28.4.05

L'Europa cancella i bambini poveri

Nel mondo sono 600 milioni i minori che vivono in famiglie il cui reddito è di un dollaro al giorno. La denuncia di Save the children: Bruxelles li ha dimenticati. L'Italia il paese più «canaglia»

ALBERTO D'ARGENZIO - BRUXELLES
L'Unione europea ha cancellato i bambini dalla politica di sviluppo. Questo l'atto d'accusa presentato ieri all'Eurocamera da Save the children, la più grande organizzazione internazionale indipendente per la promozione e la tutela dei diritti dei bambini. E se la Ue non guarda ai minori, l'Italia non guarda più in generale alla politica di sviluppo. «Stato canaglia», hanno detto del Belpaese solo un paio di mesi fa Oxfam e Action aid commentando i dati romani dell'aiuto allo sviluppo. Il governo destina alla lotta alla povertà meno dello 0,17% del suo Pil, il più tirchio nell'Unione a 15. Ieri pure Save the children si è unita al coro dello «Stato canaglia». Dietro all'accusa, le cifre della povertà. Allarmanti. Nei paesi in via di sviluppo - afferma la ong - 600 milioni di bambini vivono in famiglie che sopravvivono con meno di un dollaro al giorno, 10 milioni muoiono ogni anno per malattie facilmente prevenibili, più di 100 milioni di minori, di cui due terzi bambine, non vanno a scuola, oltre 150 milioni di bambini e bambine soffrono di malnutrizione e l'Aids si sta diffondendo a ritmi vertiginosi. «Una persona su due di quelle che vivono in assoluta povertà - sostiene Costanza De Toma, una delle relatrici del rapporto presentato ieri - sono bambini, più spesso bambine».

Di fronte a questo panorama, la Ue - che è pure il maggior donatore al mondo - ha chiuso gli occhi sui minori, insiste l'organizzazione internazionale. «Se le politiche per combattere la povertà non sono mirate alla povertà infantile, cioè alla protezione sociale, alla sanità, all'istruzione, allora non si potrà mai sradicare la povertà nel mondo».

Il ragionamento è semplice ma Bruxelles non lo segue, anzi farebbe di peggio: marcia indietro. Nel 2000 il tema dei diritti dei bambini era stato inserito nelle linee guida per le politiche di sviluppo europee, ma quando si è passati alla pratica i diritti dei minori sono scomparsi dai punti di riferimento. La Commissione risponde che «è vero perché è falso». «La protezione dei bambini - afferma Amadeu Altafaj, portavoce del commissario allo sviluppo Louis Michel - è diventata orizzontale, è stata inserita in tutti i programmi di sviluppo continuando a essere una priorità comune a tutti i progetti». «E la protezione dei minori - insiste Bruxelles - è inserita nella nostra richiesta di raggiungere più rapidamente gli obiettivi del Millennio». Save the Children continua la sua accusa, sostenendo che «non si ravvisa un approccio strategico globale alla povertà infantile».

Oltre alle tirate di orecchie, arrivano anche dei consigli, degli inviti. L'Europa - afferma la ong - deve incrementare gli aiuti allo sviluppo fino allo 0,6% del Pil dei Paesi dell'Ue entro il 2009, per poi raggiungere l'obiettivo dello 0,7 entro il 2013. I 25 sembrano invece intenzionati a mettersi d'accordo per arrivare allo 0,51% nel 2010 (lasciando per i 10 nuovi, che partono da posizioni molto inferiori, l'obiettivo dello 0,17%). Inoltre - insiste il rapporto - è necessario dire no all'imposizione di tasse sui servizi educativi e sui servizi sanitari di base. Sia la Banca mondiale che Bruxelles sono ambigui sul tema salute gratis, sostengono infatti che le spese dei poveri permettono comunque di finanziare la sanità. In realtà coprono appena il 5% dei costi. Save the children insiste sul sostegno agli orfani e ai bambini più vulnerabili nella lotta all'Aids, sul finanziamento alla ricerca e allo sviluppo di farmaci retrovirali accessibili gratuitamente.

Divisi su molto, Save the children e Commissione sono invece d'accordo su un punto: l'Italia fa pochissimo per la politica di sviluppo. «Lo 0,17% del Pil è una cifra inadeguata al suo livello di ricchezza», afferma De Toma. Peggio di lei fanno solamente gli Usa con lo 0,12% del Pil. Il caso Italia non si ferma comunque alle nude cifre. Roma doveva presentare a dicembre il suo rapporto per la politica di sviluppo, ma non l'ha fatto. All'appello mancano solo Italia e Cipro. «Inoltre - insiste Carlotta Sami, coordinatrice di Save the children Italia - la spesa viene indirizzata massicciamente a imprese profit nazionali», in pratica viene reinvestita in casa, poi «si fa sempre meno differenza tra attori privati profit e non profit». Addirittura molte associazioni sono creditrici del ministero degli esteri per progetti approvati e finanziati con soldi che poi non sono mai arrivati.
ilmanifesto.it

22.4.05

Stupidità, la peste di oggi

di Vittorino Andreoli

Nessuno si chiede se un’ape sia intelligente oppure no, se una formica o un coleottero siano stupidi. E si tratta di specie che hanno una lunga storia sulla terra: le tartarughe e gli elefanti hanno visto l’arrivo dell’uomo quando già calpestavano questo mondo da molte migliaia di anni. Verrebbe da sorridere di fronte a uno che accusasse di stupidità una farfalla o la proclamasse sapiente. Si è pensato a macchine straordinarie ma concluse, incapaci di creatività, insomma prive di intelligenza. Nell’uomo sapiens-sapiens l’intelligenza giunge a sovvertire gli imperativi della specie, stampati nel codice genetico e, quindi, uno può suicidarsi o uccidere un esemplare della propria famiglia. Secondo questo criterio, da una parte si potrebbero mettere le specie viventi non intelligenti ma perfette e dall’altra parte l’uomo, intelligente ma sommamente imperfetto. La fuga del gene è una fuga dalla perfezione e ce se ne allontana sia con un gesto innovativo, sia con uno distruttivo. Al di fuori della perfezione c’è l’errore e la specie umana ne è certamente la massima espressione.

