29.6.12

Una lira da scordare

Massimo Gramellini

Mettono tenerezza i cittadini che chiedono la rottamazione dell’euro e il ritorno alla vecchia moneta. Non rimpiangono la lira, ma il tempo della lira. Quando le famiglie risparmiavano ancora, l’economia cresceva poco ma cresceva, e la svalutazione gonfiava gli affari. Fare un mutuo costava il doppio di adesso e l’inflazione viaggiava a due cifre, però i cinesi stavano dietro la Muraglia, gli slavi ansimavano dietro il Muro e i brasiliani e gli indiani esportavano solo miseria. Il mondo era un posto relativamente piccolo e ordinato che coincideva con l’Occidente. Ma se oggi tornasse la lira, di quel tempo tornerebbe soltanto lei. Insieme con l’inflazione a due cifre. I cinesi non andrebbero certo indietro, e nemmeno i brasiliani. In compenso noi andremmo al supermercato con la carriola: non per infilarci la spesa ma i soldi necessari a comprarla. Una pila di cartaccia che della vecchia lira conserverebbe soltanto il nome. Secondo i calcoli più ottimistici perderemmo in un giorno il 30 per cento del valore di tutto ciò che ci resta, diventando la replica della Germania di Weimar che fece da culla al nazismo.

Mettono tenerezza i cittadini spaventati dal futuro, quando si aggrappano a un passato che non può tornare. Mentre provocano soltanto rabbia quei politici che queste cose le sanno benissimo, ma preferiscono lisciare il pelo del popolo impaurito invece di guardarlo negli occhi e dirgli parole adulte: che chi perde la strada deve resistere alla tentazione di tornare indietro, perché solo andando avanti troverà il sentiero che lo riporterà sulla strada perduta.

28.6.12

Sono uguale a voi quel volto bianco accanto ai pugni neri

Gianni Mura (La Repubblica)

Bisogna sforzarsi di non guardare i due a testa bassa, il pugno chiuso alzato in un guanto nero, calze nere e niente scarpe, sul podio. Bisogna concentrarsi sull' atleta di sinistra, bianco, lo sguardo dritto, le braccia lungo i fianchi. Bisogna ricordare alcune cose, di quel 1968 perennemente associato al Maggio francese. Il 16 marzo il massacro di My Lai, il 4 aprile l' assassinio di Martin L. King, il 5 giugno tocca a Bob Kennedy. Aggiungiamoci il Biafra, i carri armati sovietici sulla primavera di Praga, la strage di piazza delle Tre Culture poco prima che cominci l' Olimpiade messicana. Bisogna sapere che la finale dei 200 metri la vince Tommie Smith in 19"83 (primo a scendere sotto i 20") davanti a Norman (20' 06")e Carlos (20' 10"). Carlos parte forte, troppo forte. Smith lo passa a 30 metri dalla linea e corre gli ultimi 10 a braccia alzate. Norman ai 100 metri è solo sesto, viene fuori nel finale, supera Carlos negli ultimi metri. Bisogna sapere che nel ' 67 Harry Edwards, sociologo a Berkeley, voce baritonale, discreto discobolo, ha fondato l' Ophr, Olympic program for human rights. L' idea è che gli atleti neri boicottino i Giochi, ma è difficile da realizzare. Chi aderisce porta il distintivo, una sorta di coccarda, ed è libero di manifestare la sua protesta come crede. Smith e Carlos, accolti alla San José perché bravi atleti, a loro volta studenti di Sociologia, portano il distintivo e vogliono manifestare. Bisogna anche avere un' idea sull' età dei tre sul podio. Tutti nati nel mese di giugno. Smith nel Texas, settimo di undici figli. Ha 24 anni. Suo padre raccoglie cotone. Normanè il più anziano, ha 26 anni, suo padreè macellaio, famiglia molto credente e vicina all' Esercito della salvezza. Carlos ha 23 anni,è figlio di un calzolaio, natoe cresciuto ad Harlem. Appena giù dal podio la loro carriera sarà finita, bruciata, e la vita un inferno. Ma loro non lo sanno e, se lo sanno, non gliene importa. Nel sottopassaggio che va dagli spogliatoi al podio Norman assiste ai preparativi dei due americani. Tutto è fortemente simbolico, dalla mancanza di scarpe (indica la povertà) alla collanina di piccole pietre che Carlos mette al collo (ogni pietra è un nero che si batteva per i diritti ed è stato linciato). Smith e Carlos spiegano. E Norman dice: «Datemi uno dei distintivi, sono solidale con voi. Si nasce tutti uguali e con gli stessi diritti». Così anche Norman sistema la coccarda sulla sinistra della tuta. C' è un problema, Carlos ha dimenticato i suoi guanti neri al villaggio, mentre Smith ha con sé quelli comprati da Denise, sua moglie. «Mettetevene uno tu e l' altro tu», consiglia Norman. Così fanno. Smith alza il pugno destro e Carlos il sinistro. «Se ne pentiranno tutta la vita», dice Payton Jordan, capodelegazione Usa. Vengono cacciati dal villaggio, Smith e Carlos. Uno camperà lavando auto, l' altro come scaricatore al porto di New York e come buttafuori ad Harlem. Sono come appestati. A casa di Smith arrivano minacce e pacchi pieni di escrementi, l' esercito lo espelle per indegnità. A casa di Carlos minacce telefoniche a ogni ora del giorno e della notte. Sua moglie si uccide. Solo molti anni dopo li riprenderannoa San José, come insegnanti di educazione fisica. E nel 2005 Norman sarà con loro, per l' inaugurazione di un monumento che ricorda quel giorno in Messico. Norman in Australia viene cancellato. Supera 13 volte il tempo di qualificazione per i 200 e 5 quello per i 100, ma a Monaco ' 72 non lo mandano. Nessuna spiegazione. Gioca a football ma smette per un infortunio al tendine d' Achille, rischia l' amputazione di una gamba. Insegna educazione fisica, svolge attività sindacale, arrotonda in una macelleria. Il più grande sprinter australiano non è coinvolto in Sydney 2000 né tantomeno invitato (col suo 20"06 avrebbe vinto l' oro). Sofferente di cuore, muore il 3 ottobre 2006. Smith e Carlos vanno a reggere la bara, il 9 ottobre. La banda suona "Chariots of fire". Il 9 ottobre diventa, su iniziativa Usa, la giornata mondiale dell' atletica. Il nipote Matt ha girato un lungometraggio sul nonno, intitolato "Salute", trovando pochi finanziatori in patria («È una storia che riguarda due atleti neri»). Non erano due neri e un bianco a chiedere rispetto e giustizia su quel podio, erano tre esseri umani. «Sono affari vostri», poteva dire Norman, ma non lo disse e non si pentì mai, e gli altri due nemmeno. Tutte cose che la foto non dice.

