29.11.13

I Perimetri dell’Informazione Italiana

I Perimetri dell’Informazione Italiana

Sono stati pubblicati ieri i dati Audiweb per il mese di ottobre 2013. Ho fatto alcune elaborazioni per quanto riguarda i quotidiani online.
Le principali testate, quelle che hanno un numero di utenti unici superiore a 100mila persone nel giorno medio sono 12, tutte le altre raggiungono un pubblico inferiore.
La tavola di sintesi sottostante mostra il dettaglio di ciascuna testata [si faccia attenzione alle note a fondo dell'articolo nella lettura dei dati]. Nel complesso queste testate raggiungono quotidianamente  poco meno di cinque milioni e mezzo di persone. Un numero che al netto delle duplicazioni, di coloro che leggono più di un giornale online è certamente inferiore anche se è difficile dire di quanto in assenza di dati.

Quotidiani Ottobre 2013
Le testate all digital, quelle che non hanno una corrispondente versione cartacea, rilevate da Audiweb sono 12, la loro audience complessiva, nel giorno medio, è di circa un milione e 700mila utenti unici, esattamente un terzo, a parità di numero, delle testate tradizionali, Ansa e TgCom24.
Citynews e Fanpage si contendono lo scettro con accessi oltre i 300mila utenti [anche in questo caso si faccia attenzione alle note a fondo dell'articolo nella lettura dei dati]. Dagospia è invece, in assoluto, la testata con il maggior tempo per utente con oltre 7 minuti di permanenza media sul sito; quasi due minuti in più del best performer delle testate tradizionali: «Il Mattino».

Quotidiani All Digital Ottobre 2013
I tre quotidiani sportivi nazionali nel loro insieme raggiungono 891mila utenti unici nel giorno medio. Leader «La Gazzetta dello Sport» a 558mila utenti unici.
Tutte le altre testate, sia quelle nazionali che non raggiungono la soglia dei 100mila visitatori nel giorno medio quali, ad esempio «L’Unità», che quelle regionali/locali, come l’«Unione Sarda» [88.245 utenti unici], complessivamente assommano ad un pubblico di poco più di 777mila utenti unici.
Nell’insieme dunque il totale dell’informazione online nel nostro Paese raggiunge poco più di 8 milioni di utenti unici giornalieri [8.109.914] al netto degli aggregati nei dati. Il 59.4% degli utenti attivi nel giorno medio in Rete [13.657.000].
Secondo i dati Audipress, alla seconda rilevazione del 2013 [- 1% rispetto 1^ rilevazione 2013] i lettori di quotidiani, cosa diversa dagli acquirenti, come noto, sono poco meno di 21 milioni nel giorno medio [20.790.000].
I lettori di quotidiani online rappresentano dunque il 39% dei lettori di quotidiani. Anche in questo caso bisognerebbe conoscere duplicazioni e sovrapposizioni per entrare ulteriormente nel dettaglio dell’analisi.

Nota Bene: Il totale dei dati Audiweb per l’informazione online in Italia assomano a 8.888.781, ma il netto è di 8.109.914 poichè:
[*] La Repubblica – 107.769 di Tom’s Hardware
[#] QN – 102.461 di Hardware Upgrade, -35.435 di Dicios.it, – 30.321 di Promoqui, – 22.976 di Prontoimprese.it
[°] TGCom24 – 113.833 di Meteo.it, – 66.926 di Panorama.it
[§] Il Post – 89.511 di Soldionline.it, – 29.389 di Film TV
[^] Lettera43 – 180.196 circuito local

27.11.13

Quel che resta del Ventennio

Barbara Spinelli (La Repubblica)

La tentazione sarà grande, dopo il voto sulla decadenza di Berlusconi al Senato, di chiudere il ventennio mettendolo tra parentesi. È una tentazione che conosciamo bene: immaginando d'aver cancellato l'anomalia, si torna alla normalità come se mai l'anomalia - non fu che momentanea digressione - ci avesse abitati.

Nel 1944, non fu un italiano ma un giornalista americano, Herbert Matthews, a dire sulla rivista Mercurio di Alba de Céspedes: "Non l'avete ucciso!" Tutt'altro che morto, il fascismo avrebbe continuato a vivere dentro gli italiani. Non certo nelle forme di ieri ma in tanti modi di pensare, di agire.

L'infezione, "nostro mal du siècle", sarebbe durata a lungo: a ciascuno toccava "combatterlo per tutta la vita", dentro di sé. Lo stesso vale per la cosiddetta caduta di Berlusconi. È un sollievo sapere che non sarà più decisivo, in Parlamento e nel governo, ma il berlusconismo è sempre lì, e non sarà semplice disabituarsi a una droga che ha cattivato non solo politici e partiti, ma la società. Sylos Labini lo aveva detto, nell'ottobre 2004: "Non c'è un potere politico corrotto e una società civile sana". Fosse stata sana, la società avrebbe resistito subito all'ascesa del capopopolo, che fu invece irresistibile: "Siamo tutti immersi nella corruzione", avvertì Sylos. La servitù volontaria a dominatori stranieri e predatori ce l'abbiamo nel sangue dal Medioevo, anche se riscattata da Risorgimento e Resistenza. La stessa fine della guerra, l'8 settembre '43, fu disastrosamente ambigua: "Tutti a casa", disse Badoglio, ma senza rompere con Hitler, permettendogli di occupare mezza Italia. Tutte le nostre transizioni sono fangose doppiezze.