Aver applicato lo schema intelligenza-stupidità ha permesso una lettura dell’evoluzione completamente opposta a quella che avremmo se si applicasse lo schema perfezione-difetto. In un caso risultiamo all’apice dell’evoluzione, nell’altro a un livello certamente basso. Era prevedibile che un criterio inventato dall’uomo fosse a lui benevolo e anzi che lo usasse persino per giudicare gli altri esseri viventi.

Non sono affatto sicuro che l’intelligenza sia una considerevole acquisizione e non sono sicuro che un bilancio dei suoi effetti, tra negativi e positivi, sia per il vantaggio. Metterei su un piatto i versi poetici, ma sull’altro le guerre. Da un lato le raffinate espressioni amorose, dall’altro gli odî fratricidi. Nessun’altra specie vivente sa odiare come l’uomo e nessuna «belva» si è mai comportata come lui. Su un piatto della bilancia dovrei mettere il trapianto di cuore su un bambino, sull’altro tutti gli altri che vengono lasciati morire di fame.

La specie umana ha introdotto tecnologie, si è servita di protesi che ha dapprima trovato in natura e poi inventato artificiosamente. E all’uso degli strumenti si accompagna la comunicazione che diventa simbolica fino ai linguaggi parlati e scritti. Un risultato straordinario, una moltiplicazione, una sommazione di capacità semmai già presenti in nuce in altre specie.

Insomma, andrebbe rivisitato con molta più prudenza il processo evolutivo nel suo insieme che ha autoassegnato all’uomo capacità e doti così speciali da farne il più alto rappresentante della vita sulla terra e da rendere accettabili tutte le sciocchezze che compie e che nessun essere «inferiore» mette in atto. Con un po’ più di prudenza l’uomo può apparire, come appare a me, un essere imperfetto e, in termini di intelligenza, uno stupido.

La stupidità massima si coniuga, l’abbiamo detto, con il potere, quando cioè l’uomo tende ad aumentare la propria avidità. Però la stupidità si è infiltrata ovunque, fino a obbligare la persona onesta e creativa a chiudersi nella cella del privato, in una stanza che ha il sapore di un carcere di massima sicurezza.

Ci sono mafia e ’ndrangheta, ma anche i clan universitari, le famiglie intellettuali e industriali. Una società idiota. I più grandi emarginati del tempo presente sono le persone veramente intelligenti. Sullo scenario della vita si percepiscono solo le loro controfigure, sembrano intelligenti ma sono idioti. I travestiti della mente, dentro la testa hanno solo sterco. Come in un transessuale: si cerca il mons veneris e si trova un pene mostruoso.

Gli intelligenti vivono male in questa società, ma sono pochi e insignificanti. Per il resto è una «città ideale», persino democratica, dove tutti sono egualmente idioti, ma nessuno se ne accorge e quindi si può cambiare il dizionario e dare la stessa definizione dell’intelligente all’idiota. La misura di tutte le cose è il denaro, questo amuleto delle civiltà evolute. Può tutto e ha dalla propria parte ogni divinità.

La stupidità è endemica, come la più grave delle malattie infettive, come la peste. E’ la peste del tempo presente. Se uno è stupido si aggregherà con gli stupidi, si attornierà di idioti. Si attiva il meccanismo della selezione naturale: gli intelligenti sono segregati e uccisi psicologicamente, gli stupidi si moltiplicheranno come i topi, come i conigli. Genereranno bambini che la natura potrà anche aver dotato di capacità creative, ma diventeranno stupidi perché educati alla stupidità. Respireranno un’aria mefitica, che uccide la mente e rinvigorisce i muscoli e il tessuto cavernoso del pene che si erigerà sempre di più. L’intelligenza è una possibilità della biologia, non un imperativo, non una necessità. L’educazione sopprime ogni potenzialità e così crescono piccoli idioti che poi diventano grandi e ancor più idioti. I bambini più intelligenti muoiono perché appaiono, nel migliore dei casi, folli. Una società di idioti genera idioti che genereranno idioti.

Persino gli strumenti tecnologici ne vengono colpiti: basti guardare la televisione, il cinematografo, i videogiochi. Oggetti stupidi a immagine e somiglianza di un uomo cretino che deve stare in video a mostrare il proprio mostruoso pene, l’unico organo vivente. Sul teleschermo si muovono tanti peni incravattati, rivestiti di griffe prestigise. Una società di idioti non può che avere una televisione idiota che li rassicuri, che permetta di identificarsi continuamente, di percepirsi come grandi. E così si programma il concorso per miss idiota, le sfide della stupidità, i quiz dell’ignoranza. E il televisore diventa il luogo della pornografia, la pornografia della stupidità, del gusto dell’orrido intellettivo, dell’osceno razionale, del voyeurismo ebete. Gli intellettuali balbettano dimenticandosi di essere degli attori di questo teatro dell’ipocrisia e della crudeltà. (...) Nella società del sembrare, una patacca brilla come un cristallo di Boemia, come un diamante del Transvaal. Una puttana si confonde con una vergine, un travestito con una miss. Solo l’idiota rimane idiota, con desideri idioti, con l’invidia da idiota, con l’arroganza dell’idiota, con la superbia degli stupidi.

