Il ministro Giannini: mai più precari e supplenti, aumenti di stipendio ai professori migliori.
Sponsor privati e merito stop ai supplenti precari ecco la riforma della scuola Nel disegno di legge del governo è prevista una revisione delle scuole professionali e un nuovo rapporto tra cultura e istruzione Allo studio nuove forme per finanziare il riassetto del sistema Il ministro dell’Istruzione Giannini illustra il suo disegno Possibile detassazione delle iscrizioni negli istituti privati Il provvedimento.
RIMINI – ’INGRESSO dei capitali privati nella scuola pubblica: un’esigenza fin qui bloccata da «pregiudizi ideologici». L’abolizione del precariato, anzi la «cura definitiva della piaga del precariato» calcificato da decenni di alchimie burocratiche. Eliminare il ricorso alle supplenze, «agente patogeno del sistema scolastico, batterio da estirpare».
Concita De Gregorio (La Repubblica)
RIVEDERE il rapporto tra istruzione professionale e lavoro secondo il modello tedesco «che funziona bene da trent’anni». Valutare gli insegnanti per il merito e non solo per l’anzianità: introdurre anche scatti di reddito ma sulla base di una progressione della loro attività professionale. Finanziare la formazione, dunque, poi valutarla e «premiare chi fa, penalizzare chi non fa il suo dovere ». Riunificare cultura e istruzione «per evitare che chi studia restauro finisca in un call centre», creare scuole di specializzazione collegate a enti culturali sul modello francese. Modificare i programmi: potenziare lo studio di storia dell’arte, musica. Dare un’effettiva libertà di scelta educativa «che nel nostro paese non è mai stata davvero garantita»: sul rapporto con le scuole paritarie evitare le trappole ideologiche, non fermarsi al tema dei soldi, guardare alla bontà dell’offerta formativa.
Concentrarsi sulle scuole medie inferiori «che hanno davvero bisogno di cura».
Stefania Giannini, ministro dell’Istruzione Università e Ricerca, ha scelto la platea del Meeting di Cielle, a Rimini — platea naturalmente molto interessata al tema del sostegno alle scuole private di matrice cattolica — per dare qualche prima indicazione su quella che chiama una «rivisitazione rivoluzionaria delle regole del gioco». Non una riforma, una rivoluzione. La presenterà ai ministri venerdì, «Renzi ha annunciato una sorpresa e non sono qui per rovinarla». Però fra i corridoi dello stand del Meeting dove Vittadini la accoglie entusiasta e la presenta come «la prima vera erede di Berlinguer» (pazienza per Moratti Fioroni e Gelmini, a loro tempo pure osannati a queste latitudini) Stefania Giannini racconta di quanto «lavoro silenzioso» ci sia dietro questo testo, «che guarda ai prossimi trent’anni e non ai prossimi tre, una visione dei bisogni della scuola e della sua “infrastruttura umana”, dieci milioni di studenti e le loro famiglie, il corpo docente, parliamo dei due terzi del Paese». Cita due volte Don Milani, una Renzo Piano a proposito di «periferie fertili», una don Giussani sul «rischio educativo»: «Ecco, è anche questo il rischio che voglio correre. Mettersi in gioco, mettersi alla prova davvero», dice.
È un progetto diviso in quattro parti. Governo della scuola, personale docente, contenuti didattici, autonomia degli istituti. Questo è quel che Giannini ha anticipato, per capitoli e con le sue parole.
SCUOLA PUBBLICA/SCUOLA PRIVATA
«Noi dobbiamo offrire un progetto educativo complessivo. Pensare una scuola che sia organizzata dallo Stato o dall’iniziativa privata. La libertà di scelta educativa nel nostro paese non è mai stata garantita. La legge Berlinguer del 2000 non è stata applicata. Il finanziamento alle paritarie è sempre stato preteso, concesso, negato, negoziato. Dobbiamo uscire dalla logica che ci siano gli amici delle famiglie contro gli amici dello Stato. L’uno affonda senza le altre e viceversa. Il rapporto con le paritarie si risolve insieme senza pregiudizi ideologici, che pesano più dei soldi». Del tema si occupa il sottosegretario Toccafondi, ciellino proveniente dal Pdl poi Udc, che ha presentato la sua proposta al ministro. Una delle ipotesi è intervenire non su finanziamento diretto ma sulla detassazione.