Dico cosiddetta caduta perché il berlusconismo continua, dopo la decadenza. Il che vuol dire: continua pure la battaglia di chi aspira a ricostruire, non solo stabilizzare la democrazia. Il ventennio dovrà essere finalmente giudicato: per come è nato, come ha potuto attecchire. Al pari di Mussolini non cadde dal cielo, non creò ma aggravò la crisi italiana. Nel '94 irruppe per corazzare la cultura di illegalità e corruzione della Dc, di Craxi, della P2, e debellare non già la Prima repubblica ma la rigenerazione (una sorta di Risorgimento, anche se trascurò la dipendenza del Pci dall'oro di Mosca) avviata a Milano da Mani Pulite, e poco prima a Palermo da Falcone e Borsellino.

Il berlusconismo resta innanzitutto come dispositivo del presente. Anche decaduto, assegnato ai servizi sociali, il leader di Forza Italia disporrà di due armi insalubri e temibili: un apparato mediatico immutato, e gli enormi (Sylos li definiva mostruosi) mezzi finanziari. Tanto più mostruosi in tempi di magra. Assente in Senato, parlerà con video trasmessi a reti unificate. E in campagna elettorale avrà a fianco la destra di Alfano: nessuno da quelle parti ha i suoi mezzi, la sua maestria. Monti contava su 15-16 punti, prima del voto a febbraio. Alfano solo su 8-9 punti. La scissione potrebbe favorire Berlusconi, e farlo vincere contro ogni nuova gioiosa macchina di guerra.

Ma ancora più fondamentale è l'eredità culturale e politica del ventennio: i suoi modi di pensare, d'agire, il mal du siècle che perdura. Senza uno spietato esame di coscienza non cesseranno d'intossicare l'Italia.
Il conflitto d'interessi in primis, e l'ibrido politica-affarismo: ambedue persistono, come modus vivendi della politica. La decadenza non li delegittima affatto. La famosa legge del '57 dichiara ineleggibili i titolari di importanti concessioni pubbliche (la Tv per esempio): marchiata di obsolescenza, cade nell'oblio. Sylos Labini sostenne che fu l'opposizione a inventare il trucco per aggirarla. Non fu smentito. L'onta non è lavata né pianta.

Altro lascito: la politica non distinta ma separata dalla morale, anzi contrapposta. È un'abitudine mentale ormai, un credo epidemico. Già Leopardi dice che gli italiani sono cinici proprio perché più astuti, smagati, meno romantici dei nordici. Non sono cambiati. Ci si aggrappa a Machiavelli, che disgiunse politica e morale. Ci si serve di lui, per dire che il fine giustifica i mezzi. Ma è un abuso che autorizza i peggiori nostri vizi: i mezzi divengono il fine (il potere per il potere) e lo storcono. Il falso machiavellismo vive a destra, a sinistra, al Quirinale. La questione morale, poco pragmatica, soffre spregio. Berlinguer la pose nel '77: nel Pd vien chiamata una sua devianza fuorviante.

Anche il mito della società civile è retaggio del ventennio: il popolo è meglio dei leader, i suoi responsi sovrastano legalmente i tribunali. Democraticamente sovrano, esso incarna la volontà generale, che non erra. Salvatore Settis critica l'ambiguità di questa formula-passe-partout: è un'"etichetta legittimante, che designa portatori di interessi il cui peso è proporzionale alla potenza economica, e non alla cura del bene comune; tipicamente, imprenditori e banchieri che per difendere interessi propri e altrui si degnano di scendere in politica", ritenendo inabili politici e partiti. Non solo: la società civile "viene spesso intesa non solo come diversa dallo Stato, ma come sua avversaria; quasi che lo Stato (identificato con i governi pro tempore) debba essere per sua natura il nemico del bene comune". (Azione popolare, Einaudi 2012, pp. 207, 212).

Così deturpata, la formula ha fatto proseliti: grazie all'uso oligarchico della società civile (o dei tecnici), la politica è vieppiù screditata, la cultura dell'amoralità o illegalità vieppiù accreditata. Il caso Cancellieri è emblematico: la mala educazione diventa attributo di un'élite invogliata per istinto a maneggiare la politica come forza, contro le regole. A creare artificiosi stati di eccezione permanente, coincidenze perfette fra necessità, assenza di alternative, stabilità.

Simile destino tocca alla laicità, non più tenuta a bada ma aborrita nel ventennio. Il pontificato di Francesco non aiuta, perché la Chiesa gode di un pregiudizio favorevole mai tanto diffuso, perfino su temi estranei alla promessa "conversione del papato". Difficilmente si faranno battaglie laiche, in un'Italia politica che mena vanto della dipendenza dal Vaticano. La nuova destra di Alfano è dominata da Comunione e Liberazione. Dai tempi di Prodi, i democratici evitano di smarcarsi sulla laicità. Tutti i leader del momento (Letta, Alfano, Renzi) vengono dalla Dc o dal Partito popolare. Diretto com'è da Napolitano, il Pd non ha modo di liberarsi del ventennio (a che pro le primarie quando è stato il Colle a dettare la linea sul caso Cancellieri?). Permane la vergogna d'esser stati anticapitalisti, antiamericani, anticlericali (l'ultima accusa è falsa da sessantasei anni: fu Togliatti ad accettare l'innesto nella Costituzione dei Patti Lateranensi di Mussolini).

Infine l'Europa. Nel discorso ai giovani di Forza Italia, Berlusconi ha cominciato la sua campagna antieuropea, deciso a svuotare Cinque Stelle. La ricostruzione della sua caduta nel 2011 è un concentrato di scaltrezza: sotto accusa l'Unione, la Germania, la Francia. Ancora una volta, con maestria demagogica, ha puntato il dito sul principale difetto italiano: la Serva Italia smascherata da Dante.