L’ho imparato da molto tempo: per essere felici bisogna essere idioti oppure maniacali, delirare fino a percepirsi dio. Se il fine dell’umanità è la felicità, allora questo tempo è in perfetta sintonia con l’evoluzione. Aumentando il sapere, aumenta il dolore: l’idiota non sa nulla ed è felice.


NELLA BUR
Esce nella Bur Dietro lo specchio. Realtà e sogni dell’uomo di oggi, il nuovo saggio di Vittorino Andreoli. Nato a Verona nel 1940, Andreoli è uno dei più famosi neurologi e psichiatri italiani. Tra i suoi libri ricordiamo Cronaca dei sentimenti, Lettera a un adolescente, I miei matti. Per Andreoli l’uomo è arrivato al terzo millennio confuso, frammentato, smarrito in preda a mille contraddizioni. Il suo libro cerca di analizzarle. Pubblichiamo il capitolo «L’uomo della stupidità».
lastampa.it

13.4.05

Internet, metà degli italiani sta in rete

... Ma gli insegnanti non lo sanno
di red

Un italiano su due utilizza regolarmente Internet. Tre anni fa lo faceva soltanto uno su tre. Il computer di casa si utilizza sempre meno come “macchina da scrivere”, rappresentando invece un grande contenitore attaccato ad un filo, nel quale gli italiani amano soprattutto cercare informazioni, leggere giornali, consultare enciclopedie e, sempre di più, fare acquisti.

Nel Rapporto 2005 sull’editoria on-line che l’Associazione Italiana Editori ha presentato a Milano si sono delineate diverse tipologie di ‘internauti’: dei 23 milioni di italiani che si sono collegati in rete negli ultimi tre anni (passando dal 35 al 46% della popolazione), il 17% sono «gli ultimi arrivati». Si tratta soprattutto dei sessantenni del sud e delle isole, quelli che probabilmente sono stati iniziati alla navigazione per esigenze di lavoro o magari dall’insistenza dei figli. Poi c’è un 24% di «basici», soprattutto casalinghe e gente poco esperta, che sembra cliccare in punta di piedi, giusto il tempo necessario di cercare cio di cui ha bisogno, senza soffermarsi troppo.

Gli studenti delle scuole superiori sono invece il tipico utente «funzionale» (il 22%): hanno buona dimestichezza, sanno destreggiarsi nel mare del web e salvano sempre i contenuti di cui hanno bisogno. Infine la categoria più numerosa (il 37%), i ‘curiosi’: sono gli utenti che con internet si divertono di più. Hanno un’età compresa tra i 18 e i 35 anni, buona cultura, amanti della lettura ma soprattutto interessati all’informazione in tempo reale. Naturalmente si concedono il lusso di scaricare musica e film e in numero crescente si divertono a fare acquisti senza spostarsi da casa. Più della metà di loro, infatti, ritiene che scegliere un oggetto e pagare utilizzando i servizi on line sia più che sicuro.

Il rapporto tuttavia dimostra come utilizzare con sempre più assiduità il computer non precluda necessariamente il tempo alla lettura di un buon libro di carta. I lettori in Italia sono pochi, ma aumentano gradualmente, con una media personale che passa dai 2,3 del 2002 ai 3,2 libri di oggi. Poco male, dicono naturalmente gli editori, che però registrano un crescente interesse di chi naviga a trovare un momento per sfogliare un giornale digitale. Chi si trova su Internet infatti con frequenza coglie l’occasione di collegarsi anche per pochi minuti ai siti di informazione e salvare sul desktop o stampare la notizia che gli interessa. Molti tra l’altro si dicono pronti a pagare un abbonamento pur di avere accesso illimitato ai canali di informazione telematica. Una prospettiva nuova che si apre per l’industria editoriale, tenendo anche conto che il computer è diventato un oggetto familiare per la metà degli italiani.

Ma l’Associazione Italiana Editori ha lanciato una nuova proposta al Ministero dell' Istruzione e a quello dell'Innovazione: sperimentare in 200 scuole l’utilizzo concreto del pc nelle classi, facendolo diventare uno strumento della didattica alla pari della lavagna e dei libri. È un modo per far recuperare, almeno in parte, il gap di cui soffre il corpo insegnate italiano. Da un’indagine commissionata all’Istituto IARD Franco Brambilla, è risultato infatti che il rapporto tra insegnanti e nuove tecnologie non è proprio dei migliori. Come dire, gli insegnanti potrebbero prendere lezione dai propri studenti, per quanto riguarda l’utilizzo del pc e di internet.

Su ottanta interpellati, solo un insegnate su tre utilizza regolarmente il computer per preparare le lezioni e solo uno su cinque sa come preparare una lezione usando il pc. Eppure se sono chiamati a dare un voto sui vantaggi che le nuove tecnologie possono apportare alla didattica e al reperimento dei materiali, tutti si affrettano a promuoverle a pieni voti (una media che supera l’8). E poi sono loro stessi a chiedere sempre di più contenuti digitali tipo esercizi, immagini, materiali specialistici, di ricerca e test di autovalutazione. Un mercato in grande espansione che gli editori non vogliono lasciare sfornito. Una rivoluzione tante volte annunciata, che forse non eliminerà quaderni, libri, lavagna e gessetti ma che inevitabilmente segnerà la differenza tra le vecchie generazioni di studenti e quelli che inizieranno a formarsi nel futuro. Finché forse non arriverà il giorno in cui l’insegnante chiamerà lo studente dicendogli «Dai forza, vieni al desktop».
http://www.unita.it/index.asp?SEZIONE_COD=HP&TOPIC_TIPO=&TOPIC_ID=42013