PRECARIATO
«È frutto di decenni di scelte miopi. Abbiamo un corpo docente frammentato, un lavoro che non si chiama lavoro. Gae, Sgis, Tfa, concorsone. Una selva di figure professionali in cui chi è di ruolo finisce per essere contro chi ha vinto il concorso e chi ha vinto in concorso contro chi è in graduatoria. Quello delle supplenze è l’agente patogeno del sistema scolastico, un batterio che dobbiamo eliminare. In Italia non abbiamo tutti i docenti che ci servono a far funzionare la scuola. Mancano docenti. Il ricorso ai supplenti fa male a tutti: agli insegnanti agli studenti, alla scuola. Abbiamo bisogno di figure stabili, di ricondurre tutto a un sistema unitario. Faremo in modo di lavorare sulla pianta organica di fatto, non su quella di diritto. Una riforma funzionale che guarda alle esigenze reali e non a quelle sulla carta». Potrebbero essere riviste se non abolite le graduatorie provinciali d’istituto, circa 400 mila persone. Una parte dei precari dovrà essere stabilizzata. Ci sarà entro l’anno prossimo un nuovo concorso. Non ci saranno tagli per finanziare le spese. Su questo Giannini è stata categorica: «L’idea di tagliare a destra per spostare a sinistra appartiene a una vecchia logica. Servono soldi, è vero, ma non li sottrarremo ad altri comparti della scuola. Abbiamo studiato meccanismi di finanziamento molto innovativi». L’idea degli sponsor è una ipotesi. «Bisogna uscire dallo stereotipo che il mercato è nemico della scuola ».
MERITO
«Faremo una proposta molto articolata e consistente per l’aggiornamento e la formazione degli insegnanti. Ci saranno criteri di valutazione. Sarà premiata l’attività positiva, anche con aumenti di stipendio, e penalizzato chi non fa il suo dovere. Non possiamo più attenerci solo a un criterio di anzianità. Sono certa che nessuno avrà timore di essere valutato nel merito».
SCUOLE PROFESSIONALI
«In Italia 4 milioni e mezzo di ragazzi non studiano né lavorano. Dobbiamo recuperarli. Trovare la via italiana al sistema duale, in Germania funziona da trent’anni. Mettere in pratica l’alternanza scuola-lavoro a partire dalle esigenze, dalle richieste. Penso a stage professionali negli ultimi anni di media superiore, penso all’investimento delle imprese private nella scuola pubblica. È un tabù, ma una realtà in gran parte del mondo. Faccio anzi un appello agli imprenditori, anche medi e piccoli, perché intervengano nel finanziare, ad esempio, i laboratori. Abbiamo bisogno di strutture moderne, non di luoghi di antiquariato. I ragazzi devono uscire in grado di lavorare. Il capitale privato è benvenuto».
CULTURA VS ISTRUZIONE
«La divisione fra cultura e istruzione, a partire dalla spartizione di competenze fra ministeri e di conseguenza figure, autorità, poltrone è figlia di
una cattiva gestione politica ma in un paese come il nostro, che ha dato al mondo il Rinascimento, deve scomparire. Penso all’esempio francese delle scuole di specializzazione che immettono nelle reti culturali giovani pronti per entrare al lavoro nei luoghi in cui si sono formati. Lo fa il Louvre, perché non possono farlo gli Uffizi, Pompei? Abbiamo bisogno di intervenire sui programmi scolastici. Potenziare la storia dell’arte. Introdurre la musica fin dalla scuola primaria, siamo il Paese di Verdi e Puccini. Non possiamo consentire che chi studia restauro finisca in un call centre. Col ministro Franceschini abbiamo un protocollo d’intesa».
SCUOLA SUPERIORE
«Portare a quattro anni il ciclo delle medie superiori per equiparare l’età di congedo scolastico a quella di molti altri paesi non può essere il frutto di un calcolo da spendig review», dice Giannini. Per concludere: «Ci vorrà molto tempo per mettere a regime la nostra proposta, ma non dobbiamo guardare ai prossimi mesi. L’orizzonte è quello dei prossimi trent’anni. Chi nasce oggi va a scuola nel 2018 ed esce nel 2038. La scuola che cambiamo adesso arriverà a destinazione allora».