No, Berlusconi non l'abbiamo cancellato. Perché la società è guasta: "Siamo tutti immersi nella corruzione". Da un ventennio amorale, immorale, illegale, usciremo solo se guardando nello specchio vedremo noi stessi dietro il mostro. Altrimenti dovremo dire, parafrasando Remarque: niente di nuovo sul fronte italiano. La guerra civile ed emergenziale narrata da Berlusconi ha bloccato la nostra crescita civile oltre che economica, e perpetuato la "putrefazione morale" svelata da Piero Calamandrei. Un'intera generazione è stata immolata a finte stabilità. La decadenza di Berlusconi, se verrà, è un primo atto. Sarà vana, se non decadrà anche l'atroce giudizio di Calamandrei.

22.11.13

La goccia di 12 miliardi sul debito

Roberto Romano (Il Manifesto)

C'è qualcosa di «stupido», riprendendo la famosa affermazione di Prodi sui vincoli europei, nel progetto di proseguire la privatizzazione di parte delle società pubbliche e il programma di spending review. Fortunatamente c'è ancora tempo prima che i propositi diventino politica economica, Keynes era convinto della forza delle idee (buone) rispetto agli interessi costituiti.

Il primo effetto «potenziale» della discussione del consiglio dei ministri è quello di ampliare l'impatto della Legge di Stabilità di ulteriori 12 miliardi di euro per il 2014, di cui 6 per ridurre un debito pubblico di oltre 1.900 mld (avete letto bene), e 6 per ricapitalizzare la Cassa Depositi e Prestiti, mentre i risparmi di spesa, stimati in 32 mld di euro (spending review), superiori alle previsioni indicate nella Legge di Stabilità, saranno destinati alla riduzione delle tasse sul lavoro, dell'indebitamento e del debito. Con il consiglio dei ministri prende corpo il Documento economico e finanziario (Def), nel quale il governo si era impegnato a realizzare privatizzazioni per 30 mld di euro tra il 2014 e il 2015.
Per capire cosa celano le privatizzazioni (potenziali) è necessario fare un piccolo passo indietro rispetto alla «discussione proficua» (cit. Letta), più precisamente al provvedimento "Destinazione Italia". In esso si declinava il piano sotteso alle privatizzazioni: attirare investimenti dall'estero, come quelli nazionali, per valorizzare le «società partecipate dallo Stato anche con la predisposizione di un piano di dismissioni».
Si assume che un «programma di privatizzazioni e dismissioni avrebbe numerosi vantaggi: a) lo sviluppo delle Società da privatizzare, attraverso l'acquisizione di nuovi capitali italiani ed esteri; b) l'ampliamento dell'azionariato mediante la quotazione in Borsa, che consenta anche una più ampia diffusione del capitale di rischio tra i risparmiatori e la crescita della capitalizzazione complessiva della Borsa italiana; c) l'ottenimento di risorse finanziarie da destinarsi alla riduzione del debito pubblico».I beneficiari dell'operazione sono gli investimenti diretti esteri. L'esperienza Telecom non ha insegnato molto, possiamo riporre qualche speranza nell'intraprendenza di Massimo Mucchetti circa la golden share.
Se in prima approssimazione i provvedimenti di Letta assomigliano tanto alle misure adottate per agganciare l'euro tra il 1992 e il 2000, in realtà c'è una differenza di fondo e forse di sostanza: Amato vedeva nella privatizzazione la via per fare politica industriale, sappiamo poi come è andata a finire; il programma di Letta è finalizzato alla sola riduzione del debito (6 mld) e dell'indebitamento, tra l'altro via investimenti diretti esteri.
Le principali società coinvolte sono la Sace, Grandi Stazioni, quote di Enav, Stm, Fincantieri, Cdp Reti e del gasdotto Tag. Anche l'Eni è interessata con l'annunciato del via libera all'operazione di cessione di un pacchetto del 3%, affiancato a un buyback che non farà scendere lo Stato sotto il 30% del capitale.
Relativamente al programma spending review del Commissario discusso dal consiglio dei ministri, è necessario sottolineare che (il programma) non risponde a nessun indirizzo di massima del parlamento, deteriorando il potere di controllo e indirizzo dello stesso. Visto che si parla di servizi pubblici, forse, sarebbe il caso di fare uno sforzo di democrazia parlamentare. Diversamente rimangono le intangibili indicazioni del ministro del Tesoro e del Commissario. Sicuramente persone per bene, ma pur sempre persone. Razionalizzare 32 mld di euro, via risparmi, razionalizzazione dei costi della spesa pubblica e riordino della spesa a favore dei cittadini (detrazioni ed altro), può essere un lavoro più importante delle persone coinvolte?
Se il governo adotta un criterio universale per controllare i costi della pubblica amministrazione il paese sarà migliore, anche se continuo a pensare che non serva un commissario ma dei ministri che lavorano bene per assolvere a questo compito. Tuttavia il principale problema della spesa pubblica italiana è relativo alla formazione della spesa futura, cioè spesa corrente e in conto capitale per i prossimi anni. Pensate ai progetti che oggi, a torto o ragione, consideriamo inappropriati o inutili con il sopraggiungere della crisi economica.
Sarebbe necessaria una spending review capace di ricontrattare i progetti di spesa pubblica (contratti privati) esistenti e futuri, con dei criteri di efficacia ed efficienza, differenziando tra spesa che produce reddito e spesa che produce rendita.
Speriamo che la forza delle idee di Keynes sia più forte della stupidità delle vittime delle idee di qualche economista defunto.

9.11.13

Quei devoti alla dea tangente che ogni anno rubano 60 miliardi

«Meno male che papa Francesco c’è», scrive Pino1947 guadagnandosi il primo posto tra i commenti più votati di Corriere.it. Meno male sì, perché la lotta ai «devoti della dea tangente», come li chiama il Papa, non pare in cima ai pensieri del mondo politico.

