17.7.15

Yanis #Varoufakis: la nostra battaglia per salvare la #Grecia


Quando si deve negoziare senza avere nessuna possibilità di far accettare la propria posizione, non è più una negoziazione. E’ un ricatto. E oggi tutti abbiamo di fronte la verità. La Grecia è stata ricattata ed è sottoposta a un vero e proprio colpo di Stato. Possiamo pensare che debba sottostare a questa occupazione, oppure no. Ma non possiamo non tenere conto di come questa è avvenuta. E a raccontarcelo è Yanis Varoufakis in questa sua intervista su NewStatesman tradotta da Claudia Baldini. Dopo averla letta, capirete molte cose dell’Accordo dell’Eurosummit. E di Alexis Tsipras. Il consiglio è di non perderne neppure una riga.
La redazione
______________________________________________
[questa conversazione ha avuto luogo prima dell’accordo]

Harry Lambert : Allora, come ti senti?
Yanis Varoufakis : Mi sento in cima al mondo: non devo più vivere attraverso questo calendario frenetico, che era assolutamente disumano, semplicemente incredibile. Due ore di sonno ogni giorno per cinque mesi. …Sono anche sollevato: io non devo sostenere più a lungo questa incredibile pressione di negoziare per una posizione che trovo difficile da difendere, anche se sono riuscito a forzare l’altro lato ad accettare, tu sai cosa voglio dire.
HL: Com’è stato ? Ti ha soddisfatto come lavoro?
YV: Oh , sì sono stato contento. Ma mi sono reso conto da quella posizione privilegiata che le mie paure erano confermate … I “poteri forti” parlano e decidono per te, direttamente, e ho verificato, come tutti noi temevamo, che la situazione era peggiore di quanto si immagina! Così è stato divertente. E’ come avere un posto in prima fila.
HL: A che cosa ti riferisci ?
YV: La completa mancanza di scrupoli democratici, a nome dei difensori presunti della democrazia in Europa. La abbastanza chiara comprensione dall’altra parte che conviene stare sulla stessa barca. Ciò, ovviamente, non potrà mai venire fuori in questo momento. Per avere cifre molto alte di prestito ti guardano negli occhi e ti dicono: “Hai ragione, in quello che stai dicendo, ma noi dobbiamo andare a ‘sgranocchiare’ comunque”.
HL: Ho letto i verbali dei tuoi interventi: hai detto che i creditori si sono opposti alle vostre obiezioni. Perché, che cosa è successo quando hai detto “Io cerco di parlare di economia dentro all’ Eurogruppo, nessuno qui discute della ragionevolezza di quello che propongo”?
YV: Non è che non fossero d’accordo: è che c’era il rifiuto di impegnarsi in argomenti economici. Buco nero. Hai spiegato un argomento sul quale hai davvero lavorato per assicurarti della sua logica e coerenza e…hai solo di fronte sguardi fissi nel vuoto. E’come non avessi parlato. Gli interventi sono già preparati, non ribattono su quello che hai relazionato. Si potrebbe anche aver cantato l’inno nazionale svedese, avresti avuto la stessa risposta. E questo è sorprendente, io sono abituato che se qualcuno viene utilizzato per un dibattito accademico… l’altro lato si impegna sempre a capire e a ragionare. Beh non c’era alcun impegno. Non era nemmeno fastidio, era proprio come se non avessi parlato.

