21.5.19

Cosa succede con l’astensionismo in Europa

Alle ultime elezioni europee, nel 2014, ha votato solamente il 42,5 per cento degli aventi diritto. Dall’economia alle migrazioni, passando per la sicurezza e i cambiamenti climatici, le questioni europee sono ormai entrate nel dibattito quotidiano, ma questo probabilmente non basterà a risvegliare la partecipazione dei cittadini, anche se potrebbe portare a una prima inversione di tendenza.
Il fenomeno dell’astensionismo crescente è in corso da molti decenni e riguarda un po’ tutti i tipi di elezione. Fino al 1979, in Italia l’affluenza alle urne superava il 90 per cento. Da allora ha cominciato a scendere sempre di più, e non ha smesso di diminuire: alle ultime politiche ha raggiunto il 73 per cento, mentre alle europee del 2014 è stata del 57 per cento. Elezioni locali a parte, uno dei valori più bassi è stato registrato alle scorse regionali in Emilia-Romagna, quando l’affluenza si è fermata addirittura al 38 per cento.
La scelta di non andare a votare non riguarda solo la persona che la compie, ma ha delle conseguenze politiche dirette. Se diventa una scelta diffusa finisce per colpire la legittimazione delle istituzioni democratiche e dei partiti politici e favorire una loro evoluzione in direzione non sempre liberale. Gli astenuti inoltre non si distribuiscono in modo uniforme lungo tutto lo spettro politico: spesso le elezioni le vince chi riesce a mobilitare il maggior numero dei propri elettori potenziali, non tanto chi riesce a strappare più elettori agli avversari.


L’astensionismo è un fenomeno complesso. Ogni elezione ha le sue specificità, dettate da una molteplicità di fattori: per esempio, la composizione demografica del bacino elettorale, il contesto socioeconomico e la cultura democratica della popolazione chiamata al voto. Per questo molta letteratura scientifica si sforza di comprendere a fondo le cause dell’astensionismo, ma non esiste una teoria generale che ne spieghi le cause.

Apatia, protesta, sfiducia
Secondo Maurizio Cerruto, autore dello studio La partecipazione elettorale in Italia (Quaderni di Sociologia, 2012), le ragioni alla base dell’astensionismo sono sfaccettate. “Da un lato, si parla di astensionismo da apatia, cioè da distanza tra l’elettore e l’offerta politica”, spiega il professore di sociologia dell’università di Cagliari. “Questo tipo di astensionismo ha le sue radici nella posizione di marginalità che la politica occupa nell’orizzonte psicologico di molti elettori delle moderne democrazie di massa”. Dall’altro lato si parla invece di “astensionismo di protesta, come espressione attiva di una insoddisfazione dell’elettore, che esprime una dimostrazione di sfiducia e in molti casi di aperta ostilità nei confronti della classe politica”. Secondo Cerruto, le ricerche empiriche mostrano che nell’elettorato astensionista italiano l’apatia prevale sulla protesta.

Di certo gli italiani hanno sempre meno fiducia nelle istituzioni politiche. Ogni anno l’Istat rileva dati su questo aspetto, all’interno del rapporto Il benessere equo e sostenibile. Come confermano anche le ultime stime, la fiducia degli italiani verso il parlamento, i partiti e il sistema giudiziario continua a calare dal 2010 e questo si traduce in un senso di disaffezione diffuso, che ha un impatto sull’affluenza alle urne. Tuttavia il problema italiano si inserisce in un quadro europeo più generale. Secondo l’Eurobarometro, il servizio della Commissione europea che misura e analizza le tendenze dell’opinione pubblica, la fiducia dei cittadini verso le istituzioni è bassa un po’ in tutta Europa: da circa dieci anni meno della metà della popolazione europea si fida delle istituzioni politiche del proprio stato.

