22.4.16

Odio online. La nuova barbarie sulla Rete

 Antonio Armano (Treccani)

Buio in sala. Cinema Arlecchino. Profonda provincia italiana. Tra il pubblico c'è il signor Bonza. Il titolare di una ditta di spurghi. In un momento di silenzio una voce: “Bonza. Hai fatto i soldi con la merda”. Silenzio, risate. Risposta in dialetto: “E ti caga no”.
Scena numero due. Un film del 1980. The Blues Brothers. John Belushi e Dan Aycroyd stanno guidando. Vestito nero, Ray-Ban da sole. Si trovano nel sobborgo di una grande città. Strada quasi di campagna, prima di un ponte. Inspiegabilmente c'è coda. Una manifestazione. Chiedono alla polizia che cosa sta succedendo. Il poliziotto risponde: sono i nazisti dell'Illinois. Dopo la mitica frase “Io odio i nazisti dell'Illinois” la macchina dei Blues Brothers riparte fregandosene della folla. Per evitare di essere travolti, gli americani in camicia bruna si buttano in massa dal ponte in un fiume giallastro.
Le scene si svolgono una sullo schermo e l'altra davanti allo schermo. La prima, quella degli spurghi, a Voghera. Vicino a Chicago l'altra. Situazioni e contesti molto diversi. In comune hanno una cosa. Ci raccontano aspetti dell'odio che sono oggi cruciali. Ai tempi di Internet e del “mercato dell'odio”. Per usare le parole di Giovanni Ziccardi, autore di un interessantissimo saggio, L'odio online, edito da Raffaello Cortina.
Quali sono questi aspetti? Alla domanda se le nuove tecnologie abbiano aumentato la diffusione dell'odio, Ziccardi, attivissimo docente di informatica giuridica alla Statale di Milano, risponde sì. Questo sì viene da uno studioso che ha una grandissima passione per la materia che studia e per le nuove tecnologie in genere, che si esalta a varcare e farci varcare le nuove frontiere. Uno dei motivi della sua risposta affermativa ha a che fare con la sala del cinema Arlecchino di Voghera: il buio, l'anonimato. Il filtro virtuale deresponsabilizza, tira fuori istinti tremendi. Trasforma i dottor Jeckyll offiline in Mr Hyde online.
Per quanto riguarda l'altro aspetto, il film si riferisce alla realtà, anche se sembra appartenere alla sfera del comico. I nazisti dell'Illinois non sono un'invenzione di John Landis e hanno davvero ottenuto il permesso di manifestare ricorrendo alla Corte Suprema di quello Stato. La quale ha stabilito che non si può negare la libertà di espressione. Anche quando riguarda l'espressione di idee aberranti. Di più: la manifestazione si svolgeva a Skokie, un sobborgo di Chicago, dove vivevano diversi ebrei scampati allo sterminio o discendenti di superstiti dai lager. Un avvocato ebreo aveva difeso i nazisti, sostenendo che la Shoah era frutto di una situazione di mancanza di libertà e non era certo con i divieti che si immunizzava una società dal ripetersi di un tale evento.
Ziccardi nota un altro fattore importante. La maggior parte dei server, delle architetture tecnologiche dove avviene fisicamente la navigazione, si trova negli Stati Uniti o comunque nell'America del Nord. Dunque dobbiamo tenere conto del contesto culturale dove ci muoviamo per capire come comportarci nella prevenzione e repressione dell'odio online. Un contesto la cui localizzazione territoriale non è così scontata e immediata. Vale per Facebook, Twitter e altri mezzi di comunicazione, ormai diffusissimi.
Nello specifico Ziccardi non si occupa di banale odio interpersonale e privato, ma di quello che si definisce “hate speech” in senso tecnico, anche se i due sistemi sono connessi. Hate speech cioè la manifestazione verbale aggressiva che usa la religione, la razza, la politica per colpire il bersaglio... Omofobia, antisemitismo, razzismo, sessismo... Di fronte all'intensificarsi del fenomeno, all'accrescersi dell'odio tra una maglia e l'altra della Rete, quali atteggiamenti si possono adottare? Ziccardi distingue due approcci, anche legislativi, opposti. Negli Stati Uniti ci si continua a comportare come con i nazisti dell'Illinois. A non intervenire se non c'è un “clear and present danger”, una minaccia immediata e concreta (l'incitamento all'odio di stampo islamista sicuramente rientra nella fattispecie). In Europa si cerca di correre ai ripari normando. Del resto il danno può essere solo morale ma non per questo meno pericoloso. Ammesso che da un livello non si passi all'altro.