HL: Quando sei arrivato, all’inizio di febbraio, questo atteggiamento era uguale?
YV: Beh, ci sono state persone che erano in sintonia a livello personale, così, sai, a porte chiuse, in via informale, in particolare da parte del FMI. [HL: “Da più alti livelli?” YV: “Certo ,dai più alti livelli, dai più alti livelli”.] Ma poi all’interno dell’Eurogruppo, qualche parola gentile e il gioco è fatto, dietro il paravento della versione ufficiale.
In fondo Schäuble è stato coerente in tutto. La sua opinione era “Non sto discutendo il programma. Questo è stato accettato dal governo precedente e che non può assolutamente cambiare per una nuova elezione. Perché abbiamo elezioni in continuazione, siamo in 19, se ogni volta che c’è una elezione cambiamo qualcosa, i contratti tra noi non significano più nulla. ”
A quel punto, non ho resistito, perché dietro questo atteggiamento c’è il rifiuto della democrazia e il prevalere dei conti tuoi sulla politica, ho dovuto alzarmi e dire: “Beh, forse non dovremmo tenere più le elezioni per i paesi indebitati”. Non c’è stata nessuna risposta. L’unica interpretazione che posso dare della loro visione è “Sì, che sarebbe una buona idea, ma sarebbe difficile da fare. Quindi o firmare sulla linea sia decisa o sei fuori “.
HL : E Merkel ?
YV : Io non ho mai avuto nulla a che fare con la Merkel, i ministri delle finanze parlano solo con i ministri delle finanze, i primi ministri parlano ai cancellieri . Da quello che ho capito io, era molto diversa come atteggiamento dal suo ministro. Politica, ecco. Cercò di rassicurare il nostro primo ministro [ Tsipras ], ha detto: ” Troveremo una soluzione , non ti preoccupare , io non permetterò che accada niente di terribile, basta fare i compiti a casa e collaborare con le istituzioni , il lavoro con la Troika ; non ci può essere via di uscita da questo”.
Questo non è quello che i miei colleghi ministri economici hanno detto a me, sia dal capo dell’Eurogruppo e il dottor Schäuble , sono stati molto chiari. Ad un certo punto il capo dell’Eurogruppo si è espresso con me in modo inequivocabile : “Si tratta di un cavallo: o uno si tiene stretto in sella su di esso o è morto”.
HL : E ciò quando è stato?
YV : Fin dall’inizio, fin dall’inizio. Ci siamo conosciuti all’inizio di febbraio.
HL: Allora, perché restare in ballo fino all’estate?
YV: Beh, uno non ha un’alternativa. Il nostro governo è stato eletto con un mandato per negoziare. Quindi il nostro primo mandato era quello di creare lo spazio e il tempo di avere una trattativa e raggiungere un altro accordo. Questo è stato il nostro mandato – il nostro mandato era quello di negoziare, non era per venire alle mani con i nostri creditori.
I negoziati si sono fermati a metà, perché dall’altra parte si rifiutava di negoziare. Hanno insistito su un “accordo globale”, il che significava che volevano parlare di tutto. La mia interpretazione è che quando si vuole parlare di tutto, non si vuole parlare di niente. Ma siamo andati dietro quella corrente, per non contraddire.
E guarda, c’erano posizioni assolutamente formulate sul nulla da loro. Così avrebbero … Lascia che ti faccia un esempio. Ci hanno detto: abbiamo bisogno di tutti i dati sul percorso fiscale con cui i Greci pagano le tasse, abbiamo bisogno di tutti i dati su imprese di proprietà statale. Così abbiamo speso un sacco di tempo a cercare di fornire loro tutti i dati e rispondere a questionari e con innumerevoli incontri che per illustrare i dati forniti.
Così è stata la prima fase. La seconda fase riguardava l’Iva: che cosa avessimo intenzione di fare in materia di IVA. Avrebbero poi rifiutato la nostra proposta, ma non ne hanno fatto una loro.
Prima avessimo avuto la possibilità di concordare l’IVA con loro, prima saremmo passati ad un altro problema, come la privatizzazione. Avrebbero chiesto cosa volessimo fare per la privatizzazione, abbiamo fatto delle proposte, hanno rifiutato. Allora ho capito che si doveva perdere tempo: poi avrebbero spostano su un altro argomento, come le pensioni, da lì ai mercati, da lì ai rapporti di lavoro, da rapporti di lavoro a tutti i tipi di cose giuste? Così è andata, come un gatto che si morde la coda.
Ci siamo sempre sentiti con il governo, sulla difficoltà a farci ascoltare, che non siamo riusciti a sospendere il processo che volevano farci ad ogni costo.
Il mio intervento fin dall’inizio è stato questo: Questo è un paese che si è arenato, che si è arenato da tempo. …Sicuramente abbiamo bisogno di riformare questo paese – siamo d’accordo su questo. Perché il tempo è l’essenza, e perché nel corso dei negoziati la banca centrale stringeva la liquidità [sulle banche greche] e noi eravamo sotto pressione, per non soccombere, la mia proposta costante alla troika era molto semplice: siamo d’accordo su tre o quattro importanti riforme come il sistema fiscale, come l’IVA, e cerchiamo di farle immediatamente. E ci allentate le restrizioni di liquidità da parte della BCE. Volete un accordo globale, ok. Ma cerchiamo di portare avanti negoziati e nel frattempo introduciamo queste riforme in Parlamento da un accordo tra noi e voi.
