16.8.15

Benzina, accise e petrolieri strozzano la ripresa vanificando il calo del greggio

Il prezzo del Brent è tornato ai livelli del 2009, ma la verde costa il 36% in più: le imposte sono cresciute oltre quota un euro al litro, ma a salire senza sosta sono anche i margini dei produttori

Giuliano Balestreri (La Repubblica)

Inutile farsi illusioni: se anche le quotazioni del petrolio scivolassero sotto quota 20 dollari al barile come alla fine degli anni '90, il prezzo della benzina non tornerà mai sotto l'euro al litro di allora. Certo la colpa è anche dell'ingordigia dei petrolieri che si difendono dietro ai "costi di raffinazione sempre più alti", ma la responsabilità più pesante ricade sulle spalle dello Stato. Incapace di tagliare sprechi e spese inutili, i vari esecutivi sono sempre pronti a inserire balzelli e accise nelle pieghe di atti e decreti. Un passo alla volta, un centesimo in più ogni tanto, il peso delle tasse sul carburante ha sfondato quota un euro al litro: lo Stato incassa, tra Iva e accise, 1,012 euro per ogni litro di "verde". Abbastanza per capire come mai il crollo delle quotazioni del petrolio, complice la crisi economica e la svalutazione dello yuan cinese, non riesca a portare il giusto sollievo alle tasche degli italiani alle prese con le vacanze estive.

Basti pensare che da inizio anno le quotazioni del Brent - il pregiato petrolio del mare del nord - è calato del 15% (il 6,3% depurato dall'effetto cambio), mentre il prezzo della verde - rilevato dal ministero dello Sviluppo economico - è salito del 4%. Eppure con le accise ferme ad aumentare è stato solo il prezzo industriale della benzina, l'unica variabile che dipende direttamente dalle compagnie petrolifere, passato da 0,539 a 0,562 euro al litro. I petrolieri si giustificano spiegando di essere loro ad assorbire i rialzi delle quotazioni del greggio per evitare pesanti ricadute sui consumatori finali. Come a dire che l'aumento dei margini quando le quotazioni della materie prime calano sono solo una sorta di risarcimento.

Tuttavia, quando il prezzo del petrolio sale, la correzione dei prezzi verso l'alto è immediata, quando invece scende l'aggiustamento è sempre più lento. Il greggio, in calo sotto quota 49 dollari al barile, è tornato sui livelli del marzo 2009 quando il costo industriale era fermo a 0,403 euro al litro: il 28,3% in meno rispetto ad oggi. Certo l'euro viaggiava oltre 1,3 contro il dollaro, mentre adesso scambia intorno a quota 1,11, ma anche depurato dall'effetto cambio il prezzo al barile nel 2009 era più economico "solo" del 15,9%. Insomma resta un ampio margine difficilmente giustificabile.

Nel frattempo, le imposte sono aumentate senza sosta. L'Iva è salita al 22% (da 0,193 a 0,284 euro in questo caso), mentre le accise - tra il decreto Salva Italia e le innumerevoli clausole di salvaguardia a garanzia dei tagli alla spesa - sono esplose da 0,564 a 0,728 euro al litro. Nel complesso le tasse sui carburanti sono aumentate in 6 anni del 33% e il prezzo totale è salito del 36%, vanificando in un colpo solo sia il calo delle quotazioni

del petrolio sia quello dell'euro che avrebbero potuto essere due choc esogeni positivi ai fini della ripresa, riducendo i costi alla produzione e spingendo l'export. A sorridere, invece, sono i petrolieri che tra un aumento e l'altro riescono sempre a difendere i loro margini.

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