Alla base dell’astensionismo ci sono insomma molte ragioni, e ha quindi poco senso parlare di un “partito del non voto”. Il quadro si fa ancora più sfaccettato se si va a guardare quali sono le fasce della popolazione che più tendono ad astenersi. Secondo un rilevamento del 2016 dell’istituto di sondaggi Swg intitolato Il popolo dell’astensione, in Italia l’astensionismo è particolarmente diffuso tra gli elettori tra i 18 e i 44 anni, spesso indecisi o senza una precisa collocazione politica. Molti hanno un titolo di studio superiore al diploma. Guardando alle ultime elezioni europee, come osservato dai ricercatori André Blais e Filip Kostelka, in molti stati emerge invece una correlazione tra bassi livelli di istruzione e alti livelli di astensionismo.

L’astensionismo e le elezioni europee
In quasi ogni paese, le elezioni europee hanno sempre registrato una minore affluenza rispetto alle elezioni politiche, probabilmente a causa di una scarsa consapevolezza del peso del parlamento europeo e di una generica percezione di distanza tra la vita di tutti i giorni e le istituzioni europee. L’Eurobarometro rileva che solo il 48 per cento dei cittadini europei crede che la propria voce conti nell’Ue (ma esistono enormi differenze tra un paese e l’altro, per esempio in Svezia il 90 per cento dei cittadini crede che la propria voce conti, a fronte del 24 per cento degli italiani e del 16 per cento dei greci).



Eppure qui non si tratta tanto di un problema di sfiducia. L’Eurobarometro rileva infatti che i cittadini europei tendono a fidarsi di più dell’Unione europea che del proprio parlamento o governo nazionali. Allora perché è una minoranza quella che vota alle elezioni europee? “Questo paradosso è riconducibile a due fattori”, spiega Alberto Alemanno, tra i principali analisti della politica europea e fondatore del movimento The good lobby. “In primo luogo, le elezioni europee sono ancora la somma di elezioni nazionali, e non un evento politico transnazionale animato da veri e propri partiti europei. In secondo luogo, manca una sfera pubblica comune in grado di raccontare il sistema politico europeo”.

Per denunciare la presunta sfiducia delle persone nei confronti dell’Unione europea, i movimenti euroscettici spesso mettono in risalto il progressivo calo dell’affluenza alle elezioni europee. È un fenomeno reale, ma è parte di un processo più ampio che sta investendo la democrazia rappresentativa in Europa nel suo complesso. Inoltre, come nota Jules Beley dell’università SciencesPo di Parigi, è complicato confrontare l’affluenza alle elezioni europee nel tempo. “Come si può confrontare l’affluenza nel 1979, quando la Comunità europea era composta da nove paesi dell’Europa occidentale, con l’affluenza nel 2014, quando l’Unione contava 28 paesi con culture politiche e tradizioni democratiche diverse?”, si chiede Beley.

L'affluenza alle elezioni europee e politiche nei paesi europei


Le ricerche mostrano che c’è chi non vota per apatia e chi non vota per protesta. Ma se osserviamo l’affluenza alle elezioni europee dobbiamo anche tenere presente che sempre più cittadini europei hanno difficoltà a votare perché si sono trasferiti in un altro paese. Per esempio, più del 10 per cento dei cittadini romeni, bulgari, croati, lettoni, lituani e portoghesi vive in uno stato membro diverso dal proprio. Avrebbero il diritto di votare alle europee nelle città in cui vivono, ma nel 2014 il 95 per cento circa non è andato ai seggi a causa di una serie di ostacoli linguistici, burocratici e politici: difficile identificarsi in partiti e politici che si rivolgono solo agli elettori della propria nazionalità.

Quali rimedi all’astensionismo?
Per risollevare l’affluenza elettorale, una misura apparentemente semplice sarebbe rendere obbligatorio votare. Questo obbligo esiste in paesi come il Lussemburgo e il Belgio, dove in effetti i livelli di astensionismo sono bassi. Anche in Italia il voto era considerato obbligatorio fino al 1993 e rimane un dovere civico secondo la costituzione. Il problema è che l’obbligo di voto è difficile da far rispettare in maniera stringente, a meno di non introdurre sanzioni pesanti.

