Visualizzazione post con etichetta Pdl. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Pdl. Mostra tutti i post

12.7.12

Zu Silviu

Marco Travaglio (Il Fatto Quotidiano)

Non occorreva grande perspicacia per sapere con certezza che il Cainano sarebbe tornato anche ufficialmente a capo del Pdl. Bastava conoscere un po’ la sua indole, ma soprattutto guardare la faccia di Alfano e leggere le firme dei cervelloni che ne magnificavano le doti di leader, l’irresistibile ascesa, lo smarcamento da B., il programma anzi l’“agenda” per un “nuovo centrodestra” moderno, liberale, europeo, moderato, finalmente scevro da conflitti d’interessi, e vaticinavano per il Cavaliere un ruolo da “padre nobile”.
Era chiaro a tutti, fuorché ad Alfano e ai laudatores di corte, che mai, per quanto acciaccato e bollito, il Cainano avrebbe consentito che quella nullità ambulante dilapidasse quel poco che resta del suo bottino elettorale. E che, al momento buono, sarebbe tornato in prima linea.

Ora il momento buono è arrivato, non certo per i finti sondaggi che darebbero il Pdl sotto la sua guida al 30%. Nel paese dell’amnesia gli occorreva qualche mese per far dimenticare i disastri degli ultimi 18 anni e il nome del responsabile numero uno. Napolitano e Monti, con l’ausilio del centrosinistra più masochista dell’universo, hanno svolto egregiamente la loro missione: caricarsi sulle spalle il prezzo dei sacrifici necessari dopo anni di finanza allegra, evitando che si andasse subito alle urne dalle quali B. sarebbe uscito asfaltato (almeno più del solito). Lui li ha fatti votare tutti, quei sacrifici (tanto nemmeno lo sfioravano), ma sempre dando l’impressione di farlo obtorto collo, per senso di responsabilità, mentre i suoi house organ bombardavano Monti dando l’impressione che il Pdl fosse all’opposizione. E comunque il Pdl che li approvava era quello di Angelino Jolie, non certo il suo. Intanto Bersani si svenava per tutti, spalmato con un’adesione acritica e incondizionata sul governo dei tecnici. Invece B. i voti di fiducia se li faceva pagare a uno a uno, cari e salati.

La tecnica dell’inabissamento, molto simile a quella adottata dopo le stragi del 1992-’93 da Bernardo Provenzano, ha funzionato a meraviglia. Calati Silviu ca passa la china, cioè la piena. Zu Binnu scomparve per tre lustri e nessuno lo cercò più, grazie alla trattativa con lo Stato e a vent’anni di pax mafiosa, mentre Cosa Nostra faceva affari d’oro e incassava dividendi legislativi come lo smantellamento del 41-bis, delle supercarceri, dei pentiti, persino dell’ergastolo. Così Zu Silviu ha smesso di scassare tutto quando la partita era ormai persa nel novembre scorso, e da allora se n’è rimasto zitto e buono nelle retrovie, intascando sottobanco gli utili di ogni fiducia a Monti: i soliti favori a Mediaset su frequenze e concessioni tv, gli omaggi su Rai e Agcom, niente patrimoniale, nuove porcate sulla giustizia (responsabilità dei giudici, niente anticorruzione né manette agli evasori e prossimamente, se tutto va bene, pure la legge-bavaglio sulle intercettazioni che serve anche al Quirinale). Ora le urne si avvicinano. Ogni tentativo di travestirsi da Passera, Montezemolo o Casini è naufragato per la palese inconsistenza dei medesimi.

Jolie ha svolto egregiamente il suo ruolo di trompe l’oeil e può tornare a indossare la livrea di maggiordomo e a entrare dalla porta di servizio. Le elezioni andranno come andranno: difficile che il Pdl si avvicini alla soglia del 37% e rotti del 2008. Ma nessun partito supererà il 30, con Grillo al 15. Dunque si fa una legge elettorale proporzionale senza premi di maggioranza, nessuno avrà i numeri per governare, e appena chiuse le urne Silvio, Pier e Bersani (o chi per lui) comunicheranno dolenti ai propri elettori, truffati un’altra volta, che purtroppo bisogna rifare all’ammucchiata ABC, anzi BBC, per un governo ri-Monti o Passera.
Per salvare la Patria, ce lo chiede l’Europa.

Così B., che si sarebbe estinto se si fosse votato subito, resterà l’ago della bilancia anche nella prossima legislatura, seguitando come sempre a chiagnere e fottere. Chiamatelo fesso.

2.3.10

Il fantasma di un partito

di Ernesto Galli della Loggia dal Corriere della Sera del 2 marzo 2010
(L'articolo è nelle EDIZIONI INTERNAZIONALI, ma è stato tolto dal Corriere nelle edicole italiane. Censura di De Bortoli? Il direttore assicura che è stato soltanto spostato a domani. Si, ma perché dal momento che era già stato stampato?)