11.4.05

Vietato fumare, cala la produttività

Uno studio dell'Associazione direttori delle risorse umane: quel
tempo "perso" a fumare lontano dalle scrivanie va recuperato


Fumo in ufficio, allarme imprese
"Produttività cala fino al 10,5%"

Il problema nelle aziende dove non sono sono stati previsti spazi
per i fumatori. Ma si arriverà a detrazioni in busta paga?
di GIORGIO LONARDI


MILANO - Fumatori attenti: la pausa sigaretta durante il lavoro potrebbe non essere più "gratis". Quel nuovo rito nato il 10 gennaio in seguito all'approvazione della legge antifumo, quello sciamare fuori dagli uffici per fumarsi una bionda all'aperto in santa pace potrebbe diventare un'abitudine costosa.
Una ricerca su 177 imprese promossa dall'Associazione Direttori Risorse Umane (GIDP/ HRDA) e patrocinata dall'agenzia per il lavoro interinale Randstad, infatti, non lascia dubbi: il fumo pesa sui bilanci aziendali provocando una perdita secca di produttività compresa fra il 6,5% e il 10,5%. Risultato: ci sono le premesse per una detrazione della pausa dalla busta paga. O per un recupero del tempo dedicato al vizio.

L'indagine precisa che il problema coinvolge ben il 75% delle imprese che non ha attrezzato in azienda locali dedicati al fumo. Insomma, la questione è delicata. Anche perché GIDP/HRDA è un network influente che comprende 1.250 imprese con 800 mila addetti. E la ricerca ha messo in luce il "costo", finora sottovalutato, del fumo.

"Visto che un fumatore "medio" nell'arco delle 9 ore di servizio consuma almeno 5 sigarette", spiega Paolo Citterio, presidente dell'Associazione Direttori Risorse Umane, "ed ipotizzando circa 10 minuti per volta per la sosta abbiamo un risultato piuttosto pesante: le imprese stanno sopportando un onere che va da mezzora a 50 minuti al giorno, quindi una riduzione della produttività che va dal 6,5% al 10,5%".

Secondo Citterio, dunque, è inevitabile che le aziende prendano provvedimenti. Dice: "Visti i costi della nostra manodopera non è ipotizzabile che il fenomeno della pausa-sigaretta possa continuare. Soprattutto se si tratta di imprese con lavorazioni altamente specializzate dove il costo del lavoro incide molto sul prodotto finito". Oggi infatti il 92% delle aziende che non hanno installato locali per fumatori considera la pausa-sigaretta come normale orario di lavoro. Mentre appena il 3% sta valutando se trattenere o meno dalla busta paga il tempo passato a fumare. E nessuna delle società intervistate farà recuperare il tempo dedicato alle bionde.

Insomma, nonostante le preoccupazioni dell'Associazione Direttori Risorse Umane sembra che manager e imprese non siano coscienti della situazione. Circa l'80% delle aziende, ad esempio, non appare preoccupato per il calo di produttività dei propri dipendenti. "Si tratta di imprese", commenta Citterio, "dove la maggioranza del personale è costituita da impiegati, quadri e dirigenti e dove il recupero del tempo perso per il fumo può essere gestito nel modo migliore, con un alto grado di flessibilità".

In effetti questa considerazione schiude la porta ad alcune osservazioni polemiche. Da una parte, infatti, troviamo i lavoratori impegnati nelle mansioni più umili (operai e impiegati) per i quali il vizio ha un "costo" immediatamente misurabile sul piano della prestazione lavorativa.

Sono loro dunque, quelli che dovranno pagare la riduzione della produttività. Mentre dall'altra i dirigenti, i quadri e i "creativi" possono essere esentati dal prezzo del fumo. Intanto perché si presume che potranno recuperare successivamente il tempo perso, magari anche lavorando più del necessario. E poi, forse, perché alcuni capi azienda, anch'essi fumatori incalliti, sono convinti che dopo una sigaretta ci si concentri di più.

Fra le curiosità emerse dalla ricerca c'è il comportamento adottato dal mondo del lavoro all'indomani del divieto di fumo. Ebbene, il 50% ha divulgato il provvedimento grazie ad appositi cartelli. Un altro 24% ha informato i dipendenti della nomina di un responsabile incaricato di far rispettare la legge. Mentre il 9,5% ha subito predisposto locali per fumatori il cui costo medio oscillerebbe fra i 5 mila e 10 mila euro.

Resta quindi un 5% che non ha fatto nulla e un 1% dove si continua a fumare allegramente. Questi ultimi, però, rischiano parecchio. E non si tratta solo delle multe (fino a un massimo di 3.300 euro) ma della possibilità di essere portati in tribunale da quei lavoratori che si sentono danneggiati dal fumo passivo.
repubblica.it

L'ultimo evento

CARLO FRECCERO

Giovanni Paolo II conosce con i suoi funerali un trionfo mediatico che non ha precedenti. Queste esequie sono un evento. Sono presenti i capi di stato attuali e storici di tutto il mondo. La folla affluisce da ogni parte ed è incontenibile, commossa, conscia di partecipare a un evento storico. Tra le grandi cerimonie dei media, questa è la cerimonia per eccellenza. L'eccezionale successo di questo evento è legato a una serie di congiunture favorevoli: la figura del papa incarna oggi lo spirito del tempo. Il bisogno di religiosità è palpabile. La gente è affamata di cerimonie che consolidano il reciproco legame di appartenenza e connessione. Partecipare a una cerimonia storica, essere parte attiva di una maggioranza, essere inquadrato da una telecamera come un punto in mezzo a centinaia di migliaia di punti sembra oggi un obiettivo sufficiente a dare un senso alla vita. Si dirà: il papa è il papa. Ma non basta.