Il dibattito - questo è un punto importante e spiazzante del libro - risale agli anni successivi alla seconda guerra mondiale. Dopo la distruzione, si raccolgono i cocci, anche dei sistemi giuridici. La propaganda hitleriana è la madre di tutti gli hate speech. E Goebbels il padre. A prevalere, anche a livello di organismi sovranazionali, è stato l'approccio europeo, non quello americano. La libertà di espressione è importante ma bisogna pensare alle vittime, alla sofferenza dei soggetti dell'odio. Gli stati membri dell'Onu possono adottare norme che puniscono e limitano.
Questo approccio storicamente prevale, come rivela Ziccardi, grazie alla pressione dei paesi totalitari, del blocco comunista dell'Est. I paesi dell'Est, sovietici e non sovietici, sono quelli che hanno più sofferto le persecuzioni contro gli ebrei. Auschwitz era in Polonia, e in Ucraina, anche con metodi meno sofisticati, si sono sterminati oltre un milione di ebrei. Naturale che dai quei paesi vengano istanze di controllo e autocontrollo. Fa parte della storia oltre che dell'ideologia giuridica totalitaria, interventista per definizione. Non dimentichiamo che la parola “pogrom” viene dalla Russia. Bisognerebbe poi notare che l'antisemitismo ha continuato a proliferare oltre Cortina, nonostante, anzi durante questa fase legislativa. Una contraddizione forse solo apparente. Subito dopo i vari colpi di stato comunisti, i dirigenti ebrei dei partiti comunisti sono stati epurati. Processati e spesso uccisi. Si pensi al caso Rudolf Slanský in Cecoslovacchia. E al periodo finale della vita di Stalin. Il dittatore georgiano, appena prima di morire nel 1953, pensa bene di denunciare l'ennesimo complotto. La congiura dei medici ebrei. Inoltre solo la fine fisica ha impedito che realizzasse il progetto di trasferire gli ebrei dell'Unione sovietica in una repubblica creata ad hoc in Siberia, il Birobidž, nell'estremo oriente dell'Imperium.
Se Internet - come apprendiamo da fonte non certo tacciabile di neofobia -, pur essendo teoricamente uno strumento neutro, può diventare un brodo di coltura dell'odio, come comportarci? Ziccardi non ha soluzioni, ma per non intristirci con derive neoluddiste, propone un cocktkail di tre ingredienti. Legge, tecnologia e formazione. Non è per un approccio legislativo troppo libertario, all'americana. E neanche invasivo, vista anche la matrice totalitaria individuata dietro una certa scuola di pensiero giuridica. Come lamentava Eleanore Roosevelt, la moglie del presidente, al tempo della Ricostruzione posbellica, legislazioni repressive della libertà di espressione possono essere usate, a discrezione del potere, per perseguitare dissidenti, incarcerare, zittire. Si veda la Turchia. Ziccardi è comunque per intervenire, normare. Sia pure in modo leggero.
Secondo ingrediente del cocktail: la tecnologia... La tecnologia, oltre a creare problemi, può offrire soluzioni. Così come per la pornografia, si mettono a punto software che individuano contenuti da filtrare in Rete. Non osceni ma “hateful”. Per ora funzionano fino a un certo punto questi programmi. Diciamo al 70 per cento. Il loro grado di fallibilità non concerne solo la mancata individuazione di contenuti aggressivi. Ma anche la censura di contenuti che non lo sono. Un bel rischio, ma gli spazi di miglioramento sono pressoché infiniti. Nel caso della pornografia è tutto più semplice perché in generale i contenuti veicolati sono video e provengono da siti che dichiarano di essere riservati a un pubblico adulto. Qui Ziccardi cita Sweetie, un bambina virtuale con lineamenti orientali che adesca pedofili in rete e li porta nella bocca della polizia postale. Potrà nascer qualcosa del genere anche per l'odio?