La plastica si sta squagliando? Sembrerebbe. Certo è che coloro che si erano illusi dopo le elezioni del 2008 che il Pdl fosse diventato un partito più o meno vero, qualcosa di più di una lista elettorale, sono costretti ora a ricredersi. Non era qualcosa di più: spesso, troppo spesso, era qualcosa di peggio. Una corte, è stato autorevolmente detto. Ma a quel che è dato vedere pare piuttosto una somma di rissosi potentati locali riuniti intorno a figuranti di terz'ordine, rimasuglio delle oligarchie e dei quadri dei partiti di governo della prima repubblica. E tra loro, mischiati alla rinfusa – specie nel Mezzogiorno – che in questo caso comincia dal Lazio e da Roma – gente dai dubbi precedenti, ragazze troppo avvenenti, figli e nipoti, genti d'ogni risma ma di nessuna capacità. E' per l'appunto tra queste fila che, a partire dalla primavera dell'anno scorso, si stanno ordendo a ripetizione intrighi, organizzando giochi e delazioni, quando non vere e proprie congiure (e dunque non mi riferisco certo all'azione del Presidente Fini, il quale, invece, si è sempre mosso allo scoperto, parlando ad alta voce), allo scopo di trovarsi pronti, con i collegamenti giusti quando sarà giunto il momento, dai molti dei cortigiani giudicato imminente, in cui l'Augusto sarà costretto in un modo o nell'altro a lasciare il potere. Da quel che si può capire, e sopratutto si mormora, sono mesi, diciamo dalla famigerata notte di Casoria, che le maggiori insidie vengono a Berlusconi e al suo governo non già dall'opposizione, ma proprio dalla sua stessa parte, se non addirittura dalle stesse cerchie a lui più vicine. Al di là di ogni giudizio morale tutto ciò non fa che mettere in luce un problema importante: perché mai la destra italiana, durante la bellezza di quindici anni, eppur in condizioni così favorevoli, non è riuscita che a mettere insieme la confusa accozzaglia che vediamo? Perché non è riuscita a dare alla parte del Paese che la segue, e che tra l'altro è quasi sicuramente maggioritaria, sul piano quantitativo, niente altro che questa misera rappresentanza? Certo, hanno influito di sicuro la leadership di Berlusconi e la sua personalità. Il comando berlusconiano, infatti, corazzato di un inaudito potere mediatico-finanziario, no non era tale da potere avere rivali di sorta assicurandosi così un dominio incontrastato che almeno pubblicamente ha finora messo tutto e tutti a tacere; la personalità del premier, infine, ha mostrato tutta la sua congenita, insuperabile estraneità all'universo della politica modernamente inteso e dunque anche alla costruzione di un partito. La politica, infatti, non è vincere le elezioni e poi comandare, come sembra credere il nostro presidente del Consiglio; è prima avere un'idea, poi certo vincere le elezioni, ma dopo anche convincere un Paese e infine avere il gusto e la capacità di governo: tutte cose a cui Berlusconi, invece, non sembra particolarmente interessato e per le quali, forse, un partito non è inutile. Ma se è vero che il potere e la personalità del leader sono state un elemento decisivo nell'impedire che la Destra esprimesse niente altro che Forza Italia e il Pdl, è anche vero che né l'uno né l'altra esauriscono il problema che rimanda invece a caratteristiche di fondo della società italiana che come tali riguardano tanto la Desta che la sinistra. In realtà, il verificarsi simultaneo della caduta del Muro di Berlino e di Mani pulite ha significato la fine virtuale di tutte le culture politiche che la modernità italiana era riuscita a mettere in campo nel Novecento (quella fascista avendo già fatto naufragio nel '45). E' quindi rimasto un vuoto che il Paese non è riuscito a colmare. Non si è affacciata sulla scena nessuna visione per l'avvenire, nessuna idea nuova, nessun'indicazione significativa, nessuna nuova energia realmente politica è scesa in campo. Niente. Il risultato è che in Italia i capi politici più giovani hanno come minimo superato la cinquantina. Ma naturalmente il vuoto è più sensibile a destra. E più sensibili ne sono gli effetti negativi, perché lì la storia dell'Italia repubblicana non ha costruito nulla e dunque non ha potuto lasciare alcun deposito; che invece è rimasto solo nel centrosinistra; erede di un ininterrotto sessantennio di governo del Paese tanto al centro che alla periferia. Così come nel centrosinistra sono rimasti quasi tutti i vertici della classe politica che fu cattolica o comunista, portando in dote la propria esperienza e le proprie capacità. Mentre alla Destra è toccato solo il resto: a cui poi, per il sopraggiunto, generale, discredito della politica, non si è certo aggiunto, il meglio del Paese.