26.6.12

Il Faraone alla corte del Celeste

di Claudio Bellinzona (Non mi fermo)

Per me pagare Abelli era come stipulare un’assicurazione. Dovevo tenermi buono un personaggio politico che nel settore contava molto (…) Alcuni sono stati costretti alle dimissioni solo per un sospetto, altri sono stati premiati con la nomina ad assessore.

Giuseppe Poggi Longostrevi

Ci sono persone che ti accompagnano per una vita, così come prima hanno accompagnato quella dei padri. Si tratta di figure contornate da uno strano alone di mito, il cui potere si estende per generazioni, confondendosi nella fluida e magmatica oscurità del tempo. Nomi grigi che a volte non hanno nemmeno un volto perché non ne hanno bisogno. Uomini (perché è difficile si tratti di donne) in grado di condizionare l’immaginario pubblico della tua città o monopolizzare per anni i discorsi nei bar.

Ecco, una di queste persone si chiama Gian Carlo Abelli, settantunenne ex-democristiano oggi deputato nelle file del PDL. La sua carriera, esclusivamente politica (perché Abelli, dagli anni ’70, non ha mai avuto una professione indipendente da nomina politica), si sviluppa lungo un percorso piuttosto lineare in termini per così dire politici, benché più volte ostacolato da alcuni spiacevoli inconvenienti.

Gli inizi

Dai primi anni ’70 la sua posizione si consolida all’interno della DC lombarda e ciò, a partire dal 1974, gli permette di diventare il più giovane presidente di uno dei più importanti ospedali della Regione (e non solo), il Policlinico San Matteo di Pavia. Abelli non è né un manager né un esperto di sanità; non è neppure laureato, ma dimostra già la scaltrezza del politico della “prima Repubblica”: consensi elettorali, amicizie, rapporti trasversali. A favorirlo in questa impresa forse anche il suo piglio ruvido, accentuato dal marcato accento oltre-padano, e un’esibita tracotanza nei modi (per questo basta vedere alcune delle sue più recenti interviste per farsi un’idea).

Nasce il mito del “Faraone”. Perché è così che incominciano a chiamarlo un po’ tutti perché è lui – solo lui – decidere tutto al Policlinico. Non c’è niente che si muova senza il permesso del Faraone.