C'è poi la questione formativa, il terzo ingrediente del cocktail Ziccardi. La soglia d'età per il possesso di uno smartphone è sempre più bassa. In Italia ormai i bambini di sette anni e mezzo hanno uno smartphone. Bisogna educare, essere vigili e non troppo tolleranti. Bambini e ancora di più adolescenti non si rendono conto di essere crudeli, di fare del male. Persino il bullismo femminile, dice Ziccardi, in passato praticamente inesistente, è fiorito grazie alla Rete. Per non parlare di territori nuovi come il revenge porn, la pubblicazione di video spinti fatti con la ex fidanzatina se lei ti lascia, o la partner occasionale, sempre per metterla in difficoltà, vendicandosi di qualcosa.
Va tenuto presente un altro aspetto. Quello che nel libro viene indicato come “mercato dell'odio”. L'odio, l'insulto, la rissa in Rete, attira click e quindi soldi. I politici sanzionati dalla legge per espressioni d'odio online poi vengono premiati nelle urne. Dalla Francia alla Germania all'Olanda. Anche i comuni cittadini non scherzano. Basta vedere come alcuni utenti si sono scatenati sul mancato raggiungimento del quorum al referendum sulle piattaforme. Con espressioni anche violente, non solo piene dei consueti insulti. Tale Marie_Bloo su Twitter scrive: “Io trivellerei la testa a tutti quelli che oggi non sono andati a votare”. Le nuove tecnologie aprono continuamente nuove frontiere, che la legge non sempre può o deve inseguire. Si parla della necessità, molto onerosa, non di prevedere il futuro, ma di “prevedere il presente”. Di capire e valutare quello che sta già accadendo, e porterà a breve un cambiamento dei comportamenti.
Il dilemma tra censura e tolleranza non è di facile scelta. Dosare il cocktail facendolo virare verso un retrogusto repressivo o anarchico è un rischio onnipresente. Ziccardi, durante la presentazione del libro al festival del giornalismo di Perugia, ha raccontato un episodio esilarante ma significativo e inquietante. Da persone mite qual è, sebbene vulcanica e desiderosa del confronto, ha tentennato un po' quando gli hanno proposto di aprire un blog sul sito del Fatto Quotidiano. Il sito è lettissimo, una delle testate online più lette in Italia, e ha commentatori molto vivaci e polemici. La forza del giornale è la mancanza di padroni e censure. Al suo primo post, Ziccardi ha scelto di fare un esperimento. Ha pubblicato la recensione di romanzo storico, Nel ventre, di Sergio Claudio Perroni. L'obiettivo era raggiungere zero commenti. Il romanzo gli era piaciuto moltissimo, ne parlava bene ma in modo neutro ed era sicuro che nessun lettore del Fatto avrebbe polemizzato su un'opera di ambientazione tanto lontana. Pirro Neottolemo e dintorni... La notte prima di entrare a Troia i soldati achei nascosti nel ventre del cavallo parlano, hanno bisogni fisiologici (uscire a fare la pipì?), paure. Possono essere scoperti. Morale: primo giorno zero commenti. Secondo, terzo ecc. niente. Dopo una settimana una lettrice (l'utente luisaloffredo) fa un commento di questo tenore: “E forse è proprio da lì che son cominciati i nostri guai: l'inganno osannato perché indice di ingegno! Se ci scrollassimo di dosso quest'idea ci sarebbero forse meno 'furbi' e più onesti! In un paese come l'Italia di certo non abbiamo bisogno di un'altra legittimazione dell'inganno! Se per una volta qualcuno avesse detto: che schifo battere il nemico con l'inganno, allora si che sarebbe stato un'altro punto di vista! Ma si sa, qui si preferisce: il fine giustifica i mezzi!”. Amen.