Nonostante i corrotti rubino al Paese, dice la Corte dei Conti, almeno 60 miliardi l’anno. Dodici volte l’Imu sulla prima casa.
Non è la prima volta che Jorge Mario Bergoglio va giù duro sulle bustarelle. Quand’era a Buenos Aires si scagliò contro il fenomeno con parole di fuoco, raccolte poi in un libro pubblicato dalla Emi (Editrice missionaria italiana) sotto il titolo «Guarire dalla corruzione». La sintesi è questa: «Il peccato si perdona, la corruzione non può essere perdonata». Di più: «La corruzione puzza. Odora di putrefazione»

Lo dicessero altri, immaginiamo la replica: «Uffa, il solito moralismo!» La stessa insofferenza che da anni colpisce chi, come don Luigi Ciotti, combatte con Libera una guerra frontale al sistema delle tangenti nella convinzione che «la corruzione è più grave del semplice peccato perché è un peccato sociale. Un male che si esercita non solo contro l’altro ma attraverso gli altri. Il corruttore ha sempre bisogno di un corrotto».
Non è solo una questione etica. Come spiegava tempo fa il Procuratore generale della Corte dei Conti, Furio Pasqualucci, «in tempi di crisi come quelli attuali» il peso delle tangenti è tale «da far più che ragionevolmente temere che il suo impatto sociale possa incidere sullo sviluppo economico del Paese» perfino oltre le stime «del servizio Anticorruzione e Trasparenza del ministero della Funzione pubblica, nella misura prossima a 50/60 miliardi di euro all’anno costituenti una vera e propria tassa immorale e occulta pagata con i soldi prelevati dalle tasche dei cittadini».
Una tesi ribadita dal successore Salvatore Nottola, secondo il quale le bustarelle fanno impennare del 40% il costo delle grandi opere. Un’affermazione raccolta dalla Cgia di Mestre che, partendo dai 233,9 miliardi di euro del programma delle infrastrutture strategiche 2013-2015, redatto dal governo Monti, ha calcolato che su questi lavori le tangenti peserebbero per 93 miliardi di euro in più. L’equivalente di quasi 6 punti di Pil. Gravando su ogni cittadino italiano per 1.543 euro».
Allora ti chiedi: come è possibile che i cittadini, così sensibili (giustamente) ai rincari di 50 o 100 euro sulle bollette della luce o del gas possono rassegnarsi a un prelievo medio di cinquemila euro l’anno a famiglia? Com’è possibile che non si rivoltino se lo studio «Eurobarometer 2011», presentato nell’autunno 2012, ha accertato che nell’arco dell’anno precedente 12 italiani su 100, quasi uno su otto, si erano sentiti rivolgere «almeno una richiesta, più o meno velata, di tangenti»?
Gian Antonio Stella (Corriere)

I numeri di «Transparency», l’organismo internazionale che misura la percezione della corruzione nei vari Paesi, del resto, dicono tutto. Nel 1995, mentre entravano nel vivo i processi di Tangentopoli quando l’Italia intera era impazzita per il pool di Mani Pulite e il settimanale Cuore rideva della catena di arresti giocando a tutta pagina sulla pubblicità Alpitour («No San Vitùr? Ahi ahi ahi…»), eravamo al 33º posto nella classifica dei Paesi virtuosi. Dieci anni dopo, come se l’onda moralizzatrice non fosse mai avvenuta, al 40º. Nel 2008 al 55º. Nel 2009 al 63º. E via via abbiamo continuato a scendere fino all’umiliante 72ª posizione del 2012. Quando ci siamo ritrovati un posto sotto la Bosnia Erzegovina e addirittura otto sotto il Ghana.
Uno scivolone mortificante. Sulla scia dei numeri sconcertanti forniti nel 2008 dall’Alto commissariato per la lotta alla corruzione. Dove le tabelle, su dati ufficiali del ministero della Giustizia, dimostravano dal 1996 al 2006 una catastrofica sconfitta: da 608 a 210 condanne per peculato. Da 1159 a 186 per corruzione. Da 555 a 53 per concussione. Da 1305 a 45 per abuso d’ufficio. Un tracollo. Ancora più grave in alcune situazioni locali. Da 421 a 38 condanne per corruzione in Lombardia, da 123 a 3 in Sicilia…
Non bastasse, uno studio di Pier Camillo Davigo e Grazia Mannozzi dimostra che anche i pochissimi che sono stati condannati per corruzione se la sono cavata con un buffetto: il 98% con meno di due anni di carcere. Ovviamente condonati. Una percentuale che grida vendetta e dimostra l’abisso che ci separa ad esempio dall’America. Il deputato californiano Randy «Duke» Cunningham, ha avuto per corruzione (anche se era un eroe dell’aviazione al centro del film «Top Gun») otto anni di galera. Il governatore dell’Illinois George Ryan, candidato al Nobel della pace per la sua avversione alla pena di morte, sei e mezzo. Il suo successore Rod Blagojevich, che cercò di vendersi il seggio di senatore lasciato libero a Chicago da Barack Obama, addirittura quattordici. Uscirà, se avrà tenuto una buona condotta, nel 2024.
È un peso enorme, quello delle mazzette. Perfino al di là dell’aspetto morale. Lo testimonia un dossier di Confindustria del 2012 che spiega come gli investimenti esteri in Italia siano precipitati dal 2% del totale spalmato su tutto il pianeta nel periodo 2000-2004 a un misero 1,2% negli anni 2007-2011. Quasi un dimezzamento. Una sconfitta storica. Ancora più grave nel Mezzogiorno. Spiega infatti quel dossier che di tutti i soldi stranieri arrivati nel nostro Paese quelli investiti in Campania sono stati l’1%, in Puglia lo 0,8%, in Sardegna lo 0,6%, in Sicilia lo 0,4%, in Calabria lo 0,2 e in Basilicata lo 0,1…
Risultato finale: tutto il Sud messo insieme, compreso l’Abruzzo (2,2%) e il Molise (zero!) non ha raccolto che il 5,3%. Sarà una coincidenza se, nel grafico dell’Istituto di ricerca «Quality of Government Institute» del 2010 le nostre regioni sono considerate, tra 172 regioni europee, tra le più corrotte?