Se gli elettori non hanno più fiducia nella differenza che può fare il loro voto, secondo alcuni conviene offrire loro la possibilità di effettuare direttamente delle scelte su questioni in campo, invece di limitarsi a delegare dei rappresentanti. È per questo che negli ultimi anni in molti paesi è aumentato l’interesse nei confronti degli strumenti della democrazia diretta, come per esempio i referendum. Casi come quello della Brexit hanno però fatto apparire con chiarezza i limiti di questi strumenti, che raramente aiutano a legiferare su questioni complesse.

Per tutelare la legittimazione delle istituzioni europee e risollevare l’affluenza al voto, negli scorsi mesi il parlamento europeo ha compiuto uno sforzo di comunicazione inedito. La campagna Stavolta voto, realizzata in tutti e 28 gli stati membri dell’Unione europea, ha cercato di spiegare l’importanza della partecipazione elettorale ricorrendo a una molteplicità di strumenti. Trecentomila persone si sono registrate sul sito della campagna, mentre il video promozionale Choose your future ha ottenuto 120 milioni di visualizzazioni sulle diverse piattaforme. I sondaggi suggeriscono che il progressivo aumento dell’astensionismo alle elezioni europee stavolta potrebbe arrestarsi, e in paesi come l’Italia potrebbe verificarsi un’inversione di tendenza.

I paesi dell’Europa centrale e orientale hanno tassi di astensionismo più alti della media dell’Unione europea. Per questo la campagna istituzionale è stata particolarmente intensa in paesi come la Slovacchia, dove nel 2014 solo il 13 per cento degli elettori era andato a votare alle europee. “Abbiamo lavorato su tanti fronti diversi”, racconta Soňa Mellak, addetta stampa dell’ufficio del parlamento europeo in Slovacchia. “Abbiamo collaborato con una serie di personaggi famosi, e in particolare con youtuber e influencer per riuscire a spiegare ai giovani perché le elezioni europee sono importanti. Abbiamo organizzato un tour in 17 città del paese, realizzando eventi e dibattiti, e in 200 scuole superiori si è tenuta una simulazione delle elezioni europee. Le televisioni si sono dimostrate attente, molti presentatori hanno spiegato che sarebbero andati a votare”.

Per far aumentare davvero l’affluenza alle elezioni europee servirebbero però delle modifiche legislative. Per esempio, si potrebbe rendere più semplice il voto ai cittadini che risiedono all’estero. Alcuni politici e osservatori pensano che bisognerebbe far eleggere direttamente ai cittadini un presidente dell’Unione europea, che sia a capo al contempo della Commissione europea e del Consiglio europeo. Altri – come i militanti del partito europeo Volt – puntano innanzitutto su una mobilitazione transnazionale dal basso, che sposti la campagna elettorale su temi europei.

Anche secondo Alberto Alemanno è questa la strada da seguire: “Bisognerebbe creare un collegio elettorale unico europeo, che permetta di presentare liste e partiti transnazionali. In questo modo il dibattito politico trascenderebbe immediatamente gli stati nazionali e permetterebbe a qualsiasi cittadino di comprendere la dimensione europea dello scrutinio”. In uno scenario del genere, “i partiti sarebbero indotti a formulare e difendere visioni di società europea e temi di interesse paneuropeo, invece di concentrarsi come ora su questioni nazionali”, e a quel punto il dibattito riuscirebbe finalmente a coinvolgere più profondamente gli elettori.

[Questo articolo è pubblicato in collaborazione con l’Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa e con lo European Data Journalism Network.]