E hanno detto: “No, no, no, questo deve essere una revisione globale. Nulla sarà attuato se non avete il coraggio di introdurre una legislazione completa. Sarà considerato un’azione unilaterale ostile al processo di raggiungimento di un accordo”. E poi, naturalmente, qualche mese più tardi avrebbero detto ai media che non avevamo riformato il paese e che ci hanno fatto perdere del tempo! E così … [ridacchia] siamo andati avanti..
Così, quando la liquidità era quasi esaurita completamente, e noi eravamo in ritardo, o quasi-default, al FMI, hanno introdotto le loro proposte, che erano assolutamente impossibili … totalmente non vitali e tossiche. Così hanno sempre rinviato e ritardato, era chiara la volontà che non si voleva un accordo diverso da quello che c’era prima.
HL: Hai provato a lavorare insieme con i governi di altri paesi indebitati ?
YV: La risposta è no, e il motivo è molto semplice: sin da subito proprio quei paesi hanno reso molto chiaro che erano i nemici più avversi del nostro governo , fin dall’inizio. E la ragione, naturalmente, è stato il loro più grande incubo sarebbe stato il nostro successo: se fossimo riusciti a negoziare un accordo migliore per la Grecia, avrebbero dovuto rispondere alle loro stesso popolo perché non hanno negoziare come noi stavano facendo.
HL: E la partnership con i partiti più affini, come Podemos, poteva servire?
YV: Non proprio. Voglio dire, abbiamo sempre avuto un buon rapporto con loro , ma non c’era niente da fare – la loro voce non avrebbe mai potuto penetrare il muro dell’Eurogruppo. E in effetti, più parlavano in nostro favore, cosa che hanno fatto, e più ostile il ministro delle Finanze spagnolo diventava verso di noi.
HL: E George Osborne? Quali sono stati i vostri rapporti come con lui?
YV: Oh molto buono, molto piacevole, eccellente. Ma è fuori dal giro, non è parte dell’Eurogruppo. Quando ho parlato con lui in diverse occasioni si vedeva che era molto simpatico. E in effetti se si guarda al Telegraph, i più grandi sostenitori della nostra causa sono stati i conservatori! A causa della loro euroscetticismo, eh … non è solo Euroscetticismo; si tratta di una visione di Burke della sovranità del parlamento – nel nostro caso è stato molto chiaro che il nostro parlamento è stato trattato come spazzatura.
HL: Qual è il più grande problema con il modo generale le funzioni dell’Eurogruppo?
YV: [Per esemplificare …] C’è stato un momento in cui il presidente dell’Eurogruppo ha deciso di muoversi contro di noi ed efficacemente ci ha chiuso fuori, e poi fa sapere che la Grecia era essenzialmente sulla sua via d’uscita dalla zona euro. …C’è una convenzione che devono essere essere comunicati in modo unanime, e il presidente non può essere solo, in una riunione della zona euro ed escludere uno Stato membro. E lui disse: “Oh, io sono sicuro che posso farlo”.
Così ho chiesto un parere legale. Ha creato un po’ di subbuglio. Per circa 5-10 minuti l’incontro si fermò, gli impiegati, i funzionari stavano parlando tra di loro, sul loro telefono cellulare, e, infine, qualche funzionario, qualche esperto legale si rivolse a me e disse le seguenti parole, che «Beh, l’Eurogruppo non esiste in legge, non vi è alcun trattato che ha convocato questo gruppo “.
Quindi quello che abbiamo è un gruppo inesistente che ha il maggior potere di determinare la vita degli europei. Non è responsabile verso chiunque, dato che non esiste nella legge; non verbale è redatto; ed è riservata. Quindi nessun cittadino sa mai ciò che viene detto all’interno. …Queste sono decisioni quasi di vita o di morte, e nessun membro deve rispondere a nessuno.
HL: Ed è vero che l’Eurogruppo è controllato dagli atteggiamenti tedeschi?
YV: Oh, completamente e assolutamente. Non atteggiamenti – ordini da parte del ministro delle finanze della Germania. È tutto come un’orchestra molto ben sintonizzata e li è il direttore. Tutto avviene in sintonia. Ci saranno momenti in cui l’orchestra qualcuno non rispetta la partitura, ma lui lo convoca e lo mette di nuovo in linea.
HL: Non c’è energia alternativa all’interno del gruppo, può contare qualcosa il potere francese?
YV: Solo il ministro delle finanze francese ha fatto obiezioni che erano diverse dalla linea tedesca, ma molto debolmente. Si capiva che doveva usare un linguaggio molto giudizioso, per non far pensare di essere contrario. E in ultima analisi, quando Dott. Schäuble ha risposto ed effettivamente ha determinato la linea ufficiale, la ministra francese, alla fine, ha sempre accettato.
HL: Parliamo del tuo background teorico, e del pezzo su Marx nel 2013, quando hai detto:
“Una uscita greca o portoghese o soprattutto italiana dalla zona euro farebbe presto a portare ad una frammentazione del capitalismo europeo, ottenendo un grave recessione nelle regioni a est del Reno e a nord delle Alpi, mentre il resto d’Europa sarebbe nella morsa della stagnazione. Chi pensi che dovrebbe beneficiare di questo sviluppo? La sinistra progressista, che risorgerà dalle ceneri delle istituzioni pubbliche europee? O la Gilda nostalgica dei nazisti, i neofascisti assortiti, gli xenofobi e gli imbroglioni? Non ho assolutamente alcun dubbio su quale dei due farà meglio da una disintegrazione della zona euro “.