7.11.13

Wired Diventa Digital First

Wired Diventa Digital First

Sono entrato in possesso della lettera alla redazione da parte di Massimo Russo,  Direttore di «Wired», che illustra i cambiamenti della rivista da dicembre sia in termini di contenuti, di pubblico di riferimento e, soprattutto, di cultura.
- word cloud lettera redazione Wired -
– word cloud lettera redazione Wired -

La pubblico integralmente poichè i contenuti sono davvero interessanti da diversi punti di vista. Come si può leggere infatti, oltre alle novità che caratterizzeranno la testata, sia nella sua edizione cartacea che digitale, è  la filosofia, l’approccio che è di valore.
Si va oltre la specializzazione per piattaforma, finalmente, per arrivare ad una connotazione della rivista per tema. Si chiarisce, opportunamente poichè forse a molti non è ancora del tutto chiaro, che una strategia digital first non significa pubblicare prima online e poi sulla carta ma avere una presenza in Rete a tutto tondo presidiando e mantenendo la relazione con le comunità di riferimento.
Dalla lettera si comprendono anche nuovi modelli di business, nuove fonti di ricavo generate attraverso estensioni fisiche e “virtuali” del brand, della testata, e una maggiore apertura nella relazione con i lettori con la possibilità di costruire pezzi/storie insieme a loro.
Più che di tecnica credo si tratti di un approccio, di attitudine mentale, insomma di cultura. Giudicate voi stessi.
ALLA REDAZIONE
Dal numero di dicembre cambieremo Wired Italia. Dopo tutte le riunioni, le discussioni, la fatica per raffinare e confutare le idee, ci siamo. Sappiamo tutti quel che c’è da fare, ma un minuto prima del “pronti, via” sento comunque il bisogno di condividere la piccola solennità del momento.
“Questo non è un giornale” è la frase che meglio rappresenta il nuovo metodo.
Al mensile, rinnovato secondo il progetto che abbiamo realizzato insieme in questi mesi, si affiancheranno in modo sempre più significativo l’organizzazione di eventi (Live) e il digitale, con il nuovo sito. Il nostro fuoco non sarà più la tecnologia ma l’innovazione, e l’intersezione tra questa e l’economia, con l’obiettivo di non raccontare solo storie ma di fornire soprattutto strumenti utili. Non più futuro remoto, ma soluzioni per il presente. Su questi temi dovremo avere la capacità di battere moneta, creando informazione, dettando opinione. La nostra comunità di riferimento saranno i millennials, i nati dopo il 1980, una generazione che non trova nulla che le parli nei media tradizionali, e i “ribelli silenziosi” tra i 35 e i 50 anni, donne e uomini che non si rassegnano alla decrescita felice e – nonostante le profezie di sventura – ogni giorno intraprendono, inventano, sbagliano, realizzano.
Siamo la testata di chi si riconosce in un Paese:
  • creativo, fantasioso, vitale, passionale;
  • che vede post–moderno e globale non come una minaccia ma come un’opportunità;
  • aperto e in grado di integrare culture diverse perché consapevole e forte della propria;
  • i cui cittadini sono individui liberi, responsabili, adulti;
  • che crede al merito e alla necessità di assicurare a tutti uguali possibilità;
  • lieve;
  • curioso di scoprire, fiducioso di intraprendere, proiettato verso l’innovazione;
  • preoccupato delle città, del paesaggio e della qualità della vita che lascerà dietro di sé. 
Il nuovo Wired non solo tratterà di innovazione ma la metterà in pratica. Saremo il primo magazine in Italia a integrare la redazione tra mobile, web, carta e tablet, e a realizzare il digital first. Le specializzazioni non saranno più per piattaforma ma per tema. Digital first non significa che pubblicheremo prima online e poi sulla carta, ma che il nostro lavoro partirà dalla relazione digitale con la nostra comunità di riferimento: 250mila persone che ogni giorno ci scelgono sul sito e sui social. Non si tratta di un’innovazione tecnica, ma di cultura.
Wired Italia incarna l’innovazione e le promesse che essa porta con sé. Il nostro valore più importante è relazione di fiducia con la comunità che rappresentiamo, con la quale interagiamo attraverso diversi linguaggi e strumenti:
a. il sito web
b. il web oltre il sito (Facebook, Twitter, gli altri social…)
c. la dimensione video
d. l’interactive edition su tablet
e. il mensile
f. le estensioni fisiche e virtuali del marchio (Wired Next Fest, eventi verticali, format video, long form, data journalism, e così via).
La chiave di volta del metodo è il digital first. La testata multipiattaforma non è più una novità, ma un requisito del nostro tempo per ogni marchio.
Il nuovo Wired va oltre: il sito e la rete non sono più una delle piattaforme disponibili, saranno il punto di partenza nella costruzione del numero, che una volta al mese si materializzerà nel distillato della carta e nell’interactive edition per i tablet. Il primo confronto di Wired con il tempo e la rilevanza sarà il lavoro quotidiano in rete. Non si tratta di anticipare su web i contenuti del giornale, ma di lavorare in redazione a partire da internet e dal dialogo con la comunità di Wired: come coprire le notizie, in quale forma, con quali strumenti. Significa essere disposti a condividere idee e spunti con i lettori attraverso i social e raccogliere da loro suggerimenti e commenti.
In questo senso la testata non è più solo un soggetto che produce comunicazione, ma diventa una piattaforma aperta, in grado di aggiungere ai valori tradizionali del reporting e della gerarchia, il dialogo sui temi che ogni giorno si intrecciano sul digitale. Tale valore non si paleserà solo attraverso gli articoli, ma anche attraverso nuove forme di attività giornalistica, come la cura e l’aggregazione dell’informazione prodotta da altre fonti, l’attenzione da parte di tutti noi alle statistiche di traffico del sito e alle tendenze della rete, la raccolta e la condivisione di dati, il crowdsourcing, l’individuazione sul nascere di temi che diventeranno rilevanti.
Un processo di questo genere ci porterà a innalzare l’asticella del livello di qualità minimo del giornale mensile. I nostri articoli dovranno acquisire standard più elevati, e unire al reporting pluralità di fonti, voglia di sorprendere, capacità di analisi, taglio originale, commento e punti di vista inediti. Anche per questo – come già sapete – ridurremo la periodicità del cartaceo a 10 numeri, con l’aggiunta di un paio di numeri speciali l’anno. Il numero di dicembre porterà in testata la dicitura Dicembre/Gennaio, e rimarrà in edicola fino al 24 gennaio. Ciò consentirà di rivedere l’organizzazione e i processi redazionali in ottica digital first, dedicando risorse e investimenti anche alle aree Digitale e Live.
Tutti cambieremo un po’ mestiere, secondo le linee che abbiamo già cominciato a discutere e le mansioni annunciate. Mi aspetto che una definizione di quanto muterà il nostro lavoro arrivi solo con la pratica di ogni giorno. Saremo tutti protagonisti di questa riscrittura. Anche con lo scontro, la dialettica, la critica e l’esercizio costante del dubbio. Diamo valore alla gerarchia delle idee, come se fossimo una start up. Solo i principi di delega e responsabilità dei singoli possono farci crescere. Non è uno stucchevole luogo comune: il confronto aperto produce una sintesi superiore alla somma delle parti. Sempre. È la stessa apertura che – come redazione – dovremo dimostrare nei confronti di quelli che un tempo avremmo chiamato lettori.
Wired è la testata che non solo parla di innovazione, ma è il primo magazine italiano a farlo adottando la formula del giornale piattaforma aperta, open source. L’innovazione non è solo il nostro core business, ma è anche la forma che utilizziamo per raccontarla. Molto è da inventare, ma proprio per questo ho già una certezza: ci sarà da divertirsi. E spero che questo piacere trasparirà da quel che pubblicheremo ogni giorno.
In bocca al lupo a tutti noi.
Massimo Russo