16.5.19

ELSA MORANTE SU MUSSOLINI

cultura Il secolo XIX 17 marzo 2010

Roma 1° maggio 1945
Mussolini e la sua amante Clara Petacci sono stati fucilati insieme, dai partigiani del Nord Italia. Non si hanno sulla loro morte e sulle circostanze antecedenti dei particolari di cui si possa essere sicuri. Così pure non si conoscono con precisione le colpe, violenze e delitti di cui Mussolini può essere ritenuto responsabile diretto o indiretto nell’alta Italia come capo della sua Repubblica Sociale.
Per queste ragioni è difficile dare un giudizio imparziale su quest’ultimo evento con cui la vita del Duce ha fine.
Alcuni punti però sono sicuri e cioè: durante la sua carriera, Mussolini si macchiò più volte di delitti che, al cospetto di un popolo onesto e libero, gli avrebbe meritato, se non la morte, la vergogna, la condanna e la privazione di ogni autorità di governo (ma un popolo onesto e libero non avrebbe mai posto al governo un Mussolini). Fra tali delitti ricordiamo, per esempio: la soppressione della libertà, della giustizia e dei diritti costituzionali del popolo (1925), la uccisione di Matteotti (1924), l’aggressione all’Abissinia, riconosciuta dallo stesso Mussolini come consocia alla Società delle Nazioni, società cui l’Italia era legata da patti (1935),la privazione dei diritti civili degli Ebrei, cittadini italiani assolutamente pari a tutti gli altri fino a quel giorno (1938).
Tutti questi delitti di Mussolini furono o tollerati, o addirittura favoriti e applauditi. Ora, un popolo che tollera i delitti del suo capo, si fa complice di questi delitti. Se poi li favorisce e applaude, peggio che complice, si fa mandante di questi delitti.
Perché il popolo tollerò favorì e applaudì questi delitti? Una parte per viltà, una parte per insensibilità morale, una parte per astuzia, una parte per interesse o per machiavellismo. Vi fu pure una minoranza che si oppose; ma fu così esigua che non mette conto di parlarne. Finché Mussolini era vittorioso in pieno, il popolo guardava i componenti questa minoranza come nemici del popolo e della nazione, o nel miglior dei casi come dei fessi (parola nazionale assai pregiata dagli italiani).
Si rendeva conto la maggioranza del popolo italiano che questi atti erano delitti? Quasi sempre, se ne rese conto, ma il popolo italiano è cosìffatto da dare i suoi voti piuttosto al forte che al giusto; e se lo si fa scegliere fra il tornaconto e il dovere, anche conoscendo quale sarebbe il suo dovere, esso sceglie il suo tornaconto. Mussolini, uomo mediocre, grossolano, fuori dalla cultura, di eloquenza alquanto volgare, ma di facile effetto, era ed è un perfetto esemplare e specchio del popolo italiano contemporaneo. Presso un popolo onesto e libero, Mussolini sarebbe stato tutto al più il leader di un partito con un modesto seguito e l’autore non troppo brillante di articoli verbosi sul giornale del suo partito. Sarebbe rimasto un personaggio provinciale, un po’ ridicolo a causa delle sue maniere e atteggiamenti, e offensivo per il buon gusto della gente educata a causa del suo stile enfatico, impudico e goffo. Ma forse, non essendo stupido, in un paese libero e onesto, si sarebbe meglio educato e istruito e moderato e avrebbe fatto migliore figura, alla fine.
In Italia, fu il Duce. Perché è difficile trovare un migliore e più completo esempio di Italiano.
Debole in fondo, ma ammiratore della forza, e deciso ad apparire forte contro la sua natura. Venale, corruttibile. Adulatore. Cattolico senza credere in Dio. Corruttore. Presuntuoso: Vanitoso. Bonario. Sensualità facile, e regolare. Buon padre di famiglia, ma con amanti. Scettico e sentimentale. Violento a parole, rifugge dalla ferocia e dalla violenza, alla quale preferisce il compromesso, la corruzione e il ricatto. Facile a commuoversi in superficie, ma non in profondità, se fa della beneficenza è per questo motivo, oltre che per vanità e per misurare il proprio potere. Si proclama popolano, per adulare la maggioranza, ma è snob e rispetta il denaro. Disprezza sufficientemente gli uomini, ma la loro ammirazione lo sollecita. Come la cocotte che si vende al vecchio e ne parla male con l’amante più valido, così Mussolini predica contro i borghesi; accarezzando impudicamente le masse. Come la cocotte crede di essere amata dal bel giovane, ma è soltanto sfruttata da lui che la abbandonerà quando non potrà più servirsene, così Mussolini con le masse. Lo abbaglia il prestigio di certe parole: Storia, Chiesa, Famiglia, Popolo, Patria, ecc., ma ignora la sostanza delle cose; pur ignorandole le disprezza o non cura, in fondo, per egoismo e grossolanità. Superficiale. Dà più valore alla mimica dei sentimenti , anche se falsa, che ai sentimenti stessi. Mimo abile, e tale da far effetto su un pubblico volgare. Gli si confà la letteratura amena (tipo ungherese), e la musica patetica (tipo Puccini). Della poesia non gli importa nulla, ma si commuove a quella mediocre (Ada Negri) e bramerebbe forte che un poeta lo adulasse. Al tempo delle aristocrazie sarebbe stato forse un Mecenate, per vanità; ma in tempi di masse, preferisce essere un demagogo.
Non capisce nulla di arte, ma, alla guisa di certa gente del popolo, e incolta, ne subisce un poco il mito, e cerca di corrompere gli artisti. Si serve anche di coloro che disprezza. Disprezzando (e talvolta temendo) gli onesti , i sinceri, gli intelligenti poiché costoro non gli servono a nulla, li deride, li mette al bando. Si circonda di disonesti, di bugiardi, di inetti, e quando essi lo portano alla rovina o lo tradiscono (com’è nella loro natura), si proclama tradito, e innocente, e nel dir ciò è in buona fede, almeno in parte; giacché, come ogni abile mimo, non ha un carattere ben definito, e s’immagina di essere il personaggio che vuole rappresentare.

