualunque per Lorenzo, 30 anni, tecnico informatico di Villa Sant'Angelo, cuore dell'Abruzzo dove, come a L'Aquila e nei paesi della provincia, il tempo è fermo alla prima settimana dopo il terremoto. Sono 25.815 le persone costrette da quattro mesi a vivere nelle tendopoli. E 28.400 quelle sparse tra gli alberghi e i residence della costa. Un totale di 54.215 donne, uomini, anziani, bambini prigionieri di un esperimento imposto dal presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, e dal capo della Protezione civile, Guido Bertolaso. È il modello B&B, la ricostruzione show: passare dalla distruzione alla rinascita saltando la fase intermedia degli alloggi temporanei. Mentre a Capua, in provincia di Caserta, migliaia di case mobili che potrebbero servire in Abruzzo stanno marcendo in un deposito dell'Esercito.

Il risultato è un carosello di opere di facciata che solo per L'Aquila città ha già bruciato 500 milioni di euro sottraendoli alla vera ricostruzione. Queste che stanno tirando su in fretta e furia sono case imbottite con largo impiego di legno pressato, cartongesso e polistirolo. Quanti anni dureranno? E ora che i lavori della Protezione civile sono cominciati, si scopre che forse hanno sbagliato i conti. Secondo il Comune della città, i progetti voluti dal governo lasciano senza tetto almeno 5 mila famiglie. E altre 8 mila persone entreranno negli alloggi temporanei in costruzione soltanto tra ottobre e dicembre. Significa costringere la maggior parte dei sopravvissuti ad affrontare in tenda, dopo il caldo, anche il freddo e il maltempo che qui cominciano a fine settembre.

L'incertezza sta spingendo alcuni proprietari di case danneggiate a vendere. Soprattutto i più anziani. Da Roma si sono fatti avanti costruttori e immobiliaristi per rilevare al 10-15 per cento del valore di superficie i negozi, le palazzine gravemente danneggiate o i volumi di quelle da demolire. È l'ombra di una speculazione colossale. "Quando tra dieci anni L'Aquila tornerà a rivivere, nel centro storico gli appartamenti ristrutturati o nuovi riavranno il loro valore di quattro o 5 mila euro al metro", sostiene un costruttore romano che chiede l'anonimato: "Chi ha denaro liquido a disposizione ne approfitta. Per gli anziani è l'occasione per raccogliere qualche soldo e andare altrove o rimanere nelle case costruite dal governo. Anche perché non è risolta la questione dei proprietari di più appartamenti. Lo Stato per ora risarcisce i danni della prima casa. Rimettere a posto il resto richiede milioni di euro".

Il numero degli abitanti che a L'Aquila avranno un tetto prima dell'arrivo del freddo lo si ricava dallo scadenziario delle opere, stabilito dal bando della gara d'appalto. Appena 4.480: entreranno nelle case dopo il 26 settembre. Altri 4.480 andranno dopo il 16 ottobre, 3.840 dopo il 7 novembre. E senza case per tutti, è stata inventata la protezione civile a punti. Un bambino fino a 5 anni vale 4 punti. Dai 6 ai 16 anni, 3 punti. Un nonno tra i 75 e gli 84 anni, 1,5 punti. Sopra gli 85 anni, 2 punti. Ogni vittima in famiglia, 5 punti. Il problema sarà la gestione della graduatoria tra persone già esasperate da quattro mesi di attesa. Anche perché non sono ancora cominciate le riparazioni delle case danneggiate. Nemmeno quelle di categoria A con preventivi sotto i 10 mila euro. Un po' perché la terra continua a tremare, ma soprattutto perché su norme e risarcimenti è il caos. "In questa situazione", dichiara Paolo De Santis, presidente dell'Ordine degli ingegneri de L'Aquila, "neppure a Natale partirà la ricostruzione. La gente è confusa e impaurita perché deve anticipare i soldi. Anche i professionisti hanno molti dubbi sulle ordinanze. E le imprese, in questo clima di incertezza, vogliono prima i soldi, poi cominciano i lavori. Ma le istituzioni, a partire dalla Protezione civile, rifiutano ogni tipo di confronto".