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A completamento una breve intervista del Secolo XIX a Benedetto Vertecchi
Riforma della scuola, Vertecchi: «Don Milani non avrebbe avuto premi»
Francesco Margiocco
La riforma che nel nome della meritocrazia promette di rivoluzionare le carriere degli insegnanti, e di sottoporle a periodici controlli della qualità, cita più volte nelle sue 136 pagine quattro grandi personalità del passato. Don Milani, don Bosco, Loris Malaguzzi e Maria Montessori. «Tutti e quattro, se fossero stati controllati come vuole il governo, ne sarebbero usciti con le ossa rotte». Benedetto Vertecchi, pedagogista sperimentale alla Sapienza, esperto di politica scolastica, una vita dedicata al tema della valutazione, è severo nei confronti della “Buona Scuola”, il libro d’intenti presentato a Palazzo Chigi due giorni fa.
Gli “scatti di competenza”, previsti da Renzi, e che dovrebbero premiare il merito, rischiano dunque di aiutare i peggiori?
«Certamente non aiuteranno i migliori. Questo perché si affida la valutazione a rigidi parametri dettati dal ministero. La storia dovrebbe insegnarci qualcosa. La Montessori, la personalità più nota al mondo di tutto il Novecento nel campo educativo, è stata osteggiata in Italia prima e durante il fascismo, che la costrinse a fuggire in Olanda. Malaguzzi, l’inventore degli asili di Reggio Emilia, definiti da Newsweek le scuole migliori del mondo, era un funzionario comune. Se fosse stato un funzionario ministeriale non lo avrebbero lasciato lavorare. Quanto a don Milani e don Bosco, erano entrambi sgraditi alle autorità, che spedirono il primo su quell’eremo che era Barbiana, e che mal digerivano la passione del secondo per gli emarginati».
D’accordo, ma oggi nel resto del mondo valutare gli insegnanti non è la norma?
«Il resto del mondo è un’entità variopinta, ma prendiamo la realtà a noi più vicina, la Francia. Lì gli insegnanti devono affrontare, a intervalli regolari, degli esami. In pratica, studiano tutta la vita. Chi supera l’esame progredisce nella carriera. Lo stipendio all’inizio si attesta su livelli simili a quello dei nostri insegnanti, dopo 20-25 anni di carriera è una volta e mezzo il nostro, a fine carriera, se uno ha superato tutti gli esami, è pari a quello di un docente universitario».
Qual è il modello cui il governo dovrebbe ispirarsi?
«La scuola a tempo totale della Finlandia, tempo totale perché impegna gli studenti mattino, pomeriggio e, chi lo desidera, anche la sera. Una storia cominciata negli anni Novanta, quando la Finlandia aveva un tasso di suicidio, tra gli adolescenti, altissimo. I giovani, di famiglie mediamente benestanti, uscivano di scuola, si rifugiavano nei bar, bevevano e, nei casi estremi, si ammazzavano. La scuola ha reagito con una rivoluzione. Sono partiti dalle lezioni di cucina, che insegnano a lavorare insieme e a coordinarsi. Sono passati al teatro, alla coltivazione dell’orto, ai laboratori di falegnameria e meccanica. E la cosa ha funzionato. Oggi le scuole finlandesi sono ai vertici delle classifiche Ocse dei livelli di apprendimento degli alunni».
C’è traccia di tutto questo nelle 136 pagine della “Buona Scuola”?
«Non direi».
E che giudizio dà, complessivamente, di queste linee guida?
«Sono figlie di chi parla della scuola come parlerebbe di una fabbrica di saponette. Tutto viene letto in un’ottica produttivistica, e la valutazione degli insegnanti ne è l’esempio più clamoroso. Una valutazione che di oggettivo ha poco perché può essere condizionata da simpatie, clientele, discriminazioni. Una falsa soluzione che può venire in mente soltanto a chi la scuola non la conosce».
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