Nessun papa storico, e tutti i papa hanno fatto la storia, ha incarnato così profondamente gli umori della folla. Le spoglie di Pio IX, storico papa del Risorgimento italiano, vennero assalite dagli anticlericali al grido «al fiume il papa porco». E anche il pontefice più popolare Giovanni XXIII non ebbe per le sue esequie un così massiccio, irrazionale e divistico assalto di pubblico, perché tutto il suo pontificato era stato svolto sulle corde della carità, dell'impegno terreno e dell'aiuto reciproco tra gli uomini. Il pontificato di Giovanni Paolo II si è sviluppato invece all'insegna della comunicazione. Per questo l'ultimo papa incarna lo spirito del tempo. Conservatore a livello ideologico non ha concesso nulla alle spinte di rinnovamento interne alla chiesa che gli chiedevano di completare l'opera del concilio vaticano II. Ha riportato la chiesa a una classicità, una solennità, una tradizione che fanno parte oggi del comune sentire.

Anche a livello politico il pensiero dominante è oggi di destra, conservatore e impregnato di valori tradizionali: dio, patria, famiglia. Però è una conservazione non passiva, ma militante. I teocon teorizzano la guerra per diffondere la democrazia. Il papa è stato pacifista, ma ha combattuto il comunismo e ha contribuito al suo crollo. E lo ha fatto non con le armi tradizionali, ma con le armi della comunicazione. Tutto il suo pontificato è stato un viaggio. Tutto il suo pontificato è stato ricerca e creazione di eventi. Come il giubileo, che rispetto al Concilio Vaticano II non ha portato un rinnovamento di idee o principi, ma una esibizione vistosa della liturgia. In questo il papa è stato contemporaneo. La generazione del `68 - e con essa la chiesa del tempo - è stata intellettualmente anticonformista e ha teorizzato una rivoluzione che faceva appello alla ragione ed insieme alle sue possibilità pratiche: i filosofi si erano limitati a interpretare il mondo, bisognava cambiarlo. La carità è stata per la chiesa lo strumento e il concetto cristiano che giustificava un intervento attivo rispetto alle ingiustizie sociali. In questo senso la chiesa ha ridimensionato la sua trascendenza per impegnarsi nel sociale nell'al di qua piuttosto che nell'al di là. Ma si trattava di una rivoluzione concettuale, libresca, improntata a una sobrietà aniconica, poco fotogenica. Con Wojtyla ritorna la liturgia.
Lo spirito del tempo è conservatore e visionario. Chiede emozioni e immagini, e la chiesa tradizionale è più fotogenica e solenne dei preti operai. Esiste una spiritualità che non si esprime per concetti, ma per sensazioni: il canto gregoriano, l'incenso, le folle, il latino incomprensibile come il corano recitato meccanicamente a memoria ma egualmente solenne. Cerimonie storiche sono state le nozze e i funerali di Diana. Ma anche la monarchia è più sobria e meno sacrale e solenne della chiesa e della sua liturgia. A questo si aggiunge il bisogno di aggregazione della nostra epoca. Conformismo e maggioranza sono state a lungo disvalori. Oggi il bisogno di aggregazione, di integrazione, prevale sul bisogno di distinzione. Nessuno ricerca più l'esclusività, la differenza, l'originalità. L'imperativo è partecipare, essere accettati, connessi, presenti. Viviamo oggi una adolescenza collettiva in cui il bisogno di appartenenza al gruppo prevale sulla ricerca della propria identità. Appartenere alla maggioranza, fare maggioranza, non passivamente, ma attivamente è il desiderio di tutti. Per questo come per i pellegrinaggi dell'anno mille, una immensa folla si è riversata sul sagrato di san Pietro. E' una folla di fedeli, ma anche di agnostici che capisce che un frammento di storia si celebra oggi e che è importante essere presenti. Ore di coda sono sopportabili per poter fissare sul telefonino l'immagine del papa. Quell'immagine significa: «io c'ero». A quella folla in jeans attaccata al telefonino, compatta ed eternamente connessa, la chiesa conferisce forma e significato. E' la liturgia che attribuisce a questa massa informe un contenuto religioso, una convinzione. La maggioranza, la folla, scopre di avere un senso, di essere venuta per una idea e uno scopo e le guance di tutti si rigano di lacrime.
http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/09-Aprile-2005/art5.html

9.4.05

AIE: buono il quadro dell'online italiano

08-04-2005

L'83% di chi possiede un computer naviga su internet, e il 49% sarebbe disposto a pagare per accedere ai siti di informazione

Il 43% della popolazione italiana, e l'83% di chi possiede un pc, naviga su internet. In totale sono 21 milioni gli italiani online secondo le stime dell'ISPO. Di questi, l'85% ha visitato negli ultimi sei mesi almeno un sito di informazione, e il 49% sarebbe disposto a pagare per avere accesso o per avere una maggiore velocità di servizio, maggiore ricchezza di contenuti o per ricevere aggiornamenti.

Un quadro decisamente interessante che conferma come il settore online, in un quadro economico non certo positivo, stia dando segnali importanti. Questi sono i dati del Rapporto 2004 dell'Osservatorio AIE (associazione italiana editori) sull'editoria digitale. Il Rapporto prende in esame con due indagini il rapporto tra gli italiani e la tecnologia: sia come consumatori di contenuti digitali (la parte curata dall'ISPO), sia come utilizzo di tecnologie nella scuola (indagine realizzata dall'Istituto IARD).