… Così sarebbe? un Grexit inevitabilmente aiuterà Alba Dorata, non c’è dubbio?
YV: Beh, guarda , io non credo nelle versioni deterministiche della storia. Syriza ora è una forza molto dominante. Se riusciremo a uscire da questo pasticcio uniti, e gestire correttamente una Grexit … sarebbe possibile avere un’alternativa . Ma non sono sicuro che potremmo gestirlo, perché la gestione del crollo di una unione monetaria richiede una grande quantità di know-how, e non sono sicuro che l’ abbiamo qui in Grecia, senza l’aiuto di estranei .
HL : Devi aver pensato a una Grexit dal primo giorno …
YV : Sì , assolutamente.
HL: Sono stati fatti i preparativi?
YV: La risposta è sì e no. Abbiamo avuto un piccolo gruppo, un ‘gabinetto di guerra’ all’interno del ministero, di circa cinque persone che stavano simulando questo: così abbiamo lavorato in teoria, sulla carta, tutto ciò che doveva essere fatto [per preparare / in caso di Grexit]. Ma è una cosa fare in teoria, a livello di 4-5 persone, è tutta un’altra faccenda è preparare il paese per grexit. Per preparare il paese una decisione esecutiva doveva essere presa, ma non è mai stata presa.
HL: Ma la scorsa settimana, c’è stata una decisione che si sentiva che si erano diretti verso la soluzione della Grexit?
YV: La mia idea era: dobbiamo stare molto attenti a non attivarla. Non volevo che ciò si avverasse . Non volevo che questa sventura fosse come il famoso detto di Nietzsche ‘ se guardi nell’abisso molto a lungo, l’abisso comincerà a guardare te’. Ma ho anche creduto fortemente che nel momento in cui l’Eurogruppo ci ha chiuso le banche, dovevamo tentare questo processo.
HL: Giusto. Quindi ci sono due opzioni, per quanto posso capire, una Grexit immediata, oppure fare cambiali e prendere il controllo della banca della Banca di Grecia [quindi, potenzialmente, ma non necessariamente e immediatamente precipitare una Grexit]?
YV: Certo, certo. Non ho mai creduto che dovessimo andare direttamente a una nuova moneta. La mia idea era, e ho spiegato questo al governo , che se avessero osato chiudere le nostre banche, che giudico mossa aggressiva di incredibile ostilità, anche noi avremmo dovuto rispondere in modo aggressivo ma senza attraversare il punto di non ritorno.
Dovevamo rilasciare i nostri pagherò, o almeno annunciare che stavamo per farlo per rilasciare la nostra liquidità in euro; avremmo dovuto operare un taglio ai legami impostici dalla BCE nel 2012 o annunciare che stavamo per farlo; e così prendere noi il controllo della Banca di Grecia. Questo è stato il trittico, le tre cose, che avremmo dovuto tentare se la BCE avesse chiuso le nostre banche.
… Stavo attento a ciò che non doveva accadere. La Bce ha chiuso le nostre banche per un mese, al fine di trascinarci in un accordo umiliante. Quando è successo, e molti dei miei colleghi non potevano credere fosse vero, la mia raccomandazione era di dare una risposta “energica”, ma è stata rifiutata.
HL : E quanto eravate a favore o contro ?
YV: Beh, mi permetto di dire che su sei persone eravamo solo due. … Una volta che ho verificato ciò ho dato il mio ordine di chiudere le banche consensualmente con la BCE e la Banca di Grecia. Ero contrario, ma l’ho fatto perché io sono un giocatore di squadra, credo nella responsabilità collettiva.
E poi è venuto il referendum, che ci ha dato una spinta incredibile , una spinta che avrebbe giustificato il piano contro la BCE , ma poi quella notte il governo ha deciso che la volontà del popolo, questo clamoroso ‘No’ , non doveva essere sfruttato per risposte di rottura.
Invece avrebbe dovuto portare a grandi concessioni verso l’altro lato: la riunione del Consiglio dei leader politici, con il nostro Presidente del Consiglio ad accettare la premessa che qualunque cosa accada , qualunque porcheria faccia l’altra parte, non avremmo mai dovuto rispondere in alcun modo che apparisse come una sfida. E in sostanza, questo significa ripiegamento. … Cessate di negoziare.
HL: Così non si può sperare ora , che questo accordo sia molto meglio rispetto la scorsa settimana, anzi sarà peggio ?
YV: Certo, semmai sarà peggio . Confido e spero che il nostro governo insisterà sulla ristrutturazione del debito, ma non riesco a vedere come il ministro delle finanze tedesco potrà mai firmare una cosa del genere nella prossima riunione dell’Eurogruppo. Se lo fa, sarà un miracolo o un impazzimento.
HL: Esattamente, perché, come hai spiegato, non è nella sua testa vero?
YV: Penso di sì, penso di sì. A meno che [ a Schäuble] non giungano ordini diversi dal Cancelliere. Che è poi tutto da vedere, se lei interverrà per farlo.
HL: Per cambiare un poco argomento, ci potrebbe forse spiegare, in parole povere per i nostri lettori, le sue obiezioni alla versione Piketty del “Capitale”?
YV: Beh, vorrei dire in primo luogo, mi sento in imbarazzo perché Piketty è stato di grande aiuto a me e al governo, e sono stato un critico terribile per lui nella mia recensione del suo libro! Apprezzo molto la sua posizione nel corso degli ultimi mesi, e ho intenzione di dirglielo quando lo incontrerò a settembre.
