Marco Revelli - il manifesto
C’è qualcosa di malato nell’atmosfera
malsana di questa estate prolungata, da Morte a Venezia, con il morbo
che serpeggia nei vicoli non conclamato, intuibile solo per reticenti
indizi nell’attesa che l’epidemia esploda. E non solo per il tanfo di
guerra che viene dal Mediterraneo.
E’, in fondo, indizio di malattia il pur tanto celebrato “accordo
storico” tra Confindustria e Sindacati: questo patto tra produttori che
non producono più, annunciato nello stesso giorno in cui le impietose
statistiche europee ci inchiodavano agli ultimi posti con una caduta del
Pil vicina al 2% e una competitività crollata al 49° livello. E lo è –
altro che se lo è – la manovra sull’Imu, sintomo delle patologiche
contraddizioni della maggioranza più che ragionevole intervento
anti-crisi, annunciato senza copertura, senza che nessuno sappia da dove
proverranno le risorse se non che una parte di esse sarà sottratta al
lavoro e all’occupazione, con un’esibizione da medici sadici in presenza
di un paziente comatoso.
Per non parlare della grottesca vicenda di Silvio Berlusconi e della sua
decadenza da senatore, che riduce l’orizzonte temporale della politica
ai minimi termini, alle settimane, ai giorni, forse alle ore con questa
corsa dissennata a dilazionare l’inevitabile imponendo una navigazione a
vista che per permettere al grande pregiudicato di guadagnare tempo per
se stesso finisce per abrogare il tempo della politica. In questo
contesto la cura omeopatica con cui la imponente regia del Quirinale e
la logica stessa delle larghe intese trattano ormai da mesi la crisi
dilazionandone sistematicamente i tempi, congelandone (senza risolverle)
le contraddizioni, mettendo in campo narrazioni tanto rassicuranti
quanto improbabili, più che una terapia tende a costituire un ulteriore
fattore patogeno.
Perché in questo tempo sospeso, sotto la superficie piatta che ha il
volto liscio di Enrico Letta, si consumano in realtà processi di
trasformazione (e di dissoluzione) massicci, spostamenti di equilibri
dirompenti e tuttavia sottratti alla riflessione collettiva. Lo è la
mutazione genetica in atto nel Partito democratico con l’irresistibile
ascesa di Matteo Renzi e la conversione ecumenica al renzismo di buona
parte del personale politico di centro-sinistra (esempio di
“trasformismo in un solo partito” degno di un saggio storico). Ne uscirà
probabilmente mutato il quadro delle culture politiche italiane, con
l’estinzione o comunque la riduzione al lumicino di ogni residua traccia
di social-democrazia, il ritorno in grande stile del centrismo ex
democristiano rivisitato alla luce di un populismo post-berlusconiano,
la fine della sinistra istituzionale, a voler rimanere ai piani nobili
dell’argomentazione. Senza considerare lo spettacolo meno nobile che
andrà in scena ai piani bassi (i “polli di Renzi”?), con la corsa a
ricollocarsi, spartirsi le potenziali cariche, riconquistare posizioni
perdute, consumare vendette antiche e recenti, mutare amicizie… Può non
piacere – e non piace – ma questo sta diventando il Pd reale, non quello
immaginario dei falsi realisti che aspettano ogni volta un “segno”
della rinata identità di sinistra.
Simmetricamente la crisi latente e tuttavia inevitabile del Pdl (e
dell’intero centro-destra) continuerà a lavorare e a produrre i propri
veleni, a cominciare dalla devastazione dei più elementari principii
giuridici e costituzionali prodotta dalla battaglia contro la decadenza,
in cui si fa quotidianamente strame di ogni elementare logica
argomentativa, in un’esibizione di non sense, di cervellotici espedienti
(Violante ne è maestro) diretti ad affermare l’autonomia della politica
dal diritto, con la possibilità – il rischio – che alla fine un
intervento dall’alto verrà (forse solo un “contentino”) per “stemperare
le tensioni” e salvare la capra Berlusconi e i cavoli costituzionali, le
larghe intese e la legalità repubblicana.
Per questo l’Assemblea convocata per domenica 8 settembre a Roma è
importante. Tanto più se da essa venissero alcune – poche – parole
chiare. Sulla inevitabile decadenza e incandidabilità del pregiudicato
Berlusconi, senza se e senza ma. Sulla difesa intransigente della
Costituzione, a cominciare da quell’articolo 3 (l’Eguaglianza!) mai come
oggi insidiato non solo dalle pretese di un pregiudicato di rango ma
anche dalle imposizioni tecnocratiche europee e globali.
Sull’insostenibilità della logica delle grandi intese (nel cui Dna
stesso è inscritta la manomissione costituzionale), sempre più ostacolo a
ogni vero intervento di bonifica economica, sociale e morale del paese.
E infine (ed è questo che in molti attendono) sulla improcrastinabile
necessità di lavorare alla costruzione di una alternativa reale –
credibile, stabile e organizzata, non minoritaria – allo stato di cose
esistente.