Pagina di diario, pubblicata su Paragone Letteratura, n. 456, n.s., n.7, febbraio 1988, poi in Opere (Meridiani), Milano 1988, vol. I, pp. L-LI.

9.5.19

I Paesi sovranisti prendono i soldi dall’Unione europea violandone i principi

Dataroom

di Milena Gabanelli e Maria Serena Natale (Corriere)


I trattati parlano chiaro: chi fa parte dell’Unione europea si identifica con i suoi imprescindibili valori democratici. Eppure all’interno dell’Ue ci sono Paesi che hanno agganciato la locomotiva europea recuperando i ritardi economici, ma violano sistematicamente lo Stato di diritto e le libertà fondamentali. È tollerabile?
I numeri
La quota di bilancio Ue più pesante del quadro finanziario 2014-2020 è destinata, attraverso i Fondi strutturali, a crescita, occupazione, riduzione delle disparità economiche tra le regioni. Con l’allargamento dell’Unione, questo circuito virtuoso ha sorretto le economie disastrate dei Paesi del Centro-Est. La Polonia è nella Ue dal 2004. Nel 2017 il suo contributo complessivo al bilancio comunitario è stato di 3,048 miliardi di euro, mentre la spesa totale della Ue in Polonia è stata di 11,9 miliardi. L’anno scorso il Pil polacco è cresciuto del 5,1%, il più veloce dei Paesi Ue dopo Malta e Irlanda. Anche l’Ungheria entra nel 2004. Nel 2017 ha contribuito al bilancio Ue con 821 milioni di euro e ha incassato fondi per 4,049 miliardi di euro. La Romania è nella Ue dal 2007. Nel 2017 ha versato al bilancio Ue 1,229 miliardi di euro e ne ha incassati 4,742. Fondi che hanno contribuito nel 2018 alla crescita del suo Pil del 4,1%.
Stato di diritto. Qui Varsavia
In Polonia, con il ritorno al potere dei nazional-conservatori di Jaroslaw Kaczynski nel 2015, il governo rafforza il controllo su compagnie pubbliche, informazione, esercito, sistema giudiziario. Una legge in vigore dall’aprile 2018 abbassa da 70 a 65 anni l’età pensionabile dei giudici della Corte suprema, e ne manda a casa 27 su 72. La misura viene congelata quando la Commissione Ue deferisce la Polonia alla Corte di giustizia europea. Per Bruxelles la norma non rispetta il principio dell’indipendenza e inamovibilità dei giudici, in violazione dell’articolo 19 del Trattato sull’Unione europea e dell’articolo 47 della Carta Ue dei diritti fondamentali. Nuove regole anche per la nomina del Consiglio superiore della magistratura, dove 15 giudici su 25 potranno essere scelti dal Parlamento. Contro la Polonia nel dicembre 2017 la Commissione attiva, per la prima volta, l’articolo 7 del Trattato Ue per violazione dello Stato di diritto.
Ungheria. Qui Budapest
Dal 2010 è premier Viktor Orbán, rieletto nel 2018 per il terzo mandato consecutivo. In otto anni sono stati mandati in pensione 400 giudici. Una riforma del 2011 riduce le funzioni della Corte Costituzionale e la nuova procedura per la nomina dei suoi componenti rafforza l’influenza dell’esecutivo. Il controllo sull’informazione è pressoché totale. Nel 2017, 18 testate regionali sono rilevate da figure legate a Orbán. Nel 2018 quasi tutti i media privati filogovernativi confluiscono nella Fondazione Stampa e Media dell’Europa centrale. A dicembre sfilano in migliaia nelle strade di Budapest contro la tv pubblica utilizzata per propaganda politica, dove non si tengono dibattiti elettorali.
I tribunali paralleli