Ma la mia critica del suo libro è giustificata. Il suo sentimento è corretto. La sua avversione per la disuguaglianza. La sua analisi, però, indebolisce l’argomento, per quanto mi riguarda. Perché nel suo libro il modello neoclassico del capitalismo dà molto poco spazio per costruire il caso che vuole costruire, a meno di usare per la costruzione del suo caso parametri che lo mettono in fallo. In altre parole, se fossi un avversario della sua tesi che la disuguaglianza è integrata nel capitalismo, sarei in grado di prendere da parte il suo esempio e mettere in crisi la sua analisi.
HL: Non voglio entrare troppo nel dettaglio, perché questo non ci agevola ad andare alle conclusioni.
YV: Sì …
HL: … ma si tratta della complessità del racconto?
YV: Sì, egli usa una definizione di capitale che rende impossibile il capire cos’è il capital e – quindi è una contraddizione di termini. [Clicca qui –  http://yanisvaroufakis.eu/2014/10/08/6006/  – per la  recensione critica di Varoufakis al Capitale del XXI secolo di Piketty]
HL: Torniamo alla crisi. Io capisco molto poco del suo rapporto con Tsipras …
YV: Lo conosco dalla fine del 2010, perché ero un convinto critico del governo, a quel momento, anche se una volta ero vicino ad esso. Ero vicino alla famiglia Papandreou – lo sono ancora in un certo senso – ma sono diventato importante … allora era una grande novità che un ex consigliere stava dicendo “Stiamo facendo finta che il fallimento non sia accaduto, stiamo cercando di coprirlo con nuovi prestiti insostenibili “, quel genere di cose insomma ..che sostengo ancora.
Ho riflettuto su alcune uscite di allora, e Tsipras era un leader molto giovane che cercava di capire cosa stava succedendo, ciò che la crisi rappresentava, e come si sarebbe dovuto posizionare.
HL: C’è stato un primo incontro, lo ricordi?
YV: Oh, sì. Era la fine del 2010, siamo andati in una caffetteria, eravamo in tre amici, e il mio ricordo è che egli non aveva ancora idee chiare, la dracma contro l’euro, sulle cause della crisi, mentre io avevo molto chiara, devo dire, un’opinione su quello che stava succedendo.
E’ un dialogo continuo il nostro avviato da allora, che si è svolto nel corso degli anni è un amico che … credo che mi abbia aiutato a plasmare la visione di ciò che dovrebbe essere fatto.
HL : Allora, come ci si sente ora, dopo quattro anni e mezzo , di non essere più a lavorare al suo fianco ?
YV : Beh, io continuo a lavorare al suo fianco , credo che siamo molto vicini. La nostra separazione è stato estremamente amichevole. Non abbiamo mai avuto problemi tra di noi, mai, fino ad oggi. E io sono molto vicino a Euclid Tsakalotos [ il nuovo ministro delle finanze ].
HL: E presumibilmente ti stai ancora parlando con tutti e due questa settimana?
YV : Io non ho parlato con Alexis nel corso degli ultimi due giorni, ma io parlo con Euclid, sì, e ritengo che Euclid mi sia molto vicino, e viceversa, e non lo invidio affatto . [ Ridacchiando. ]
HL: Saresti scioccato se Tsipras si dimettesse ? E gli hai perdonato di non avere accettato il tuo piano?
YV: Niente mi sconvolge in questi giorni – la nostra zona euro è un luogo molto inospitale per le persone decenti. Non c’è da perdonare, ognuno fa la sua parte . Mi addolorerebbe se dovesse essere costretto ad accettare un pessimo affare. Ma questo perché, io lo posso capire: lui è il Premier e sente di avere l’obbligo di rispondere alle persone che lo sostengono, che non vogliono abbandonare l’Euro, ma non vogliono nemmeno essere umiliati . Lui ha l’obbligo morale di sostenerci, di non lasciare che questo paese diventi uno Stato fallito.
HL: Ma se il tuo piano fosse stato approvato ?
YV : Tsipras alla fine non fu d’accordo e io capisco il perché. Non potevo garantire che la Grexit funzionasse. Dopo che Syriza era andata al governo in gennaio, un piccolo team aveva pensato “in teoria, sulla carta” come avrebbe potuto funzionare. Io l’ ho detto: ” Non sono sicuro che avremmo potuto gestirla, perché gestire il collasso di una unione monetaria richiede una grande quantità di competenze e non sono sicuro che le abbiamo qui in Grecia, senza aiuti esterni”. Ci saranno altri anni di austerità, ma io so che Tsipras ha preso l’impegno “di non permettere il fallimento della Grecia”.
HL: Ma allora, perché non restare ?
YV : Io non ho intenzione di tradire il mio punto di vista, che ho affinato fin dal 2010, che questo paese deve fermare l’estensione del debito e facendo finta di farcela, dobbiamo smettere di contare su nuovi prestiti fingendo che abbiamo risolto il problema, quando non non è vero; quando abbiamo reso il nostro debito ancor meno sostenibile, a condizione di ulteriore austerità che ancora di più riduce l’economia; e sposta l’onere ulteriore sui non abbienti, creando una crisi umanitaria. E’ una cosa che non ho intenzione di accettare. Io non ho intenzione di esserne parte. Io sono in una posizione diversa dal premier.
HL: Ultima domanda : terrai rapporti con coloro con cui dovevi negoziare?
YV: Uhm, non sono sicuro. Io non ho intenzione di citare tutti i loro nomi ora. Solo nel caso in cui potrei distruggere la loro carriera! [Ride.]