1.11.13

Stephen King, Chuck Palahniuk, Joe Lansdale e Kurt Vonnegut. Consigli (di dubbia utilità) per scrivere meglio

Stephen King

1. Arriva al punto

Non perdere tempo, non annoiare il tuo lettore con introduzioni infinite e aneddoti sulla tua vita. Cerca di ridurre le parole inutili. Cerca di arrivare al punto prima che il lettore perda la pazienza.

2. Scrivi, poi fermati

Lascia riposare i tuoi lavori nel cassetto. Per quanto tempo? Dipende. Stephen King archivia le bozze per diversi mesi prima della rilettura e dell'editing.

3. Elimina il testo inutile

La rilettura è il momento giusto per rimuovere le frasi e le parole superflue, per dare chiarezza al messaggio. E affilarne l'emotività.

4. Sii credibile

I personaggi di Stephen King sono credibili perché hanno lati buoni e cattivi. Perché hanno difetti, passioni, paure, debolezze. Questo meccanismo crea un forte legame con il lettore che si affeziona ai protagonisti dei suoi romanzi.

5. Ascolta (ma non troppo) i giudizi

Un libro, un articolo, un post sul blog: cosa hanno in comune? Il feedback esterno. Stephen King riceve una quantità infinita di commenti, lettere, recensioni, critiche letterarie. Non sempre i toni sono positivi, ma non per questo mette un punto alla sua carriera.

6. Leggi molto

Leggere vuol dire imparare. E ogni scrittore che si rispetti deve leggere molto per trovare nuovi input, per ampliare gli orizzonti, per approfondire la conoscenza e mescolarla con nuove influenze.

7. Scrivi molto

Ultimo consiglio, il più importante: devi scrivere di più. È un'osservazione ovvia che diventa insidiosa quando non hai voglia di scrivere. L'ispirazione non arriva a comando

Chuck Palahniuk

1. Due anni fa, il primo di questi saggi che scrissi riguardava il mio metodo di scrittura a “timer da cucina”. Non hai mai letto questo saggio, ma ecco il metodo: quando non ti va di scrivere, imposta un timer da cucina su un’ora (o mezz’ora) e siediti a scrivere finché il timer non suona. Se ancora non ti va di scrivere, sarai comunque libero in un’ora. Ma di solito, non appena il timer suona, sarai così coinvolto e divertito dal lavoro che continuerai. Al posto del timer, puoi azionare una lavatrice o una lavastoviglie e usarle come cronometro. Alternare all’impegno della scrittura il lavoro ripetitivo di queste macchine ti darà le pause necessarie per le nuove idee e le intuizioni di cui hai bisogno. Se poi non sai come continuare la storia… pulisci il bagno, cambia le lenzuola, per amor del cielo!, spolvera il computer. Arriverà una idea migliore.

2. Il tuo pubblico è più intelligente di quanto immagini. Non aver paura di sperimentare nuove forme narrative e temporali. La mia personale teoria è che i lettori di oggi disdegnano molti libri non perché questi lettori siano più stupidi di quelli del passato, ma perché sono più intelligenti. Il cinema ci ha resi molto sofisticati riguardo alla narrazione. Il tuo pubblico è più difficile da shockare di quanto tu possa immaginare.

