Federica Geremicca (La Stampa)
Dal Pci al Pd, la dispersione dei voti viene da lontano e poco o nulla è stato fatto per arginarla. Anziché sostenere chi è alle prese con la crisi si è preferito ammiccare alle eccellenze industriali
È come una slavina, un fiume che esonda, una diga che cede. Anche l’Umbria è conquistata dalla destra: e poco importa che il voto di ieri sia solo la certificazione di un processo già compiuto da tempo. Infatti, per le dimensioni che hanno assunto e per le ragioni che le hanno determinate, le elezioni umbre rappresentano un test che per il centrosinistra sarebbe suicida sottovalutare.
L’Umbria, del resto, non è stata persa ieri: Perugia è nelle mani del centrodestra già dal voto del 2014, Terni dall'anno scorso (eletto un sindaco leghista col 63% dei voti) e alle europee di cinque mesi fa Salvini aveva già staccato il partito di Zingaretti con un sensazionale 38 a 24. Significa qualcosa tutto questo? Testimonia, semplicemente, che la dissoluzione arriva da lontano: e che poco o nulla è stato fatto per provare a invertire la rotta.
Infatti, comunque la si veda, il voto umbro ha una sua specificità. E al di là del vento che tira, mette in primo piano errori che per i cittadini di quella regione hanno sfiorano l’incomprensibile. Gli ultimi possono essere riassunti in poche, anzi pochissime battute.
Gli errori
Il primo è senz’altro il lungo tira e molla sul che fare di fronte all’inchiesta giudiziaria sulla gestione della sanità che ha decapitato i vertici della Regione e del Pd: settimane di bracci di ferro e dietro-front sulle dimissioni di Catiuscia Marini, col doppio risultato di prolungare e amplificare lo scandalo, dando l’impressione - per di più - di non riuscire ad esercitare la necessaria severità di fronte a fatti di presunta corruzione.
Il secondo è sicuramente il mezzo patto elettorale siglato con i Cinquestelle, il Movimento che con le sue pesanti e continue denunce aveva di fatto dato il là all’inchiesta della magistratura. Come possono averla presa i cittadini umbri e gli elettori di Pd e M5S? Mettiamola giù semplice, e senza offesa per nessuno: le «guardie» si alleano coi «ladri», ma che roba è?
Il terzo errore è nella gestione della campagna elettorale. Già un’alleanza quasi inconfessabile (tanto da esser ridotta al rango di «civica»...) non è un gran punto di partenza. Ma se a questo poi si aggiunge che su tale alleanza arrivino a metter invece cappello i leader di Pd, M5S e Leu nell’ultimo giorno utile, la frittata è fatta (senza aggiungere il non senso dell'arrivo sul palco anche di Giuseppe Conte, dopo settimane passate a spiegare che il governo era fuori dalla contesa).
I giochi, probabilmente, erano già fatti, come testimoniato dalla sequela di sconfitte in molte città-simbolo della ex «Umbria rossa». Ma questo - piuttosto che rappresentare un alibi - non fa che appesantire la situazione, e render più complicato ogni proposito di rivincita. Infatti, progressivamente, anche in questa regione il Pd ha visto allentarsi - fino a diventare quasi inesistente - il suo rapporto con i ceti tradizionali di riferimento.
L’ultima roccaforte crollata
Non a caso, l’ultima a cedere è stata la Terni operaia, la città dell’acciaio, travolta dalla crisi nella quasi indifferenza della sinistra. Prima, progressivamente, altri ceti si erano allontanati. L’Umbria è terra di agricoltori, da sempre in guerra con l’Europa per una gestione lenta e incomprensibile dei fondi comunitari: e chi è che difende l’Europa e chi è che invece dice che bisognerebbe uscirne? L’Umbria, però, è anche terra di piccole e piccolissime aziende e di partite Iva: e le prime si sentono da sempre trascurate e le seconde trattate - da questo governo e dalla sua manovra - alla stregua di sicuri e irrecuperabili evasori fiscali.
Un episodio, se si vuole minore ma certo illuminante, è legato alla visita svolta da Conte venerdì in Umbria. Chi è andato a trovare, infatti, il presidente del Consiglio? Brunello Cucinelli, naturalmente. Figurarsi, un’eccellenza, niente da dire. Ma ha più bisogno di sostegno e vicinanza un’azienda che va a gonfie vele o operai e contadini - storicamente ceti di riferimento della sinistra - travolti da crisi e difficoltà? Già un altro premier di centrosinistra - Matteo Renzi - privilegiò le «eccellenze italiane» rispetto ai settori travolti dalla crisi: e l'avventura finì come finì. Può darsi che il vento che tira sia per ora inarrestabile. Ma ogni voto consegna una lezione. Quello umbro obbliga il Pd a riflettere sul serio: su cosa sia la sinistra oggi e su come è vissuta l’alleanza di governo giallorossa. Alle porte, infatti, c’è il voto in Emilia Romagna. E se la Lega può perdere le elezioni a Bergamo o a Milano, non è scritto da nessuna parte che il Pd debba vincerle per forza in «roccaforti rosse» che sono tali, ormai, solo nella memoria dei più anziani.