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21.2.18

Trapianti, sviluppati embrioni di pecora con cellule umane

Uno studio dell'Università di Stanford ha compiuto un altro passo in avanti negli esperimenti di ingegneria genetica

PER LA PRIMA volta è stato creato in laboratorio un embrione ibrido uomo-pecora, in cui una cellula su 10.000 è umana. Si tratta di un passo avanti verso la realizzazione di organi xenogenici, organi umani coltivati all'interno di animali, per rispondere alla richiesta dei tanti in attesa di trapianto. Circa un anno fa era stato realizzato un embrione di uomo e maiale dallo stesso gruppo di ricerca, dove le cellule umane erano una su 100.000. A dare l'annunciogli scienziati dell'università della California Davis riuniti al meeting della American Association for the Advancement of Science di Austin, in Texas.

• LO STUDIO
L'ibrido è stato ottenuto introducendo cellule staminali adulte 'riprogrammate' nell'embrione di pecora, che poi è stato lasciato crescere per 28 giorni, il massimo per cui l'esperimento aveva ottenuto l'autorizzazione, di cui 21 nell'utero di un animale.

Nel periodo le cellule umane si sono riprodotte, spiega Pablo Ross, uno degli autori, anche se per arrivare alla possibilità di avere un intero organo serve un rapporto di uno a 100. Nella stessa presentazione i ricercatori hanno spiegato di essere riusciti ad ottenere embrioni di pecora e maiale privi del pancreas grazie alla tecnica Crispr di 'copia e incolla' del Dna, un passo ulteriore per far 'ospitare' agli animali gli organi umani. "Anche se c'è molto da lavorare - sottolinea il ricercatore - gli organi prodotti in queste chimere interspecie potrebbero un giorno costituire un modo per soddisfare la domanda di organi, trapiantando ad esempio un pancreas ibridizzato in un paziente".


LEGGI - Taglia-incolla del Dna apre la strada a trapianti di organi da maiali

• ORGANI UMANI NEGLI ANIMALI
Gli scienziati sostengono che far crescere organi umani all'interno degli animali potrebbe non solo aumentarne l'offerta, ma addirittura consentire di modificare geneticamente gli organi perchè siano compatibili con il sistema immunitario del paziente che li riceve; e siccome verrebbero utilizzate le cellule del paziente si annullerebbe il rischio del rigetto. L'uso delle pecore, ha spiegato ancora Ross, ha molti vantaggi rispetto al maiale, a partire dal fatto che bastano quattro embrioni e non cinquanta per far iniziare una gravidanza. Anche questo animale inoltre ha organi di dimensioni simili a quelli umani.

• I TRAPIANTI
L'obiettivo ultimo, dunque, sono i trapianti. Ogni ora, negli Stati Uniti sei persone si aggiungono alla lista d'attesa nazionale per trapianto di organi, e ogni giorno 22 persone che sono nell'elenco muoiono. Mentre in Italia sono 9.000 le persone in attesa. Gli scienziati stanno vagliando diversi modi per arginare il problema della mancanza di organi da donare: alcuni stanno tentando la via delle stampanti 3-D in laboratorio; altri lavorano a organi meccanici, costruiti artificialmente; altri ancora appunto sulla creazione delle cosiddette 'chimere', cioè di ibridi composti da due specie differenti.

• PREOCCUPAZIONI ETICHE
Ma questa opzione solleva preoccupazioni etiche, non ultima quella legata a che tipo di organismo sia quello misto che viene creato artificialmente e cosa succederebbe per esempio se le cellule umane arrivassero nel cervello dell'animale. Il dottor  Hiro Nakauchi dell'università di Stanford, che ha partecipato alla ricerca, smorza i timori: "Il contributo di cellule umane finora è molto basso. Non si tratta di un maiale con una faccia umana o un cervello umano" e "abbiamo pubblicato diversi documenti che mostrano che possiamo scegliere miratamente la regione" quindi si possono evitare cellule umane nel cervello.

