C’è qualcosa di insopportabilmente osceno nell’uso che viene fatto delle immagini della madre e del suo bimbo morti in mezzo al mare. Non ci riferiamo ovviamente allo strazio che suscitano e neppure alla cronaca che ce le ha mostrate. Ma al “dibattito” che subito si è acceso intorno a quei cadaveri, nel tentativo di tirarli da questa o da quella parte. O di tirarseli addosso. Il fatto è che quei poveri corpi – come tutti i corpi sepolti nel grande cimitero chiamato Mediterraneo – ci appartengono. In quanto partecipi della nostra natura umana. In quanto vittime dell’olocausto permanente che si svolge sotto i nostri occhi.
No, per carità, qui non c’entra la suprema idiozia del siamo tutti responsabili (affinché nessuno possa essere dichiarato tale). Chi è credente potrà recitare l’atto di dolore chiedendo misericordia per tutta quella sofferenza. Pregando che un giorno non ci ritorni addosso. Chi vive nella realtà di questo mondo potrà, dovrà, molto laicamente interrogarsi. Su ciò che è stato e che non è stato fatto. Su ciò che “noi” potevamo fare. Se dunque, oggi, al centro di questo rancoroso campo di Agramante ci sono Matteo Salvini e le sue politiche sull’immigrazione, cominciamo dalla parte più difficile. Da questa, a cui sento di appartenere. La parte del “bene”. Per non fare torto a nessuno rivolgerò anche a me stesso le domande (e i rimproveri) che non è possibile eludere con un taglio netto, dicendo semplicemente che tutto il “male” alligna nel campo opposto.
A pensarci bene, la domanda resta una soltanto. L’ho scritto e lo ripeto: dov’ero io, dov’era la nostra sacrosanta indignazione, dov’erano le nostre magliette rosse negli ultimi quindici anni quando – sicuramente prima dell’avvento di Salvini al Viminale – nel mare nostrum sono annegati 34.361 (trentaquattromilatrecentosessantuno) esseri umani. Come minuziosamente documentato (data e causa del decesso, genere, età, luogo di origine, quasi tutti N.N.) nel rapporto ufficiale (datato 5 maggio 2018) meritoriamente pubblicato dal manifesto, insieme ad altre testate europee, lo scorso 22 giugno. Cinquantasei pagine nere che noi “buoni” dovremmo tenere sul comodino in memoria della nostra (mia) ignavia. Con questo non mi permetterei mai di accomunare nel giudizio quel mondo silenzioso che malgrado tutto ha salvato, ha curato, ha ospitato. E che ha avuto la forza di raccontare. Due nomi per tutti: Giovanni Maria Bellu, che svelò la tragedia di Portopalo; le pagine su Lampedusa, frontiera dell’inferno, scritte da Fabrizio Gatti. Non sorprende che nello strepitio di questi giorni le loro voci non si siano udite.
Matteo Salvini non è un fascista. E neppure un assassino. Per quelle cose ci vuole talento. Salvini è l’uomo dalla biografia senza qualità che dopo lunghi anni di attesa nelle retrovie della politica, mentre cominciava a perdere i capelli si è chiesto ‘cosa farò da grande’. Così si è accorto che, grazie soprattutto a quelli che c’erano stati prima, si era formato nel Paese un lago sotterraneo che ribolliva di rabbia e di paura inespressa. Ha pensato che poteva essere uno straordinario business elettorale e ha cominciato a pompare in superficie grandi quantità di quella rabbia e di quella paura dicendo: ora che ci sono io, per gli untori che causano questa peste la pacchia è finita.
Il fatto è che nel mentre veniva nominato ministro degli Interni, una delle cause che maggiormente avevano suscitato paura (e rabbia) – l’immigrazione clandestina – era in via d’esaurimento. E anche la “pacchia” non era poi così evidente. Poteva il nuovo profeta dell’ordine (e di una carabina per tutti) rassegnarsi a gestire scartoffie o ad avvicendare qualche prefetto? Infatti, in men che non si dica ha chiuso i porti alle Ong. Ha dato mano libera, e fornito navi militari, ai poco affidabili libici. Ha stretto accordi con il gruppo di Visegrad, che vogliono rispedirci indietro migranti a volontà. Cosicché sulle coste italiane gli approdi continuano a diminuire. Perché aumentano i morti. Sì, la pacchia è davvero finita.
Adesso Salvini andrebbe seriamente fermato. Anche con modi bruschi. Ma dubitiamo che Conte, Di Maio e i Cinque Stelle ne abbiano davvero voglia. Certo è che continuare a gridargli assassino di bambini fa solo il suo gioco. La guerra tra ipocrisia e cinismo sulla pelle (nera) della disperazione non si sopporta più.
Nessun commento:
Posta un commento