15.7.15

I migliori argomenti per un accordo con l'Iran

By Bret Stephens (The Wall Street Journal)

Le eroiche ipotesi, e le false promesse, della nostra diplomazia
(traduzione Dagopia)

In retorica, la prolessi consistente nel prevedere e controbattere un'obiezione prima che venga mossa. Cerchiamo di essere prolettici per quanto riguarda l’accordo sul nucleare iraniano, i cui apologeti hanno già iniziato a difendere per il timore che si trasformi in una storica débâcle diplomatica.

L’ipotesi eroica. Certo, la Guida Suprema dell’Iran Ali Khamenei è un rivoluzionario irascibile e violento incline a imporre una pericolosa alla sua nazione e a quelle vicine. Lo stesso poteva essere detto di Mao Zedong quando Henry Kissinger gli fece visita nel 1971 – una scommessa diplomatica che alla fine pagò un alto dividendo, poiché la Cina divenne, di fatto, un alleato degli Stati Uniti durante la guerra fredda e poi si aprì al mondo con Deng Xiaoping.

Ma è improbabile che l’Iran sia una nuova Cina. Mao stava subendo una grave minaccia esterna da parte dell’Unione Sovietica, mentre l’Iran non è minacciato da nessuno e, anzi, sta vincendo molte delle sue guerre regionali. Beijing stemperò la tensione con Washington con un’amichevole partita di ping-pong, Teheran invece incarcera i cittadini americani e blocca le navi cargo nello stretto di Hormuz. Deng Xiaoping credeva che la ricchezza portasse la gloria, il presidente iraniano Hasan Rouhani, sedicente riformatore, ha partecipato venerdì scorso alla parata annuale del regime “Morte all’America, morte ad Israele”.

In questo contesto, sta ai promotori dell’accordo sul nucleare dimostrare che l’Iran ha intrapreso la via della conversione verso una politica moderata.

L’ipotesi dello scambio. Ok, mettiamo che l’Iran non abbia rinunciato alla sua indole bellicosa e alla sua visione del mondo antidiluviana. Mettiamo anche che il patto non significhi che non dovremo più combattere l’Iran sugli scenari di guerra mediorientali, come in Yemen, in Siria o a Gaza. Ma che tutto questo può essere messo da parte perché l’accordo sul nucleare è uno scambio ben architettato: l’Iran mette le sue ambizioni atomiche nel cassetto in cambio di poter tornare sulla scena economica e diplomatica. In determinati termini, ognuno può trarre vantaggio da questa soluzione.

Ma uno scambio ha bisogno di qualche garanzia e siccome non possiamo fidarci dell’Iran, serve un sistema di controllo. Il patto sul nucleare lo prevede? John Kerry sarebbe pronto a giurare di sì, ma di fatto lo scorso gennaio alcuni funzionari Cechi hanno bloccato una transizione segreta con cui l’Iran stava comprando tecnologie nucleari polivalenti per 61 milioni di dollari. Un mese prima, gli Stati Uniti avevano accertato che l’Iran era a caccia di plutonio per il suo reattore di Arak. Cosa non sappiamo ancora?

Altro quesito: come si potrà evitare che il patto diventi un ostaggio dell’Iran quando si parlerà di politica estera mediorientale? Gli Stati Uniti saranno pronti a rinunciare all’accordo ogni volta che l’Iran minaccerà di strapparlo, per esempio a causa di una crisi in Yemen o in Siria? La Corea del Nord ha perfezionato per anni l’arte di vendere il proprio deterrente nucleare in cambio di una concessione dopo l’altra – e nonostante ciò possiede ancora la bomba.

L’ipotesi della disfatta. Perfetto, l’accordo con l’Iran fa acqua da tutte le parti e molto probabilmente non funzionerà. Avete qualche idea migliore? Le sanzioni non si sono dimostrate sufficienti per fermare un regime determinato come quello iraniano e non sarebbero state sostenibili ancora per molto. Nessuno, né l’opinione pubblica americana né Israele, vuole iniziare una guerra per impedire all’Iran di fabbricare la bomba. In più, la storia ci insegna che la politica internazionale consiste spesso nella scelta tra due mali. Nel caso di un accordo sul nucleare la soluzione migliore è il male minore.

È vero che nessuno vuole la guerra. Ma un patto che dia all’Iran il diritto di arricchire l’uranio dopo più di dieci anni non darebbe al prossimo presidente americano altra opzione che iniziare una guerra per impedire all’Iran di costruire decine di bombe. D’altra parte un patto che non impedisce all’Iran di sviluppare missili balistici, gli permetterà di montare una di quelle bombe sopra un missile.