.GLI ESPERTI ITALIANI
Dello stesso parere Giuseppe Novelli, genetista e rettore dell'università degli Studi di Roma Tor Vergata. Le prime chimere pecora-uomo "non devono fare paura - commenta - . La notizia è un passo avanti verso la realizzazione di organi xenogenici, ovvero organi umani coltivati all'interno di animali, per rispondere alla richiesta dei tanti in attesa di trapianto". "Di fronte a questa grave carenza di organi - spiega ancora il genetista - gli scienziati di tutto il mondo hanno tentato due strade: quella degli xenotrapianti, ovvero l'utilizzo di organi animali destinati agli esseri umani, e quella di coltivare organi umani nell'animale", come nella ricerca americana. A ostacolare gli xenotrapianti è il rischio di trasmissione di malattie virali specifiche da una specie all'altra, "tanto che alcune ricerche sono mirate a bloccare questi virus che potrebbero risvegliarsi nell'organo trapiantato".

Commenta la scoperta anche Cesare Galli, lo scienziato che ha lavorato con Ian Wilmut, il "padre" di Dolly, il primo mammifero clonato. E che nel '99 è riuscito a clonare un toro. "Questo lavoro è importante, ma va capito se funzionerà - spiega Galli che oggi si occupa di xenotrapianti ed è presidente della Fondazione Avantea e consigliere generale Associazione Luca Coscioni - . Si tratta di un primo passo perché la strada da seguire è lunga e in salita. Una cosa è certa in questo tipo di ricerche le polemiche di natura bioetica non hanno fondamento".

• TECNICHE ANTI-RIGETTO
Oltre alla carenza di organi da trapiantare, questo genere di xenotrapianti apre prospettive importanti anche per far fronte al problema della rigetto e della “durata” dell'organo trapiantato. “In molti casi i trapianti non sono per sempre – ha spiegato Emanuele Cozzi, docente all'Università degli Studi di Padova e Responsabile dell'Unità Operativa di Immunologia dei Trapianti presso l'Azienda Ospedaliera di Padova – . Ad esempio, nel caso del rene, oltre al rigetto, che può avvenire subito dopo o dopo il trapianto, circa la metà dei trapiantati va comunque incontro a rigetto dopo circa 15 anni dall'intervento, mentre nell'altra metà dei pazienti la durata di vita dell'organo è leggermente superiore. Così il paziente deve sottoporsi nuovamente a dialisi o ad un secondo trapianto, che risulta più complesso. Ma ci sono casi, come il trapianto di cuore o polmone, in cui spesso il paziente va incontro al decesso”.

Dunque, la nuova ipotesi potrebbe consentire di ridurre o eliminare il rischio di rigetto, consentendo una maggiore durata - potenzialmente illimitata, secondo Cozzi -, dato che, con questo metodo, l'organo trapiantato sarebbe composto da cellule umane che proverrebbero dallo stesso ricevente. Ma ci sono altri rischi da valutare e la strada è ancora lunga: dovranno essere svolti diversi studi, dal punto di vista scientifico, tecnico, procedurale ed etico. Comunque, si tratta di un risultato scientifico rilevante, conclude l'esperto, che potrebbe aprire importanti strade terapeutiche.

13.1.09

Memoria, apprendimento e ricordi. Un "centralino" impedisce il caos

Recuperare nozioni note, e contemporaneamente immagazzinarne di nuove, è apparentemente scontato. Ma alla base del meccanismo c'è un sistema complesso. Che evita il conflitto fra le due attività
di ALESSIA MANFREDI

Una lotta costante fra vecchio e nuovo. Succede continuamente nel cervello quando due diversi tipi di memoria - il recupero di ricordi immagazzinati e l'apprendimento di nuove esperienze - cercano di attivarsi nello stesso momento.