16.4.16

Stop a trivelle e idee fossili ma non basta proteggere le coste

 Marco Morosini (Avvenire)

Sul petrolio italiano c’è una buona e una cattiva notizia. La buona è che questo sta diventando un Paese normale. Appena sospettata (neanche accusata) di aver usato male del suo ruolo, una signora ministro si è dimessa. La cattiva notizia è che la volontà di incrementare in Italia il business dei combustibili fossili, è il frutto non di un peccato, ma di un tenace errore. In duecento anni i combustibili fossili hanno messo il turbo al pellegrinaggio dell’umanità verso la prosperità e, per alcuni, la felicità. I pellegrini si sono messi a correre. In un solo secolo la durata media della vita è raddoppiata, il numero degli umani è raddoppiato due volte. L’uso di energia si è moltiplicato per tredici. E per questo l’emissione di CO2, il gas che maggiormente altera il clima, si è moltiplicata per diciassette.

Questo cambia tutto. I pellegrini vedono ora che non possono più correre alla velocità del centometrista una maratona dal traguardo ignoto. La fede nelle energie fossili è diventata insostenibile sul piano (in ordine alfabetico) diplomatico, ecologico, economico, etico, finanziario, geopolitico e tecnologico. Scegliete l’ordine di importanza dei fattori, il prodotto non cambia. «Sappiamo che la tecnologia basata sui combustibili fossili, molto inquinanti – specie il carbone, ma anche il petrolio e, in misura minore, il gas – deve essere sostituita progressivamente e senza indugio». «Abbiamo deciso di disinvestire al più presto il nostro capitale dal carbone, e gradualmente anche dagli altri combustibili fossili». La prima frase è di papa Francesco ( Laudato si’, 165), la seconda è della Fondazione Rockefeller, gli ex-baroni del petrolio. Se completassimo questo collage con le frasi di altri specialisti di clima, ecologia, economia e giustizia sociale, otterremmo un testo come scritto dalla stessa mano.

In dicembre i grandi e i piccoli della Terra hanno deciso a Parigi (Cop21) di impegnarsi per ridurre drasticamente l’uso dei combustibili fossili. Per pungolare i governi, migliaia di scarpe depositate sul selciato di Place de la Repubblique hanno sostituito la 'marcia dei popoli per il clima', organizzata da mesi, ma poi vietata a causa degli attentati. C’erano anche le scarpe di due pellegrini venuti da lontano: le scarpe di papa Francesco e del cardinale Paul Turkson, presidente di Giustizia e Pace. Secondo le grandi organizzazioni mondiali per il clima e per l’energia, per cercare di evitare un riscaldamento globale di più di 2 gradi centigradi, l’80% dei combustibili fossili va lasciato sottoterra. Questi due gradi sono un compromesso politico tra i pochi vincenti e i tanti perdenti dei cambiamenti climatici. Non sono una 'soglia di sicurezza'. Già l’aumento di 0,8° dell’ultimo secolo ha fatto gravi danni.

Eppure le grandi compagnie continuano a sviluppare l’estrazione degli idrocarburi, con investimenti di centinaia di miliardi, che l’Economist definisce «un non-senso». Il maggior danno di trivelle e infrastrutture petrolifere non è locale, ma planetario: l’accelerazione del riscaldamento globale, con drammatiche conseguenze per miliardi di persone. Ben prima però può accadere altro. Sempre secondo l’Economist «O i governi non sono credibili nell’impegno contro i cambiamenti climatici, oppure le compagnie dei combustibili fossili sono sopravvalutate». Per gli analisti di Carbon Tracker( un centro di studi finanziari londinese), una 'bolla del carbonio' minaccia la finanza mondiale. Se bruciassimo tutti i combustibili fossili delle compagnie minerarie, emetteremmo circa 2.800 Gt (gigatonnellate, o miliardi di tonnellate) di CO2, e il pianeta si riscalderebbe molto probabilmente tra i quattro e i sei gradi. Per restare sotto i due gradi, il massimo carbon budget che potremmo 'spendere' sarebbe di circa 600 Gt di CO2 , quindi – riecco la percentualeobiettivo – l’80% dei combustibili fossili rimarrà nel sottosuolo. Buona parte della ricchezza delle grandi compagnie sarebbe, insomma, un patrimonio incagliato ( stranded asset), con conseguenze drammatiche su finanza ed economia mondiali.

Chi voglia abbreviare la vita delle trivelle costiere italiane farà perciò bene a votare sì al referendum del 17 aprile. Ma si deve anche essere consapevoli che rinunciare al nostro poco 'petrolio (o gas) a chilometro zero' vuol dire bruciare più petrolio nei motori e nelle petroliere che vengono da altri continenti. E spesso è petrolio doppiamente sporco. È quello che scatena guerre e colpi di Stato (come in Medio-Oriente e altrove) e che causa ecocidi e devastazioni umane (come in Nigeria, Ecuador e altrove). L’unico modo per prevenire i disastri del clima e dei popoli è ridurre drasticamente e 'senza indugio' il nostro consumo di combustibili fossili e accelerare il passo verso le energie rinnovabili. Come? Sia aumentando fortemente l’efficienza energetica, sia riducendo (chi può e chi deve) il livello materiale dei nostri stili di vita. Il 90% dell’energia commerciale usata nel mondo viene dai combustibili fossili. Ogni prodotto e servizio dipende – anche indirettamente – da essi. Difendere le nostre coste dalle trivelle è utile localmente. Ma sicuramente non basta.