Il sottosegretario Guido Bertolaso, dopo aver imposto le sue decisioni a colpi di ordinanza, se la prende con i Comuni: "Le altre amministrazioni e i cittadini si devono impegnare per affrontare i problemi e risolverli", ha detto qualche giorno fa alla riapertura della strada per la funivia del Gran Sasso. Adesso che sta montando la rabbia, c'è aria di scaricabarile. Tanto che il sindaco, Massimo Cialente, a capo di una giunta di centrosinistra, ripropone il suo piano alternativo, cassato in aprile dalla coppia B&B: "Bisogna accettare l'idea delle case mobili e anche reperire alloggi sfitti", dice Cialente. Gli appartamenti liberi in città e provincia sarebbero un migliaio. "Il problema è che i numeri delle case di classe E, gravemente danneggiate o da demolire, sono peggiori di quanto si pensasse. Sono il 78 per cento nel centro storico", racconta il sindaco, "e nelle frazioni come San Gregorio, il 90 per cento". Il 10 agosto scade il termine per partecipare alla graduatoria a punti. E nelle ore successive si saprà quante persone resteranno senza un riparo migliore della tenda. Il Comune de L'Aquila ha già stimato 10 mila famiglie con la casa distrutta: di queste 3.900 andranno entro dicembre nei miniappartamenti costruiti dalla Protezione civile, mille forse negli alloggi sfitti (ancora da censire). Ne restano da sistemare cinquemila. Più altre 10-12 mila che hanno subito danni oltre i diecimila euro (classe B e C) e devono attendere la ristrutturazione. Ammesso che le continue scosse non costringano fuori di casa anche le altre diecimila famiglie che hanno subito pochi danni.

Uno dei monumenti alle spese folli del modello B&B è a Cese di Preturo, pochi chilometri sulle colline a nord de L'Aquila. Quattro gigantesche piattaforme antisismiche in cemento armato, più altre sedici sparse in città, per reggere la leggerezza di altrettante case di legno. L'ingegnere e il geometra che dirigono il cantiere ammettono la stranezza: "Effettivamente", dicono, "per le case di legno, queste piastre di cemento sono sovradimensionate". Sovradimensionate è un giudizio professionale per dire esagerate, eccessive, inutili, sprecate. Per queste, spiegano i due tecnici, hanno usato calcestruzzo 525: "Cioé con una resistenza di 525 chili per centimetro quadrato. È l'impasto che si usa per costruire ponti e dighe". Ogni piattaforma antisismica costa 600 mila euro: un progetto diretto da Gian Michele Calvi, presidente del centro di ricerca Eucentre, fondato dalla Protezione civile e dall'Università di Pavia. Ogni casa di tre piani e 26 miniappartamenti, compresi gli arredi e le opere di urbanizzazione, brucia altri 3 milioni e 400 mila euro. Di piattaforme antisismiche la Protezione civile ne ha appaltate 150. Un totale di 3.900 miniappartamenti. E una previsione di spesa di 530 milioni, aggiungendo costi di progettazione e direzione tecnica. Cioè un prezzo medio ad alloggio di 135 mila euro. Ed è il costo di costruzione, al quale andrebbero sommati gli oneri finanziari e i terreni espropriati e occupati per sempre. Il 27 luglio su otto aree non erano ancora cominciati i lavori: partenza ritardata per 1.352 miniappartamenti. Il 3 agosto restavano da aprire ancora quattro cantieri, tra i quali Paganica, una delle frazioni de L'Aquila più devastate dalle scosse. Uno sforzo enorme in soldi pubblici e ore di lavoro, giorno e notte, al quale vanno aggiunte altre quattordici piastre e relative case: decisione di qualche giorno fa che aumenta gli alloggi da consegnare entro dicembre a 4.264. Comunque sotto le necessità previste dal Comune.