La capacità di imparare cose nuove, ricordando contemporaneamente informazioni acquisite, è data per scontata nell'uomo, eppure alla base di un comportamento comune, che entra in gioco in quasi tutte le situazioni sociali - come durante una conversazione, quando si ascoltano nuove informazioni e se ne recuperano di già note per preparare la risposta successiva, oppure quando ci si trova a guidare in una città sconosciuta, interpretando segnali stradali noti - c'è un meccanismo complesso, in cui il recupero di una nozione e l'apprendimento di un dato nuovo si trovano in competizione.

Una ricerca scientifica pubblicata su PLoS Biology ha ora "fotografato" in modo chiaro questa lotta. E suggerisce che a mantenere l'ordine nel cervello intervenga una sorta di "centralino" che risolve il conflitto, attivando rapidamente l'una o l'altra funzione. "E' la prima conferma chiara, sia da un punto di vista comportamentale che neurologico" spiega Sander M Daselar, del centro di neuroscienze dell'Istituto Swammerdam dell'Università di Amsterdam, co-autore dello studio.

Insieme a Willem Huijbers, Cyriel M. Pennartz, sempre dell'ateneo olandese, e al collega Roberto Cabeza della Duke University a Durham, in North Carolina, Daselar ha sottoposto un gruppo di giovani a un esperimento: venivano mostrate una serie di parole su uno schermo e i partecipanti allo studio dovevano rapidamente ricordare se avevano studiato in precedenza tali parole o meno. Simultaneamente, sullo sfondo dello schermo apparivano delle immagini colorate. L'attività del loro cervello è stata monitorata attraverso una risonanza magnetica funzionale. Dopo lo scan, i partecipanti a sorpresa hanno dovuto rispondere ad un altro test di memoria, che questa volta riguardava le immagini.

Risultato? E' più difficile imparare a riconoscere le immagini se allo stesso tempo si è impegnati nel ricordare una parola. Allo stesso modo, se si dimentica la parola diventa più facile apprendere l'immagine. E quando si recuperano ricordi, si "spegne" l'attività del cervello collegata all'apprendimento, spiegano i ricercatori.

"Nonostante il chiaro meccanismo di competizione - spiega sempre Daselar - alcune persone riuscivano comunque ad apprendere e a ricordare allo stesso tempo. Allora abbiamo iniziato a cercare se ci fosse una specifica area cerebrale responsabile". E l'hanno trovata: c'è una regione del cervello che risulta attiva sia durante l'apprendimento che durante il ricordo, ed è situata nella parte frontale sinistra del cervello.

Secondo gli scienziati è proprio quest'area, la corteccia prefrontale ventrolaterale, a regolare le due diverse modalità della memoria, permettendo il passaggio rapido dall'una all'altra. "La cosa interessante è che questa regione è risultata coinvolta in modo specifico in quelle persone che mostravano una soppressione minima della capacità di apprendere. In queste persone, quindi, la competizione fra ricordo e apprendimento è minore rispetto agli altri, perché il "centralino" permette loro di apprendere e ricordare quasi contemporaneamente, passando rapidamente da un processo all'altro", dice ancora lo scienziato.

E' un'area già nota ai ricercatori: i pazienti in cui è danneggiata hanno difficoltà ad adattarsi rapidamente a nuove situazioni, mentre tendono a seguire vecchie regole. Spesso risulta alterata nelle persone anziane, che mostrano minore flessibilità quando è richiesto un rapido passaggio dall'apprendimento alla memoria come, ad esempio, mentre si segue una conversazione, che diventa in questo caso necessariamente più lenta e difficoltosa.

"E' una regione del cervello chiamata direttamente in causa anche in una serie di disturbi dell'impulsività e compulsività e nel disturbo ossessivo", aggiunge il professor Stefano Pallanti, dell'Università di Firenze, direttore dell'Istituto di neuroscienze. "Se funziona in modo anomalo, dà origine ad una serie di disturbi". Capirne meglio il funzionamento, con ulteriori studi, potrebbe portare a comprendere più a fondo le conseguenze pratiche nei pazienti che non riescono a passare dall'una all'altra modalità di memoria in modo corretto e a scoprire se il "centralino" può essere migliorato attraverso l'allenamento.

repubblica.it