14.4.16

Lercio, il sito che inventa le notizie

di Antonio Armano

 
“Umberto Eco scopre il sinonimo di sinonimo e precipita in un universo parallelo”.
Chi non hai mai letto sui social-network una delle geniali notizie inventate da Lercio?
Ormai il sito di mocking journalism - tiriamocela un po' con l'inglese - ha superato i 600mila seguaci ed è la star del momento sul web italiano. Di fronte a una realtà che supera la fantasia più perversa, alla bufale spacciate per vere, ai commenti idioti e offensivi, insomma a tutto il trash che tracima in Rete e inquina le nostre giornate, le notizie satiriche di Lercio sono una boccata di aria fresca e buon umore. Una nemesi comica impagabile. Un rimedio omeopatico indispensabile. E poi dobbiamo ammetterlo: siamo tutti orfani di Cuore e “Scatta l'ora legale, panico tra i socialisti”.
Ai tempi di Tangentopoli Internet era agli albori e il giornalismo satirico un genere di nicchia, ma alcuni semi sono germogliati dopo decenni in Rete. Potevo quindi perdermi l'incontro con Lercio al festival internazionale del giornalismo di Perugia?. Partecipava ancheVera Gheno, twitter manager dell'Accademia della Crusca, esperta di coprolalia 2.0, e Rubio, lo chef che sfotte i “sassariani”.
Ho rischiato di restare fuori. C'era la coda per entrare, poi gente in piedi o seduta per terra. Come per l'ineffabile Franca Leosini, 82enne dai modi distaccati, celebre per le interviste ai più efferati assassini. Chi non la ricorda, con la messa in piega imperturbabile e un filo di trucco, mentre porge domande al “killer delle anoressiche”? Il quale per l'occasione si era rasato solo metà faccia, a significare l'inquietante doppiezza dell'animo umano, il Mr Hyde che si nasconde in ciascuno di noi. Una combinazione tricologica terrificante.
Aldilà delle porte chiuse e dei limiti di capienza, la bellezza del festival internazionale del giornalismo, giunto alla decima edizione, sta nell'atmosfera aperta e amichevole. Tutti si mischiano con tutti, italiani e non, addetti ai lavori e curiosi, giovani volontari e anziani anchorman. Vuol dire che una manifestazione è riuscita. Soprattutto perché non si respira il clima asfittico e autoreferenziale del giornalismo italiano, ma si parla di futuro e ci sono molti giovani e molti stranieri. La Leosini si poteva abbordare tranquillamente sui divani del bar del Bruffani, l'hotel dove si tenevano molti incontri, mentre il trio di Lercio l'ho ritrovato al ristorante, la sera dopo l'evento, poco distante, con lo chef Rubio che inforchettava perplesso una matassa di “spaghetti alla sabbia”. Si è formato un gruppo e si è deciso di andare alla festa del Post, il quotidiano online diretto da Luca Sofri. Peccato che Perugia sia l'unica città del pianeta non mappata da Google e la festa si tenesse, ironia della sorte, in un posto chiamato Post. Nessuno aveva capito né poteva capire che la festa del Post si trovasse al Post, troppo assurdo e ironico per essere vero, come le notizie di Lercio.
Post sta per Perugia Officina per la Scienza e la Tecnologia (http://www.perugiapost.it/). E tra parentesi Umberto Eco se ne è andato davvero un mese dopo la scoperta del sinonimo di sinonimo. “Se non sono vere si avverano”, come dice lo slogan Lercio, per avvertire il lettore che si tratta di satira ma la realtà può essere ancora più assurda e se non lo è può diventarlo. Basta pensare agli insulti di Salvini al capo dello Stato per l'invito ad aprire le frontiere. Ritirati quando ha capito che Mattarella si riferiva alle bottiglie di vino.