L’Ungheria è seconda per indagini aperte dall’autorità Ue di lotta antifrode. Opacità sui fondi europei, destinati a progetti nei quali sono spesso coinvolti oligarchi vicini al premier. Revocata la licenza agli istituti universitari stranieri che non prevedano corsi nei Paesi dove sono registrati: colpo alla Ceu, l’Università dell’Europa centrale di George Soros. Vietata la libertà di ricerca all’Accademia delle Scienze. Introdotto il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina per gli avvocati che assistono i richiedenti asilo. Mentre la riforma del codice del lavoro aumenta le ore di straordinario da 250 a 400 l’anno con pagamento anche dopo 3 anni. È stato istituito un sistema parallelo di tribunali amministrativi alle dirette dipendenze del ministro della Giustizia. Nel settembre 2018 il Parlamento europeo avvia la procedura di infrazione sullo Stato di diritto e nel marzo 2019 il Ppe sospende il partito di Orbán, Fidesz.
Romania. Qui Bucarest
La piaga della corruzione è endemica, ma il progetto di riforma del codice penale promosso dalla coalizione a guida socialdemocratica prevede che i condannati per tangenti dal 2014 possano ricorrere contro le sentenze della Corte Suprema. A beneficiarne proprio il leader socialdemocratico Liviu Dragnea. La procuratrice 45enne Laura Codruta Kovesi, dopo aver mandato in carcere decine di politici corrotti, lo scorso anno è stata rimossa dall’incarico e incriminata per corruzione. È stata candidata dall’Europarlamento come capo della nuova Procura europea che indagherà sulle frodi ai danni del bilancio Ue ma la Romania, che dal primo gennaio 2019 ha la presidenza di turno al Consiglio europeo, si oppone. La Commissione recentemente ha ammonito Bucarest. Di fatto però questi tre Paesi incassano i vantaggi dell’appartenenza alla Ue, non rispettano i principi fondanti e votano leggi che valgono per tutti.
Chi decide le sanzioni e come
Quando un Paese viola i «pilastri» portanti, la Ue può attivare l’articolo 7 del Trattato, la cosiddetta «opzione nucleare».
La procedura prevede due fasi. La prima, che segnala la presenza di «rischio motivato», può essere attivata da un terzo degli Stati membri, dall’Europarlamento o dalla Commissione: lo Stato è invitato a presentare chiarimenti e può ottenere tempo per rimettersi in carreggiata. La seconda è quella sanzionatoria e può arrivare fino alla sospensione del diritto di voto dello Stato «imputato» in seno al Consiglio. Oggi, per la prima volta, contro Polonia e Ungheria è stata attivata la procedura d’infrazione. Ma per la sanzione estrema occorre l’unanimità dei capi di Stato e di governo. Un percorso complicato, poiché gli Stati accusati delle violazioni possono sempre trovare l’appoggio di alleati che pongono il veto. La Polonia può contare sull’Ungheria, sul governo ceco, ma anche su quello italiano. Dall’ultima fase del processo sono esclusi sia il Parlamento che il controllo giudiziario da parte della Corte di giustizia del Lussemburgo. La decisione è solo politica e quindi priva dell’indipendenza necessaria. Per superare lo stallo, lo scorso gennaio, su proposta della Commissione, il Parlamento ha approvato una norma (con il voto contrario della Lega e l’astensione del M5S) che prevede, a partire dal 2021, tagli ai fondi Ue per i Paesi che violano lo Stato di diritto. La decisione spetterà sempre a Consiglio (ovvero ai governi degli Stati membri) e Parlamento, ma basterà la maggioranza.