3. Prima di sederti a scrivere una scena, ripassala più volte a mente così da conoscere lo scopo di quella scena. A quali scene precedenti si salderà? Che cosa disporrà per quelle successive? Come porterà avanti il tuo plot? Mentre lavori, guidi, fai ginnastica, tieni a mente solo questa domanda. Prendi nota delle nuove idee. E soltanto quando avrai deciso lo scheletro della scena, siediti e scrivilo. Non metterti davanti a quell’impolverato e noioso computer senza avere qualcosa in mente. Non sfiancare il tuo lettore con una scena in cui succede poco o niente.

4. Sorprenditi. Se riesci a portare la storia – o se la storia porta te – in un posto che ti stupisce, allora potrai sorprendere il tuo lettore. Nel momento in cui riesci a vedere chiaramente una sorpresa, lì ci sono delle possibilità e così sarà per il tuo sofisticato lettore.

5. Quando sei bloccato, torna indietro e leggi le prime scene, cerca personaggi dimenticati o dettagli da riutilizzare come assi nella manica. Quando ho finito di scrivere Fight Club, non avevo idea di cosa fare con il palazzo degli uffici. Ma rileggendo la prima scena, trovai delle note su come mescolare la nitroglicerina con la paraffina e su quanto non fosse un metodo sicuro per farne un esplosivo al plastico. Questa sciocchezza (non ho mai avuto nulla a che fare con la paraffina) fu il perfetto asso nella manica da tirare fuori alla fine per salvare il culo alla mia storia.

6. Usa la scrittura come scusa per organizzare una festa a settimana, anche se chiamerai quella festa “workshop”. Ogni volta che passi del tempo tra persone che valorizzano e sostengono la scrittura, bilancerai tutte le ore che trascorri da solo scrivendo. Anche se un giorno piazzerai il tuo libro, nessuna somma di denaro potrà ricompensarti di tutto il tempo trascorso da solo. Quindi, prenditi un anticipo sulla paga, fai della scrittura una scusa per stare in mezzo agli altri. Alla fine della tua vita, credimi, non vorrai guardare indietro per assaporare i momenti in cui sei stato solo.

7. Accetta l’Ignoto. Questo piccolo consiglio viene da un centinaio di persone famose, da Tom Spanbauer a me e ora a te. Più a lungo permetti alla tua storia di prender forma, migliore sarà la forma che avrà. Non forzare né affrettare la fine di una storia o di un libro. Tutto ciò che devi conoscere è la scena successiva, o poche scene successive. Non devi conoscere ogni momento fino al finale. Se così fosse, scrivere sarà noioso da morire.

8. Se hai bisogno di più libertà per la storia, bozza dopo bozza, cambia il nome dei personaggi. I personaggi non sono reali, e non sono te. Cambiandone arbitrariamente i nomi, puoi trovare la distanza di cui hai bisogno per tormentare veramente un personaggio. O peggio, eliminarlo, se è ciò di cui la storia ha bisogno.

10. Scrivi il libro che vorresti leggere.

11. Fatti le foto per la bandella ora che sei giovane. E tieniti i negativi e i diritti.

12. Scrivi di cose che davvero ti fanno arrabbiare. Sono le uniche cose di cui vale la pena scrivere. Nel suo corso, chiamato “Scrittura pericolosa”, Tom Spanbauer sottolinea che la vita è troppo preziosa per passarla a scrivere storie noiose e convenzionali con le quali non hai nessun legame. Ci sono tante cose di cui Tom ha parlato ma ne ricordo solo mezza: l’arte della “manomissione”, che non so spiegare, ma ho capito che ha a che fare con la cura che ci metti per emozionare un lettore attraverso i passaggi di una storia; e la “sous conversation” che penso indichi il messaggio nascosto e sepolto sotto l’evidenza. Poiché non sono a mio agio nel descrivere cose che ho capito a metà, Tom ha deciso che scriverà un libro sul workshop e le sue idee.

13. Un’altra storia di vetrine natalizie. Quasi ogni mattina faccio colazione nello stesso locale e questa mattina un uomo stava decorando le finestre con disegni natalizi. Un pupazzo di neve. Fiocchi di neve. Campane. Babbo Natale. Se ne stava sul marciapiede, dipingendo nel freddo gelido, col fiato fumante, alternando pennellate e rullate di differenti colori. Nel locale, i clienti e i camerieri lo osservavano stendere vernice rossa, bianca e blu al di fuori delle grandi finestre. Dietro di lui la pioggia intanto era diventata neve, spinta di traverso dal vento. I capelli del pittore erano di tutte le sfumature di grigio e la sua faccia pigra e rugosa come il culo vuoto dei suoi jeans. Tra un colore e un altro, si fermava a bere qualcosa da un bicchiere di carta. Qualcuno, guardandolo dall’interno, disse – tra un uovo e un toast – che era triste. Probabilmente, disse questo cliente, l’uomo era un artista fallito. Probabilmente c’era del whisky dentro il bicchiere. Probabilmente aveva lo studio pieno di dipinti mal riusciti e ora per vivere faceva decorazioni per ristoranti da quattro soldi e vetrine di alimentari. Davvero triste, triste, triste. Questo pittore continuava a mettere i colori. Prima tutto il bianco “neve”. Poi qualche passata di rosso e verde. Poi qualche linea che dava forma ai colori in calze natalizie e alberi. Un cameriere che girava fra i tavoli versando caffè alle persone, disse: “È così preciso. Vorrei saperlo fare anch’io…”. E per quanto potessimo provare invidia o compassione per quel tizio nel freddo, lui continuava a dipingere. Aggiungendo dettagli e strati di colore. E non so quando accadde, ma a un certo punto lui non c’era più. Le immagini stesse erano così ricche, riempivano la vetrina così bene, i colori erano così vividi, che il pittore se ne andò. Che fosse un fallito o un eroe. Sparì, andato chissà dove e tutto ciò che vedevamo era il suo lavoro.