Già si è detto che il mercato dei contenuti digitali è in crescita e ha ottime prospettive per il futuro. Ora i dati del Rapporto AIE indicano che il servizio deve diventare un valore. Forse è una frase un po' vuota, ma è un fatto che il 17% degli intervistati quando deve scegliere un canale per accedere a un qualsiasi tipo di contenuto digitale cita prevalentemente le tecnologie, come internet o il telefono cellulare. In prevalenza sono giovani (24%) e studenti (26%) gli utenti di internet più assidui, per lavoro o per svago. L'approccio cosiddetto 'tradizionale', invece, interessa il 47% della popolazione. Soltanto il 23% mischia i due approcci.

Sempre leggendo i dati della parte del Rapporto AIE curata da ISPO, emerge che dal 2002 si è triplicato il numero di accede ai contenuti editoriali e informativi attraverso il telefonino: dal 10% della popolazione e il 14% di chi possiede un cellulare si è passati al 25% della popolazione e al 33% di chi ha un telefonino. Per quanto riguarda Internet, nel 30% dei casi serve per raccogliere informazioni, nel 23% per avere materiali di supporto allo studio o per scaricare musica, e solo nel 17% per leggere articoli.
http://www.cwi.it/showPage.php?template=articoli&id=12797
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Gli italiani si dividono tra analfabeti informatici e interessati alle possibilità della rete. Solo il 9%, secondo il Rapporto 2005 dell'Osservatorio Aie, dichiara di non connettersi mai. Secondo gli insegnati, i linguaggi dei computer favoriscono l'apprendimento degli studenti.

Italiani sempre più appassionati al mondo di internet e sempre meno interessati ad adoperare il pc come elaboratore: il 46% della popolazione utilizza il computer per collegarsi alla rete, mentre solo il 9% di chi lo usa dice di non accedere mai a internet. I dati emergono dal Rapporto 2005 dell'Osservatorio Aie (Associazione italiana editori) sull'editoria digitale che sarà presentato a Milano il 12 aprile alle 10,30 a Palazzo Turati.

Quasi un italiano su due ricorre alle informazioni del web, ma resta alta la percentuale degli analfabeti informatici, pari al 45% del campione intervistato nell'ambito dell'indagine condotta dall'Ispo (Istituto per gli studi sulla pubblica opinione) e contenuta nel rapporto. La popolazione italiana, quindi, sarebbe divisa: da un lato coloro che non hanno ancora le competenze tecniche e i mezzi per utilizzare ne' il pc, ne' internet, dall'altro chi usa il computer e lo fa in maniera sempre più diversificata.

Il ricorso alla rete, comunque, si va diffondendo sempre di più anche nel settore scolastico. Secondo l'indagine dell'Istituto Iard, anch'essa contenuta nel rapporto dell'Aie, gli insegnanti che impiegano le nuove tecnologie per favorire l'apprendimento sottolineano come siano molteplici i vantaggi derivanti dal ricorso ai codici di internet. Il linguaggio della rete, infatti, è più vicino a quello degli studenti, i contenuti sono più stimolanti, mentre la flessibilità stessa del mezzo permette anche la realizzazione di percorsi di studio personalizzati da classe a classe.
http://www.panorama.it/internet/meglioweb/articolo/ix1-A020001030176

«L’acqua? Due litri all’ora per curarsi»

Primo studio scientifico: così la minerale ha gli effetti di una medicina

La ricerca sul valore terapeutico condotta dall'università di Siena e da quella della Calabria pubblicata negli Stati Uniti

L’acqua termale, a basso contenuto di sali, può essere un farmaco. La posologia: 25 millilitri per chilo di peso da bere nel giro di un’ora. In pratica: un litro e mezzo in un’ora per una persona di 60 chili, due litri per una di 80 chili. Donne e uomini, bambini e adulti è uguale. L’effetto: l’azione di uno «tsunami» interno, organico, che porta via tossine e renella. Difende da calcoli e infezioni urinarie, purifica l’organismo, mantiene giovani. La prima dimostrazione scientifica delle proprietà terapeutiche delle acque minerali è italiana. La firmano ricercatori senesi e dell’università della Calabria e la pubblica una rivista medica americana ( International journal of artificial organs ) nel numero di aprile. L’effetto dimostrato è appunto quello di uno «tsunami»: così titola l’editoriale di Claudio Ronco, nefrologo dell’ospedale San Bortolo di Vicenza, che commenta il lavoro. Ed è sintomatico che sia proprio una rivista americana a pubblicare la ricerca. La medicina statunitense è stata sempre scettica sulla validità terapeutica delle acque: «Senza prove scientifiche l’acqua resta acqua».

RE SALOMONE -Eppure gli antichi popoli della Terra hanno sempre creduto nei poteri terapeutici di certe fonti. Basterebbe citare le terme degli antichi romani, ma è anche noto che il re Salomone, il medico saggio, era convinto che alcune sorgenti celassero lo «spirito della fonte» e nei suoi lunghi viaggi esplorativi inviava avanti personale specializzato per individuare le fonti benedette. Molti popoli africani si avvalgono da sempre di acque dalle proprietà taumaturgiche. Papi e cardinali usufruivano di località termali sia per purificare il corpo sia per fanghi e bagni terapeutici. Michelangelo, durante i lavori nella cappella Sistina, curava così i calcoli renali. Finora, però, non vi erano mai state dimostrazioni scientifiche dei meccanismi d’azione dell’acqua bevuta. Dimostrazione riuscita a Nicola Di Paolo, il nefrologo senese che ha guidato lo studio. Un ricercatore non nuovo a scoperte ad effetto: come quella del fungo causa della «Maledizione dei faraoni» (Richard Newbury in un articolo dell’agosto 2004 sul Corriere della Sera conferma che grazie a Di Paolo oggi gli archeologi entrano nelle tombe con maschere protettive e tute). «E’ noto a tutti - spiega il ricercatore senese - che bere acqua in quantità adeguata, meglio ancora in ambiente termale, può essere molto utile nel prevenire o curare la recidiva di calcolosi e di infezione delle vie urinarie. Nella realtà questa osservazione è stata sempre oggetto di discussioni e di rigidità nel riconoscere tali terapie come indispensabili».