Una cosa che volevo sapere da quelli di Lercio è se abbiano paura a fare satira sull'islam, se si autocensurino. Vittorio Lattanzi ha risposto che in un paese cattolico è più naturale fare satira sul Vaticano, non bisogna farsi prendere dall'ansia comparatistica. In ogni caso non si pongono problemi a fare satira sull'islam, anche perché sono sparsi per tutt'Italia – lui vive nella Marche, Alfonso Biondi a Roma ecc. -, e non hanno una redazione da bruciare come Charlie Hebdo. La satira di Lercio sull'islam è sporadica e non troppo virulenta. Per esempio un mussulmano si fa il classico selfie a tavola. Durante il Ramadan: il piatto è vuoto.
Lattanzi, il più scatenato dei tre di Lercio presenti a Perugia, nella vita fa l'agente immobiliare. Il mocking journalism è un secondo lavoro per lui come per Biondi e Andrea Michielotto. Per Lercio scrivono trenta persone e non possono mantenersi in così tanti. La Rete è interattività e i fondatori di Lercio hanno iniziato come semplici lettori del blog di Daniele Luttazzi, che invitava a commentare con una battuta una notizia vera. Si chiamava “Palestra” e si sono messi a inviare battute facendosi le ossa. Quando Luttazzi ha chiuso la Palestra, alcuni affezionati, che ormai si conoscevano, hanno aperto il sito Acidolattico. Esiste ancora e oggi leggo questa battuta, stile Palestra: “Grillo mette dei grilli in bocca ai politici del M5S.
Sto pensando di candidarmi con Passera”. Nel 2012 è partita l'esperienza di Lercio, parodia satirica di Leggo e del nuovo giornalismo online che punta più ad attirare l'attenzione con titoli sensazionalisti e notizie demenziali che ad approfondire.
Anche Lercio ha una spazio dove chiunque può inviare una fake news. Alfonso Biondi mi racconta che arrivano centinaia di email. Vengono valutate e se c'è qualcosa di buono lo pubblicano con nome cognome: “Molti scrivono perché vogliono fare uno scherzo a qualcuno e ci chiedono di pubblicare fake news con nomi di amici o colleghi o fidanzate”.
Nel gruppo di Lercio a Perugia, dicevo, c'era spesso anche Vera Gheno, che gestisce i canali social della Crusca. Memorabile la notizia di Lercio che sfotte la sciatteria ortografica degli italiani: “L'Accademia della Crusca si arrende. Scrivete qual è con l'apostrofo e andatavene affanculo”. Nonostante la chiara natura ironica di Lercio, a partire dalla testata, molti si sono indignati per la bandiera ammainata sull'apostrofo o la volgarità dell'invito. Peraltro Vera, traduttrice di narrativa ungherese ma anche e soprattutto italianista, ha fatto uno studio sulle parolacce in Rete. Bellissimi i modi per aggirare algoritmi e sensibilità censorie anche nella bestemmia. Per esempio usando il nome di un comune friulano, anagramma blasfemo: Codroipo.
A proposito di notizie vere che sembrano false, o false che si possono avverare perché niente è più inverosimile del vero, c'è la vicenda toccata al Lercio inglese. The Onion, La Cipolla, ha pubblicato una fake news sulla Corea del Nord: il dittatore Kim Jong-Un eletto “Sexiest man alive”, uomo vivente più sexy. La notizia, benché evidentemente falsa, è stata ripresa dai media nordocoreani.
Mentre ci troviamo a Perugia è uscita una fake news di Lercio molto divertente che ben rappresenta il confine mobile tra invenzione satirica e realtà: la mafia concede uno sconto sul pizzo alle librerie che vendono i libri di Vespa. Qui si ironizza sugli avvisi di alcune librerie che, dopo l'intervista di Vespa al figlio di Totò Riina, si rifiutano di vendere il libro di quest'ultimo. La differenza tra notizie assurde vere e notizie assurde inventate è così sottile da passare per i dotti lacrimali: quelle vere fanno piangere, quelle inventate fanno ridere. Non ci resta che ridere.
Come l'ebreo della barzelletta yiddish che legge i giornali antisemiti. Gli chiedono conto del comportamento e lui risponde che prima leggeva i giornali ebraici e ci perdeva il sonno: minacce, pericoli, attacchi continui... Poi si è messo a leggere i giornali antisemiti, dove gli ebrei sono sempre i più ricchi di tutti, stanno dietro a tutto, comandano tutti. In fondo non ci crede ma è meno deprimente.