A rischio democrazie e identità dell’Europa
L’Europa non è solo mercato, ma una comunità di valori, libertà e diritti conquistati con il sangue e non negoziabili. Il pericolo, dopo 70 anni di pace e prosperità, è di una lenta deriva. Se una parte della Ue controlla giudici e media, violando impunemente e in maniera sistematica le libertà fondamentali e la separazione dei poteri, si creano precedenti che prima o poi legittimeranno anche altrove abusi sempre più evidenti. E infatti già vediamo il governo italiano rincorrere alleanze con forze politiche che non si riconoscono nel modello della democrazia liberale. Vogliamo diventare come loro? Indebolendo l’inderogabilità delle norme condivise, si creano i presupposti che avvelenano la vita sociale. A rischio non è solo la democrazia nei singoli Stati ma la stessa identità dell’Europa unita. Anche perché l’Unione si allarga. Ad Est.
I Paesi candidati all’ingresso nella Ue
Candidata la Serbia, che da mesi vede manifestazioni contro il presidente Aleksandar Vucic accusato di esercitare metodi autoritari e imbavagliare l’informazione. Candidata la Turchia del presidente Recep Tayyp Erdogan, dove in carcere con accuse sommarie ci sono politici, insegnanti, magistrati, impiegati pubblici, poliziotti, militari e il più alto numero di giornalisti al mondo. Effetto dello stato d’emergenza imposto dopo il tentato golpe militare del luglio 2016, 250 morti. Secondo i dati del Ministero della Giustizia, nel giugno 2018 quasi un quinto sul totale della popolazione carceraria (48.924 persone su 246.426) è stato accusato o condannato per reati connessi al terrorismo: presunti legami con ambienti gülenisti (34.241), con il Pkk (10.286), con l’Isis (1.270). Per l’Annual Prison Census del 2018, in tutto il mondo su 251 giornalisti in carcere con accuse legate al loro lavoro, 68 sono in Turchia, seguita da Cina (47) ed Egitto (25).
Azerbaigian: gli affari non hanno prezzo
Dalla Turchia passa il gas del Caspio che ci avvicina a un altro osservato speciale, l’Azerbaigian. Baku ha in corso negoziati per un nuovo accordo bilaterale con la Ue nell’ambito del Partenariato orientale e della Politica europea di vicinato. Il presidente Ilham Aliyev guida il Paese dal 2003. Human Rights Watch denuncia torture sistematiche, interferenze nel lavoro degli avvocati, controllo governativo sull’informazione. Secondo le associazioni, false accuse sono regolarmente fabbricate per tenere in carcere attivisti, dissidenti e giornalisti. A Milano è in corso un processo per corruzione: per evitare il richiamo del Consiglio d’Europa, esponenti del governo azero avrebbero pagato l’allora presidente del gruppo Ppe al Consiglio, Luca Volontè. Per l’Azerbaigian l’Unione europea è il maggior mercato di export e import, e primo cliente nel settore petrolifero. Baku oggi copre il 5% della richiesta Ue di gas, che arriva attraverso il Corridoio meridionale, una rotta di approvvigionamento alternativa a quella russa. Di questo corridoio farà parte anche il contestato Tap (Trans Adriatic Pipeline): 878 chilometri, con approdo in Puglia, sulla spiaggia di San Foca, a Melendugno.
Nel marzo 2018 la Banca europea degli investimenti (Bei) ha approvato un prestito da 932 milioni di euro per la costruzione del Tap. La compagnia di Stato azera Socar è partner del gasdotto per il 58%. La Bei non ha condizionato il prestito a progressi sui diritti umani.