FIUME IN PIENA - L’équipe del reparto di Nefrologia (diretto da Enzo Gaggiotti) del policlinico «Le Scotte» di Siena è partita dall’osservazione di un fiume in piena per impostare un percorso razionale di ricerca. «Se un fiume, o una conduttura, raddoppia la sua portata liquida - dice Di Paolo -, tutti possono osservare quali effetti determina: trasporto di una quantità enorme di sedimenti (il fiume diventa limaccioso), ma anche di pietre, massi, tronchi, e di tutto ciò che incontra nel suo cammino, comprese abitazioni, strade, eccetera. Quindi la forza di trasporto aumenta di molto se raddoppia la portata liquida. Grandi scienziati fra i quali Hopkins e Einstein Jr furono colpiti dal fenomeno e lo studiarono. Ancora oggi la legge postulata da Hopkins e convalidata da Einstein è universalmente accettata: se la portata liquida di un fiume raddoppia, la portata solida aumenta di 64 volte».

MODELLI DI STUDIO - Di Paolo ha creato in laboratorio un modello delle vie urinarie per capire se anche negli esseri viventi la forza di trasporto dell’acqua si comporta come nei fiumi e nelle condotte. E ha chiesto ad uno scienziato esperto in meccanica fluviale (Francesco Calmino, dell’università della Calabria) un modello matematico adattabile all’uomo. I risultati? Nell’uomo sano il carico idrico di 25ml/kg di peso in un’ora aumenta di 46 volte la forza di trasporto dando notevoli probabilità di espulsione di renella, piccoli calcoli e aggregati batterici. «Il che è esattamente quanto avviene in ambiente termale», conclude Di Paolo. «Gli antichi romani e lo stesso Leonardo da Vinci avevano ragione ritenendo efficace l’acqua termale», commenta il direttore della rivista americana. La cura dell’acqua è però controindicata per chi soffre di malattie (cardiopatie) nelle quali può essere problematica l’ingestione di notevoli quantità di liquidi in tempi brevi.
Mario Pappagallo
corriere.it

5.4.05

Attenti a Internet "Ci cambia dentro"

La Rete è diventato un temibile persuasore occulto. Che modifica i nostri comportamenti e i nostri pensieri. Perfino più potente della tv. La denuncia di B. J. Fogg, psicologo del Web
di Francesca Tarissi

I computer e la tecnologia in generale possono cambiare i nostri comportamenti e influenzarci in modo occulto? Possono, ad esempio, spingerci a fare acquisti insensati, modificare le nostre convinzioni politiche e indurci a compiere delle azioni che non faremmo altrimenti? Secondo B. J. Fogg, psicologo sperimentale e direttore del Persuasive Technology Lab presso l'Università di Stanford, assolutamente sì. Quarantun'anni di età, 12 dei quali passati a sondare pionieristicamente un nuovo ambito d'indagine e studi, da lui stesso poi definito "captologia" (gioco di parole che contiene l'acronimo di Computers as Persuasive Technologies), Fogg è il primo ad avere delineato un modello di manipolazione delle idee e delle menti che trova su Internet e nei videogame il mezzo più rapido ed efficace per raggiungere le persone in tutto il mondo. Con un libro intitolato "Tecnologia della persuasione" (in uscita in Italia a maggio edito da Apogeo) Fogg lancia così un allarme contro le motivazioni occulte che sottendono allo sviluppo della Rete e dalle quali occorre difendersi per non perdere la propria individualità e forse molto di più. "L'espresso" gli ha chiesto da chi e da cosa dobbiamo guardarci nella rivoluzione high tech.
Professor Fogg, che cos'è la captologia?
«La captologia è un campo relativamente nuovo, che guarda al modo in cui i computer e i siti Web, ma anche i cellulari e i videogiochi, possono essere progettati per cambiare le nostre credenze e i nostri comportamenti. In un senso estremo, la captologia studia come le macchine possono controllare gli esseri umani, il modo in cui pensiamo o quello che facciamo. La captologia consiste quindi nel capire come i computer possono influenzare le persone. Qualche volta tutto questo può risultare positivo, per esempio se la Rete promuove uno stile di vita più sano o la tolleranza reciproca, ma qualche volta può essere nocivo, come nel caso di certi videogame che abituano le persone alla violenza o di quei siti Internet che ci convincono ad acquistare oggetti di cui non abbiamo realmente bisogno. A mano a mano che i computer e le tecnologie diventano una componente importante delle nostre vite, volenti o nolenti rischiamo di restarne influenzati».