2.4.16

Come ti promuovo il libro su Facebook

Roberto Cotroneo

C’è gente che continua a pensare a Twitter come a un social efficace, perfetto per rimandare con dei link a quello che si fa altrove. Altri che invece non hanno ancora capito come funziona Pinterest o – peggio – cosa fare con Google Plus. Ma sono social più difficili da gestire. Quello che non si riesce davvero a capire è perché solo pochissimi hanno compreso come funziona davvero Facebook. Il punto è questo. È del tutto evidente che Facebook non serve più a contattare i vecchi amici del College o del liceo. Chi lo fa è un vecchio nostalgico, di quelli che rimpiangono ancora il cruscotto in radica delle vecchie automobili. Ma se Facebook non serve a rientrare in contatto con vecchi amici o compagni di scuola a cosa serve?

Escludiamo seduttori o seduttrici seriali, ovvero quelli che aggiungono amici e amiche su Facebook per motivi nobilissimi ma che hanno a che fare più con la comunicazione corporea piuttosto che con quella verbale. Un desiderio rispettabile che però sta prendendo nuove direzioni e nuovi social dove tutto è più esplicito e non si deve fingere di parlare dell’ultimo libro di Paul Beatty per poi chiedere le misure e lumi circostanziati sul colore della biancheria intima. Per cui, esclusi i seduttori e lasciata agli intenditori di nicchia la ricerca di vecchie amicizie (ci sarebbero anche i seduttori di vecchie amicizie ma entreremmo nelle vere eccentricità) resta solo una cosa: Twitter e Facebook come mostruose macchine di marketing. Ovvero: come mi promuovo.

Ma come mi promuovo? Di solito lo si fa in maniera istintiva e intima, perché il marketing, strategia fredda e impersonale atta a convincerti che ti serve proprio quello che ti stanno pubblicizzando, sui social si fa epidermico, amichevole. Si comincia dalla fotina di presentazione. A un certo punto scompare la faccia di una vecchia conoscenza e appare la copertina di un libro. Naturalmente nelle informazioni immediatamente visibili si aggiungono il numero di pagine, il prezzo, l’editore, e qualche ardito mette anche una frasetta che rende l’idea, tipo: in tutte le librerie. La foto del profilo fa il paio con una immagine di copertina che spesso è una sala, un teatro dove si presenta il libro. Così si capisce subito di cosa si parla. Quelli più sofisticati mettono loro stessi nell’atto di scrivere, nel proprio studio, davanti al computer, oppure nel gesto sempre molto apprezzato del correggere le ultime bozze. Altri, immaginando ci sia una connessione stretta tra lo scrivere e il pensare (sempre meno dimostrabile, va detto) aggiungono magari un ritratto dove il pollice e l’indice della mano vanno a sorreggere il mento con lo sguardo identico, si suppone, di Newton nell’atto del contemplare la celebre mela caduta dall’albero.

Dopo aver espletato queste formalità. Si pubblica tutto quanto riguarda il libro appena edito. Si comincia con l’aletta di copertina, per poi condividere la propria agenda personale con tutti quelli che ti sono amici o ti seguono. Genere: mercoledì alle 18.00 a Polizzi Generosa, nella sala consiliare del Comune, presentazione del libro: In cerca di te, sarà presente l’autore. Con preghiera inevitabile: venite tutti, se siete da quelle parti.

Oltre all’agenda si comincia un doppia attività per certi versi suggestiva. Postare citazioni dal libro, scelte per intervallare la spenta giornata dei frequentatori di social, ma alternandole a elogi che sono sempre commoventi, belli, intensi, inaspettati, anche se li posta tua sorella sotto falso nome.

Purtroppo non c’è niente di peggio del marketing intimistico. Finge di raccontare a un amico un libro per venderglielo. Quando, si sa, agli amici i libri si dovrebbero regalare. Ma sta diventando un’epidemia, e non solo tra gli scrittori meno noti. Anche quelli che dovrebbero cavarsela senza social e che hanno una visibilità discreta, fanno le stesse cose. In questa ossessione per il successo Facebook e Twitter sembrano la strada più breve. Eppure, nonostante tutto questo gigantesco marketing intimistico non si sono mai venduti così pochi libri come in questo periodo. Forse sarebbe il caso di cambiare metodo.