Molto prima di Tangentopoli, però, Abelli subisce l’onta del carcere. Nel 1985, infatti, viene accusato di peculato, ma dal processo ne esce assolto (la faccenda riguardava in particolare polizze che il Policlinico aveva firmato proprio a partire dal 1974). A pagarne le conseguenze, invece, il fratello della (futura) moglie di Abelli, l’assicuratore Claudio Gariboldi: arrestato e condannato per truffa.

Il contraccolpo non produce alcun effetto, anzi. Il suo potere locale cresce e, con esso, anche il prestigio politico in Regione Lombardia tanto da essere nominato Presidente della Commissione Consiliare Sanità. Abelli e la sanità sembrano ormai essere una cosa sola, la stessa.

Sua Sanità (Lombarda)

Risalgono a quegli anni i rapporti fra Gian Carlo Abelli e Giuseppe Poggi Longostrevi. Quest’ultimo noto alle cronache per il fiorente business delle cliniche private; tanto redditizio da essere soprannominato “Re Mida”. Peccato che nel 1997 la magistratura scoprì che il medico-manager era il responsabile di una truffa miliardaria ai danni del Servizio Sanitario Nazionale basata su false prescrizioni sanitarie ed esami inutili. Oltre a decine di condanne (e centinaia prescrizioni), nei rivoli dell’inchiesta ci finisce anche Gian Carlo Abelli.

Per lui, all’epoca non più Presidente di Commissione bensì consulente di Roberto Formigoni, la magistratura accerta un “versamento” di 72 milioni di lire che il beneficiario giustifica come saldo per una consulenza (“non effettiva” dirà la sentenza). L’accusa sarà dunque di frode fiscale e l’esito un’assoluzione in quanto la nuova normativa stabilisce che le false fatture sono punibili solo in caso ci sia “il dolo specifico di far evadere le tasse”.

Nel 2000 Poggi Longostrevi si uccide con una dose letale di barbiturici. Ai posteri lascerà alcune dichiarazioni (qui in esergo) non proprio confortanti anche sull’amico Abelli. Lui, il Faraone, nel frattempo diventa assessore di Formigoni e, sebbene alla “Famiglia e Solidarietà Sociale” (dove passano comunque le decisioni su case di cura e centri anziani), mantiene salda la sua posizione di riferimento in ambito sanitario.

Roma, senza lasciare Milano

Passano gli anni e la Sanità Lombarda diventa “un modello” fondato su alcuni pilastri. In particolare, sulla distinzione fra enti acquirenti (le ASL) ed erogatori di prestazioni sanitarie (le Aziende Ospedaliere) e sulla parità di condizioni degli attori che partecipano a questo sistema attraverso il metodo del cosiddetto “accreditamento”. In parole povere: da una parte si procede con un graduale processo di “aziendalizzazione” delle strutture ospedaliere pubbliche attraverso l’ingresso di capitali privati; dall’altra si tende sempre di più alla privatizzazione dei servizi attraverso il meccanismo della compensazione dei servizi erogati. Soldi pubblici, tasche private. Un business immenso e che in Italia rappresenta la seconda industria italiana, solo dopo quella immobiliare. Un affare da 17 miliardi e 300 milioni di euro il business sanitario in Lombardia, un fatturato colossale che sfiora l’80 per cento del bilancio regionale (cfr. qui).

L’eccellenza del modello lombardo, dice Formigoni. Un sistema che dal 1997 a oggi ha fatto la fortuna di molti imprenditori. Il sistema è talmente diffuso, imponente e complesso da far tremare i polsi. Interessi incrociati, partecipazioni, soci più o meno visibili compongono la mappa della geografia sanitaria in Lombardia. Una miriade di società, direttamente coinvolte o collegate all’indotto, che trasforma ogni analisi su quest’ambito un’ardua scommessa per qualsiasi cronista o inquirente. A svettare, come punte di un iceberg, certamente sono la Holding Papiniano di Giuseppe Rotelli (anche lui pavese) e il San Raffaele di don Verzè, oggi guarda caso salvato dal fallimento proprio da Rotelli.