Nel suo libro lei parla di "persuasive technology", ossia di una tecnologia persuasiva. In che modo un computer può essere convincente?
«Il mio libro delinea ben 43 modi attraverso i quali un computer è in grado di persuaderci. Per esempio, una bambola computerizzata chiamata Baby Think It Over ("ragazza rifletti a fondo", ndr) è riuscita a cambiare il modo in cui centinaia di migliaia di ragazzi e di ragazze pensano alla gravidanza, riducendo di fatto la percentuale delle mamme adolescenti. La Microsoft convince milioni di utenti ad aggiornare il loro software molto più spesso di quanto non sarebbe necessario, con le cosiddette patches. Amazon persuade le persone a comprare cianfrusaglie on line, mediante suggerimenti mirati o l'offerta della spedizione gratuita. E ancora: il sito eBay è stato sviluppato per convincerci a fidarci di sconosciuti nelle transazioni finanziarie; un recente videogioco distribuito dall'esercito americano ha riscosso un grande successo nel reclutamento di nuovi soldati e, forse, il sito Sorryeverybody.com ha convinto qualche navigatore che i cittadini statunitensi sono veramente dispiaciuti della rielezione di George W. Bush... La tecnologia persuasiva si applica molto più di quanto si creda. I sistemi informatici possono cambiare le nostre idee politiche, il nostro credo religioso, il nostro comportamento verso coloro che amiamo, le nostre abitudini o quanto studiamo a scuola. Ovunque la persuasione gioca un ruolo nelle vite di tutti noi, sia che siamo semplici genitori, insegnanti, allenatori o venditori. E i computer e la captologia hanno parte in questo processo. Io credo che potenzialmente oggigiorno qualunque sito Web sia progettato con l'intenzione di modificare in qualche modo le attitudini o il comportamento dei navigatori. Il Web non è una piattaforma per l'informazione, ma una piattaforma per la persuasione. Ci illudiamo se pensiamo alla Rete come a una grande libreria o a un'enorme enciclopedia. è molto più simile a un posto nel quale la gente cerca di venderti idee e prodotti. Quando si usa il Web si dovrebbe pensare alla motivazione che sta dietro ad ogni sito. Se i creatori non avessero una ragione - qualcosa che vogliono da te - allora non si sarebbero dati la pena di creare il sito. Lo scopo di persuasione è la regola, non l'eccezione. Molti non l'hanno ancora capito: ecco perché la persuasione occulta delle nuove tecnologie è perfino più pericolosa di quella televisiva: dei pc non abbiamo ancora imparato a diffidare».

Ma la persuasione che viene dalla Rete è il peggio che può capitarci?
«Non direi. Ancora più problematici del Web possono essere certi videogiochi. Le forze armate americane, per esempio, usano i videogame per motivare e convincere le persone. E ciò accade anche al di fuori degli Stati Uniti. Le organizzazioni chiamano questo tipo di videogiochi "training" e tramite loro promuovono una certa visione del mondo e determinati modelli di comportamento. Cioè propaganda. Questi videogiochi sono un nuovo tipo di armi. E in questo senso stiamo assistendo all'inizio di un'epoca che usa le macchine per forgiare i pensieri e i comportamenti delle persone. Il paese o la compagnia che lo fa meglio ottiene un immenso potere, anche più grande di quello che le armi fisiche possono offrire. Noi tutti dovremmo esserne molto preoccupati».

Quindi esiste una forma di persuasione occulta hi-tech che va ben oltre i confini della Rete.
«Sì, la forma più pericolosa di captologia è quella che viene usata per promuovere la guerra, la violenza e l'odio. è pieno di gente che usa le tecnologie in questo modo. Abbiamo bisogno di creare sistemi alternativi che sostengano l'armonia globale al posto del conflitto. Il mio laboratorio ha aiutato a creare un sistema Internet di questo genere. Il nostro scopo è aiutare i ragazzi di qualunque nazionalità mondo a diventare amici. Noi crediamo che usare Internet per promuovere l'amicizia tra i bambini condurrà nel lungo termine a una maggiore armonia globale. Quando avranno 30 o 40 anni, questi stessi ragazzini non dimenticheranno i loro amici d'infanzia iraniani, coreani, indiani o canadesi. E penseranno e agiranno diversamente dai leader politici d'oggi. Io sono convinto che gli esseri umani sono potenzialmente in grado di convivere in modo pacifico e che se le persone interagiscono tra loro si riduce il rischio di conflitti. Bisogna però utilizzare i computer e Internet per costruire un mondo più armonioso. E' un fine ambizioso, ne sono consapevole. Ma dobbiamo intraprendere un'azione positiva ora. E cercare anche altri con i quali condividere la nostra visione per lavorare congiuntamente. Se ci sono delle organizzazioni in Italia cui piacerebbe promuovere questi obiettivi, si mettano pure in contatto con noi. E se mi chiede perché spendo così tanto tempo e denaro nella captologia per la pace, le rispondo che il motivo è che sono preoccupato della situazione politica mondiale».

In generale come possiamo difenderci dalla persuasione occulta hi-tech?
«Non penso a divieti o a obblighi: le leggi sono anti-libertarie e non funzionano quasi mai. Possiamo solo sperare di educare le persone, in modo che non si lascino ingannare, che imparino a diffidare dei pc. L'educazione è la chiave. Le persone necessitano di capire come i computer possono manipolarli. è l'unica difesa. Quello che mi preoccupa è quanta poca attenzione si presta alle motivazioni di un sito Web. A molti non piace dover pensare e concentrarsi. Siamo degli "avari cognitivi" e spendiamo il meno possibile per ragionare. Il che può creare problemi quando siamo on line e crediamo a cose non vere. Tutto ciò può avere conseguenze per la nostra salute e anche per la nostra cattiva situazione politica».

Lei ha già dei seguaci?
«Durante gli ultimi cinque anni ho trovato molto interesse nella captologia. Anche in Italia. Ricevo moltissime e-mail e richieste dal vostro paese, più che da tutti gli altri. Non so perché, ma è così».

http://www.espressonline.it/eol/free/jsp/detail.jsp?m1s=null&m2s=t&idCategory=4801&idContent=893251