Buona fortuna. Gli americani sono un popolo fortunato – lo sono geograficamente, lo sono stati i loro padri della patria, e lo sono anche gli immigrati che approdano alle loro coste. Gli americani sono così fortunati che si dice che Bismark amasse ripetere: “C’è una provvidenza speciale che difende gli ubriaconi, gli idioti e gli Stati Uniti d’America”.

Forse saranno fortunati anche questa volta. Magari l’Iran cambierà in meglio, alla fine dell’era Khamenei. Magari il controllo internazionale in Iran funzionerà, dopo aver fallito in Corea del Nord. Magari John Kerry è il miglior negoziatore del mondo ed è riuscito a fare il miglior accordo possibile.

O magari gli americani non saranno fortunati, e non ci sarà nessuna provvidenza speciale per le nazioni ubriache di speranza e guidate da idioti.

13.7.15

Killing the European Project

Paul Krugman (The New York Times)

Suppose you consider Tsipras an incompetent twerp. Suppose you dearly want to see Syriza out of power. Suppose, even, that you welcome the prospect of pushing those annoying Greeks out of the euro.

Even if all of that is true, this Eurogroup list of demands is madness. The trending hashtag ThisIsACoup is exactly right. This goes beyond harsh into pure vindictiveness, complete destruction of national sovereignty, and no hope of relief. It is, presumably, meant to be an offer Greece can’t accept; but even so, it’s a grotesque betrayal of everything the European project was supposed to stand for.

Can anything pull Europe back from the brink? Word is that Mario Draghi is trying to reintroduce some sanity, that Hollande is finally showing a bit of the pushback against German morality-play economics that he so signally failed to supply in the past. But much of the damage has already been done. Who will ever trust Germany’s good intentions after this?

In a way, the economics have almost become secondary. But still, let’s be clear: what we’ve learned these past couple of weeks is that being a member of the eurozone means that the creditors can destroy your economy if you step out of line. This has no bearing at all on the underlying economics of austerity. It’s as true as ever that imposing harsh austerity without debt relief is a doomed policy no matter how willing the country is to accept suffering. And this in turn means that even a complete Greek capitulation would be a dead end.

Can Greece pull off a successful exit? Will Germany try to block a recovery? (Sorry, but that’s the kind of thing we must now ask.)

The European project — a project I have always praised and supported — has just been dealt a terrible, perhaps fatal blow. And whatever you think of Syriza, or Greece, it wasn’t the Greeks who did it.

5.7.15

Il piano B di Grecia e Germania dopo il referendumTitolo del post

 
Carta di Laura Canali
[Carta di Laura Canali]
La contesa tra Atene e l’ex Troika è più politica che economica e non riguarda solo il debito pubblico. Merkel prepara da tempo un progetto alternativo all’Eurozona attuale, Tsipras dovrebbe fare lo stesso.
A maggio, il prezzo del petrolio è calato di circa 2 dollari al barile ($/b). In particolare, il Brent ha chiuso poco sopra i 63$/b mentre la qualità Wti attorno ai 59$/b. L’euro si è inizialmente apprezzato verso il dollaro superando quota 1,14€/$ dopo che la Fed ha dichiarato che il rialzo dei tassi sarà più lento e meno intenso rispetto a quanto precedentemente ipotizzato, per poi deprezzarsi a 1,12€/$ in conseguenza degli effetti della crisi greca.

Nonostante l’offerta globale di petrolio sia diminuita di 155 mila barili al giorno (b/d), collocandosi attorno ai 96 milioni di b/d, essa continua a eccedere la domanda per circa 1.5 milioni b/d. Secondo le stime dell’International Energy Agency, quest’ultima crescerà nell’anno in corso di 1.4 milioni di b/d sulla scia di un incremento del pil mondiale del 3,3%.

A Vienna, i membri dell’Opec – in particolare l’Arabia Saudita e i suoi alleati del Golfo – hanno deciso di mantenere invariato l’output del Cartello anche a costo di deprimere le quotazioni di mercato (ufficialmente, 30.49 milioni di b/d; in realtà, circa 1 milione di b/d in più) al fine di difendere le proprie quote, mettendo in difficoltà chi sostiene maggiori costi di estrazione, auspicando anche il rallentamento della produzione di tight oil negli Stati Uniti (vedi 1,2,3,4,5)

Il motivo per il quale il prezzo del barile continua a resistere è la presenza di una forte speculazione finanziaria non sostenuta dai cosiddetti “fondamentali”, a dimostrazione del fatto che il petrolio non è solo una materia prima, bensì un asset finanziario. Con ogni probabilità, nei mesi a venire il petrolio risentirà anche delle decisioni della Fed in merito al dollaro.

Secondo quanto riportato dal Financial Times, dall’inizio dell’anno Gazprom Neft ha iniziato a regolare le proprie esportazioni di petrolio verso la Cina in renminbi anziché in dollari. Per Verda, “dal punto di vista dei mercati petroliferi, l’egemonia del dollaro non è al momento in discussione: l’impatto della decisione russa è poco più che simbolico, dati i volumi in questione. Resta però sul tavolo la questione dell’inevitabile superamento dell’unicità della posizione del dollaro e del disancoramento dei prezzi del greggio dalle politiche monetarie statunitensi”.