Naturalmente, in tutti questi anni, Abelli resta saldo in sella e nel 2008 viene eletto in Parlamento sotto le fila del PdL, di cui diventerà persino vice coordinatore nazionale. Le sue competenze in ambito sanitario, così si dice, sono essenziali per il funzionamento sistema, soprattutto se si tratta di coordinare rapporti, nominare un direttore generale, dare il proprio beneplacito su un primario. Tanto per intenderci, anche se Abelli non ha più ruoli presso il Policlinico San Matteo di Pavia, anzi ne sia stato allontanato politicamente a livello locale, ogni nomina passa dal suo tavolo o telefono. D’altra parte, Pavia e provincia sono sempre nel cuore di Abelli, che non a caso benedice e promuove la candidatura del giovane Alessandro Cattaneo, eletto Sindaco nel giugno 2009 (cfr. qui) e oggi destinato a una carriera nazionale.

Per Abelli tutto procede bene proprio fino al 2009, ovvero fino a quando le indagini sul “re delle bonifiche” Giuseppe Grossi non coinvolgono la moglie Rosanna Gariboldi, all’epoca assessore della Provincia di Pavia e già socia in diverse operazioni immobiliari di assessori delle giunte Formigoni, arrestata nell’ottobre di quell’anno con l’accusa di riciclaggio. Grossi in questi anni aveva gestito alcune fra le principali bonifiche (alcune solo parzialmente come per Montecity-Santa Giulia) creando un fitto sistema di fondi neri (si parla di almeno 22 milioni di euro) attraverso cui pagava collaboratori e soci su conti esteri. Lady Abelli riceve soldi (circa 2,4 milioni di euro) da Grossi e suoi fiduciari su un conto presso una banca di Montecarlo di cui lo stesso Abelli agisce come procuratore. Non avendo giustificazioni in merito, a gennaio 2010 Gariboldi patteggia 2 anni di reclusione attraverso il pagamento di 1,2 milioni di euro.

A marzo di quell’anno Abelli cerca di riprendere un po’ di fiato ripresentandosi alle elezioni regionali, forse per riaffermare la propria forza o forse con la speranza di ottenere un altro assessorato, ma il risultato non è più la valanga di voti raggiunta nei tempi d’oro e da 17mila le preferenze sono “solo” 8mila. Eletto in Regione, però, sceglie di proseguire l’avventura parlamentare, ma grazie a una nomina diretta dello stesso Formigoni ottiene comunque un ufficio a Milano, in qualità di Delegato del Presidente di Regione Lombardia per i Rapporti con il Parlamento e le Istituzioni del Territorio.

I voti degli amici

Questa è una vicenda se vogliamo tangenziale rispetto alla trama principale, ma vale la pena farne accenno quantomeno per capire i meccanismi del “gioco” secondo un politico come Gian Carlo Abelli.

Si tratta di uno dei tanti rivoli dell’inchiesta Infinito, in particolare quello che riguarda Pavia e i rapporti con la criminalità organizzata di Carlo Chiriaco (direttore della ASL di Pavia) e Pino Neri (avvocato), entrambi calabresi trapiantati a Pavia, accusati di essere – fra le altre cose – i tramiti fra ‘ndrangheta e politica locale (buona parte dei dettagli si possono ritrovare nelle ricostruzioni di Giovanni Giovannetti, qui e qui).

Al di là della questione giudiziaria (e di quella che sarà poi la sentenza), emergono già dalle intercettazioni e dalle carte della magistratura inquirente diversi elementi che mettono in evidenza i rapporti di queste persone – più o meno direttamente – con Gian Carlo Abelli. Lo stesso Abelli, chiamato solo pochi giorni fa a testimoniare nel processo che vede imputato Chiariaco per concorso esterno in associazione mafiosa, ha ribadito la sua “vicinanza” al dirigente ASL (per altro nominato all’epoca anche grazie alla sponsorizzazione di Abelli): «Conobbi Chiriaco nel 1980, quando ero presidente del San Matteo. Negli anni Ottanta, al Comune di Pavia, feci anche votare per lui» (qui un estratto delle dichiarazioni).

Il gatto perde il pelo…

Si arriva al 2012 e si ritorna a parlare di sanità. Questa volta si tratta dei soldi (e sono tanti, tantissimi) ricevuti dal faccendiere Pierluigi Daccò, già in carcere per il crac del San Raffaele, dalla Fodazione Maugeri (altre cliniche private convenzionate con la Regione e con sede a Pavia). In particolare, a Daccò era richiesto di intervenire in qualità di consulente presso gli organi competenti della Regione per ottenere nuovi finanziamenti e, soprattutto, aumentare gli introiti da “prestazioni non tariffabili” e dunque soggette a specifiche delibere di giunta (il sistema è spiegato molto bene qui).

Daccò non è un amico del “Faraone”.