Una spesa giustificata da Silvio Berlusconi nelle sue visite a L'Aquila con l'intenzione di dare agli abruzzesi una vera casa. Invece, a parte qualche palazzina prefabbricata in cemento pressato, si tratta di strutture ultraleggere per le quali è abbondante l'impiego di legno, cartongesso, lamiera e perfino polistirolo. Lo stesso materiale di costruzione delle case mobili che la Protezione civile non ha voluto. Solo che invece dei 135 mila euro ad alloggio spesi dal governo a L'Aquila, una casa mobile nuova avrebbe impegnato tra gli 11.800 euro e i 20 mila euro: per dare un tetto a 3.900 famiglie, la protezione civile avrebbe dunque speso 78 milioni di euro contro i 530 milioni bruciati ora. Mentre il governo non trova i soldi per pagare gli arretrati alle migliaia di vigili del fuoco impegnati in Abruzzo dalla notte del 6 aprile.

Per capire cosa si sarebbe potuto fare, basterebbe leggere le relazioni della Protezione civile, allora diretta dal vulcanologo Franco Barberi, sugli interventi per il terremoto in Umbria e nelle Marche del 1997. Il 27 settembre la prima di tante scosse. Trentamila sfollati da sistemare prima dell'inverno alle porte. E la consegna delle prime case mobili che hanno tolto dalle tende migliaia di persone dopo appena due mesi. Allora ci sono riusciti con seimila i moduli abitativi.

Terminata la ricostruzione nel giro di qualche anno, le case container sono state restituite allo Stato. Meno del 30 per cento è stato riparato e inviato alle Regioni. Il 70 per cento è stato lasciato marcire in un'area dell'esercito a Capua. È il deposito del Raggruppamento autonomo recupero beni mobili della Protezione civile. Bisogna venire fin qui, tra le caserme e le fabbriche militari abbandonate, per vedere come può essere trattato un patrimonio del soccorso pubblico in un Paese periodicamente vittima di terremoti e alluvioni. È come se un generale in guerra lasciasse distruggere dalla ruggine i suoi carri armati. Tanto che in Abruzzo dopo quattro mesi la fase dell'emergenza non si è conclusa: restano impegnate 5.590 tende del ministero dell'Interno e migliaia di volontari per i quali lo Stato deve rimborsare le assenze dal lavoro.

Il paradosso è nascosto fuori L'Aquila, 20 chilometri più a sud, superate le macerie e il dolore a Villa Sant'Angelo e a Stiffe. Qui, e in tutti i paesini della provincia, con quattro mesi di ritardo si stanno finalmente costruendo le casette provvisorie di legno, simili a quelle usate dopo il terremoto in Friuli del 1976. Le stanno montando su semplici basi di pietrisco e malta. Niente piattaforme sospese su colonne, niente costi faraonici. Prezzi che la gara d'appalto della Protezione civile ha imposto tra i 30 mila e i 53 mila euro a casa. Cifre superiori ai moduli abitativi trasportabili, ma lontane dalle follie spese a L'Aquila. E anche in questi paesini ogni giorno in più trascorso nelle tendopoli sottrae soldi alla ricostruzione. Perché le tende, oltre a provocare tensioni e impedire la privacy, richiedono alti costi di gestione. A cominciare dai gabinetti. In giugno il dipartimento della Protezione civile si è accorto di avere noleggiato 676 wc chimici oltre il necessario. Poiché lo staff di Bertolaso ha firmato con i fornitori un contratto di noleggio a 80 euro al giorno a gabinetto, il surplus di cessi è costato un patrimonio: un milione e 622 mila euro al mese. Il necessario a comprare case mobili per 81 famiglie. Oppure a montare dodici appartamenti in polistirolo e cartongesso: la scenografia della finta ricostruzione voluta dal B&B show.