A maggio, la Federazione Russa è stata il 1° fornitore di petrolio della Cina, scavalcando l’Arabia Saudita. Nel 2015 Riyad rimane ancora il principale fornitore di greggio di Pechino seguito a stretta distanza dall’Angola, ma le esportazioni di petrolio russo verso l’Impero del Centro sono aumentate di un terzo rispetto a maggio 2014. Non tanto a causa di qualità meno costose, bensì di una chiara scelta politica.

La Grecia e i suoi creditori (Fmi, Bce e Commissione europea, la cosiddetta Troika), dopo oltre 4 mesi di trattative pare non siano riusciti a trovare un accordo. Posto dinanzi alla sostanziale riproposizione delle politiche di austerità, il primo ministro greco Alexis Tsipras, ottenuto il via libera dal parlamento di Atene, ha indetto un referendum per domenica 5 luglio, riguardante l’accettazione o meno delle misure richieste dai creditori.

Indipendentemente dal fatto che quest’ultimo si tenga o sia annullato grazie a un accordo raggiunto in camera caritatis, l’impressione è che lo scoglio sia politico più che economico, cioè che consista nel profilo ideologico dell’alleanza Syriza-Anel attualmente al governo ad Atene. Inoltre, un’intesa che non contempli la capitolazione dell’esecutivo greco rischia di creare un “pericoloso” precedente che potrebbe essere replicato in Spagna con Podemos e magari in Francia (dove si vota nel 2017) con il Front National. Aprirebbe infine un auspicabile spiraglio a favore di modalità di rientro dall’eccessivo rapporto debito pubblico/pil di alcuni Stati dell’Ue – Italia in primis – che liberino risorse per la crescita.

Da un punto di vista strettamente economico, lo scontro in atto tra creditori e debitori solleva i seguenti punti di discussione:

  1. La Grecia, indipendentemente dall’esito delle trattative e del referendum e dalla volontà dell’attuale maggioranza di governo che continua a essere in favore della moneta unica, deve mettere in campo un’opzione alternativa alla permanenza nell’Eurozona che non escluda anche l’uscita dal mercato unico.
  2. Sulla scia dell’attuale posizione di Bruxelles nei confronti di Atene, è facile prevedere che i creditori non concederanno alcuno sconto riguardo l’attuazione del Fiscal Compact. Per l’Italia, dal 2016, ciò significherà ridurre il debito dello Stato per un ammontare pari a circa 45/50 miliardi di euro l’anno, obiettivo da conseguire in presenza della sciagurata aggiunta del principio del pareggio di bilancio in Costituzione (art. 81).
  3. La Germania non ha alcuna intenzione di convertire la propria economia dall’export ai consumi e agli investimenti. Berlino, in merito alla continuazione della propria politica neo-mercantilista, sta già predisponendo da tempo un eventuale piano B, il cui fulcro sarà volto a sostituire il mercato di sbocco intraeuropeo con quello dei mercati emergenti (Brics, Cina su tutti).

Da un punto di visto geopolitico, le potenziali conseguenze della crisi greca portano alla ribalta i seguenti interrogativi:

  1. La permanenza della Grecia nella Nato.
  2. Dopo la firma definitiva del 18 giugno tra Tsipras e il presidente russo Vladimir Putin, Atene può diventare lo snodo energetico dell’Europa del Sud grazie al gasdotto Turkish (Greek) Stream attraverso il quale verrà dirottato il gas naturale russo che, dal 2019, non transiterà più attraverso il sistema infrastrutturale dell’Ucraina. Questo aspetto interessa anzitutto l’Italia.
  3. La Cina, dopo avere individuato il porto del Pireo come hub in Europa meridionale ed essere in procinto di investire nel complesso del sistema infrastrutturale greco, ha in progetto la costruzione della tratta ferroviaria Atene-Budapest onde trasportare le proprie esportazioni.

In un contesto internazionale contraddistinto dai simultanei episodi terroristici verificatisi in Europa, Africa e Medioriente, oltre al conflitto strisciante in Ucraina e alle incognite legate all’accordo sul nucleare iraniano, potrebbe non essere così sbagliato estendere anche alla Grecia il modus operandi suggerito dall’ex segretario di Stato americano Henry Kissinger nella sua intervista al Corriere della Sera del 18 giugno scorso. Nella sostanza, siano Stati Uniti, Federazione Russa – e Cina aggiungiamo noi – a creare quella sorta di “camera di compensazione” alla quale l’Europa si ostina a non volere, o forse a non poter, partecipare.

Purtroppo, a differenza dell’ottimo ruolo diplomatico svolto dall’Italia nel corso del Forum economico internazionale di San Pietroburgo del 18/19 giugno, la posizione assunta dal primo ministro italiano Matteo Renzi su Atene rischia di essere gravida di conseguenze negative anche per Roma.

Per approfondire: La Germania in Grecia: com’è nata e come si può risolvere la crisi di Atene