Questa volta, l’amicizia è con Roberto Formigoni; insomma, col “Celeste” in persona e che di Daccò è talmente intimo da trascorrere con lui le vacanze (ovviamente, vista l’amicizia, facendosele anche pagare) o farsi prestare lo yacht. Abelli, invece, conosce bene Costantino Passerino, ex direttore amministrativo della Maugeri, che racconta ai magistrati: «da un punto di vista tecnico non avevamo necessità di rivolgerci a Daccò per le problematiche che potevano insorgere, in quanto il nostro referente in materia era l’onorevole Giancarlo Abelli». Passerino, infatti, conosce Daccò solo una decina d’anni fa e, proprio ad Abelli, all’epoca ancora assessore in Regione chiede informazioni. Spiega sempre Passerino «Abelli disse che (Daccò) era una persona importante perché vicina al presidente Formigoni (…) intesi che era opportuno, se da lui richiesto, intraprendere operazioni economiche e imprenditoriali con le società da lui presentate». Da segnalare che lo stesso Passerino, dal 1998 a oggi, annovera fra i suoi consulenti anche la moglie di Abelli, Rosanna Gariboldi (quella del patteggiamento), ritenuta la persona giusta – viste le competenze – per risolvere questioni relative al personale del gruppo, gli impatti della legge Brunetta o le partecipazioni di un privato in un istituto scientifico. Le competenze? Lady Abelli non possiede una laurea, ma in passato è stata impiegata presso il Policlinico San Matteo di Pavia.

Il senso del ridicolo

Il racconto avrebbe bisogno di altre pagine. Tante, tantissime. Migliaia, milioni di pagine per raccontare tutte le storie di chi è coinvolto.

Quasi 10 milioni di pagine come le persone che il Servizio Sanitario Lombardo serve attraverso 2,5 milioni di ricoveri e 150 milioni di prestazioni ambulatoriali. Perché non possiamo dimenticarcelo: questa storia è soprattutto la storia di chi, ogni giorno, cerca una cura o semplicemente un po’ di speranza.

La storia di chi paga, attraverso le proprie tasse, un sistema dove il denaro pubblico finisce in tasche private e in parte – quasi a “garanzia” del sistema – nelle tasche di amministratori e legislatori locali. In sostanza, una colossale e vergognosa truffa politica della quale, purtroppo, anche l’opposizione in questi anni non ha saputo (o non ha voluto) chiederne davvero conto, dimostrando così il suo senso del ridicolo.

Perché (fuori dai tribunali) gli Abelli, così come i Formigoni (e tutta la folta schiera degli Andreotti), si possono battere solo con una politica di assoluta intransigenza etica; una salda prospettiva politica (per esempio, attraverso la sanità pubblica che non finanzi il profitto); la creazione di rigide regole di trasparenza e controllo (soprattutto sui finanziamenti non tariffabili).

1.6.12

Il Codice Grillo

Massimo Gramellini (La Stampa)

Quando saremo al potere, spiega Grillo in un’intervista a «Sette», i politici verranno giudicati da un tribunale di cittadini incensurati estratti a sorte, che li condannerà ai lavori socialmente utili e alla restituzione del malloppo. Vedo già formarsi una ola da Bolzano a Trapani. Sorprende la moderazione del gabibbo barbuto: se avesse proposto di mozzare le mani ai ladri e la lingua agli ospiti dei talk show sarebbe stato portato in trionfo da tutti i sondaggi che chiedono agli italiani se preferiscono l’aumento della benzina o quello dello stipendio. Le persone hanno fame di capri espiatori per calmare l’ansia. Fin troppo facile blandirle con il populismo. Perciò merita rispetto la presa di distanza di Enrico Strabotti Bon, militante del movimento 5 Stelle sezione adulti: «La crisi ha ragioni più complesse. Magari potessimo ridurla a una vicenda di guardie e ladri. Ciò detto, chi ha commesso dei reati non la passerà liscia. Ma guai se a giudicarlo fossero i tribunali del popolo. Erano già poco democratici nella democratica Atene, dominati dall’emotività e dall’odio che si porta dietro altro odio. Giacobini, nazisti, stalinisti, talebani: non c’è epuratore che non li abbia usati per epurare, salvo esserne epurato a sua volta. Prima o poi, Beppe, quel tribunale giudicherebbe anche te. Il peggior Stato di diritto è meglio della migliore giustizia popolare».

Condivido Enrico Strabotti Bon. Non foss’altro perché me lo sono dovuto inventare. Sempre in attesa che un seguace reale di Grillo trovi la forza di ricordargli che non ci siamo liberati di un contaballe per consegnarci a un ayatollah.