Joe Lansdale

1. Leggi tanto.

2. Scrivi con costanza.

3. Se ti è possibile abbi un tempo fisso per lavorare.

4. Se non puoi averlo, trova il metodo che ti si adatti.

5. Dimenticati l’ispirazione. Sei tu la tua musa. Se scrivi la musa si rinforza e arriva ogni giorno.

6. Ciò detto, alcuni giorni sono meglio di altri, ma anche i giorni che non ti va bene come negli altri, qualche volta sono migliori di quello che ti saresti atteso. Questo ti riporta ai punti 2 e 3.

7. Finisci ciò che scrivi. Qualche volta puoi rimuginare altri progetti per quando il tempo te li permetterà, ma abbi un progetto principale e finiscilo. Se fai una verifica a fine anno e ti trovi con un assortimento di frammenti incompleti, probabilmente qualcosa è andato storto.

8. Ricordati che non è quanto a lungo lavori o quanto bene lo fai. Meglio avere un obiettivo piccolo che puoi portare avanti giorno per giorno che non un progetto troppo grande che ti darà solo frustrazioni e delusioni costantemente.

9. Non permettere ad alcuna regola di governarti. Eccetto quella del leggere e dello scrivere. Buona fortuna.

Kurt Vonnegut

1. Fate in modo che i vostri lettori non pensino di aver sprecato tempo per leggervi.

2. Date al lettore almeno un personaggio per cui possa fare apertamente il tifo.

3. Ogni personaggio che si rispetti deve volere qualcosa, fosse anche solo un bicchiere d’acqua.

4. Ogni frase deve fare una di queste due cose: rivelare un personaggio o portare avanti l’azione.

5. Iniziate la narrazione il più possibile vicino alla fine.

6. Siate sadici. Non importa quanto sia dolce, amabile e simpatico il protagonista del vostro racconto: fategli accadere cose terribili, in modo che il lettore possa vedere di che è pasta è fatto.

7. Scrivete pensando di essere graditi a un lettore solo. Se si pensa di poter piacere a tutti, non si piacerà a nessuno.

8. Date al lettore più informazioni possibili, il più presto possibile. Al diavolo la suspense. I lettori devono avere una completa comprensione di ciò che accade, del quando e del perché. Dategli l’impressione che potrebbero aver scritto loro stessi la vostra storia, con facilità.

Ray Bradbury

1. Mettersi al lavoro: Tu non sai quello che si può fare fino a quando si tenta, ha detto Bradbury. Gli scrittori invece di chiedere che cosa devo fare? Devono domandarsi che cosa sono io? E iniziare a scrivere da quella risposta.

2. Visita la biblioteca spesso: La visita a una biblioteca è essenziale per diventare un buon scrittore, per Bradbury è un luogo pieno di sorprese, a volte è meglio sbarazzarsi del computer e di Internet.

3. Guardare buoni film: Bradbury dice che la visione di buoni film aiuta a migliorare la scrittura.

4. Dieci cose che amo, dieci cose che odio: Bradbury consiglia di fare una lista di dieci cose che si amano, dieci cose che si odiano e dieci cose di cui si ha paura. Nella scrittura bisogna quindi esaltare ciò che si ama e uccidere ciò che si odia e fa paura.

5. Scegliete con cura ciò che si legge: Bradbury sostiene che questa risorsa è fonte di creatività.

6. Tenete lontano i vostri idoli: Va bene avere scrittori che si ammirano, ma si corre il rischio di copiarli sia consciamente che inconsciamente, quindi è essenziale trovare la propria identità.

7. Iniziate scrivendo brevi testi: L'ansia è comune in coloro che si avviano nel mondo della scrittura. Bradbury consiglia di essere pazienti e di non iniziare un romanzo: è preferibile partire scrivendo racconti brevi e imparare la l’arte. Se ci si imbarca sulla scrittura di un romanzo è difficile sapere come sarà il risultato finale. Invece, se si scrive testi brevi, si può vedere il risultato alla fine della settimana e l’autostima ne trarrà beneficio.

8. Scrivi la prima cosa che viene in mente: Bradbury, per combattere il blocco dello scrittore, aveva un cartello che diceva di non pensare proprio accanto alla macchina da scrivere. Se la mente è completamente vuota è perché si sta facendo qualcosa di sbagliato e non si sta divertendo e allora è consigliabile tornare alla linea di pensiero in cui eravate prima di perdere l'ispirazione.

9. Alimenta la tua fantasia: Una tecnica che Bradbury raccomanda di usare per mantenere la mente sveglia è quella di leggere un racconto, una poesia e un saggio ogni sera prima di andare a dormire: è un metodo utile per integrare le informazioni ed alimentare la creatività.

10. Mantenete la distanza da persone che non credono in te: Bradbury consiglia di stare lontano dalle persone che non credono nel talento che avete.

11. Non pensate a fare soldi: Vi disamorereste del mestiere.

12. Scrivete con uno scopo: Chiedetevi che cosa si vuole creare con la vostra scrittura. Ci sono persone che cercano di lasciare un messaggio, altri creano qualcosa di bello, un po ' di ritrarre una certa realtà. Lo scopo di Bradbury è stato quello di essere amato per quello che ha fatto.

13. Godete: Pensate alla scrittura - più che a un lavoro - a un processo gioioso e non qualcosa di serio. Tanto è vero che uno scrittore famoso disse di non aver mai lavorato un giorno in vita sua.

George Orwell

1. Non usate metafore, similitudini o altre figure retoriche che siete abituati a vedere sui giornali.
2. Non usate una parola lunga quando è possibile usarne una corta.
3. Se è possibile tagliare una parola, tagliatela sempre.
4. Non usate il passivo quando potete usare la forma attiva.
5. Non usate una frase straniera, un termine scientifico o una parola gergale quando è possibile pensare a un termine equivalente nell'inglese comune.
6. Violate ognuna di queste regole piuttosto che scrivere qualcosa di barbaro.