6.2.06

E Silvio insegue il record di Fidel

La svolta del Cavaliere parolaio
di Gian Antonio Stella
Fosse un cubista da reality, un conduttore scarso o un presentatore di quiz, il politico Berlusconi prenderebbe dal Berlusconi padrone di Mediaset una lavata di capelli. Ma come: va in prima serata a Liberitutti, si porta una claque di centravanti, preti e signorine buonasera, presidia l’etere fin quasi a mezzanotte, rinuncia agli spot temendo che la gente cambi canale e cosa fa? Il 5,38% di share! La metà di Superquark! Umiliato da un programma di neutroni, tundre e trichechi!
Non bastasse, la trasmissione condotta da Irene Pivetti, vispa farfalla uscita dal grinzoso bozzolo della badessa della Camera (che bacchettava allora il Cavaliere sul conflitto di interessi e ieri cinguettava: «Ma su, ce l’avrà almeno un difettino!») è finita pure nel mirino dell’Authority. La quale ha deciso di riunirsi d’urgenza per valutare se Liberitutti , oltre a far «marameo» agli appelli di Ciampi alla continenza, non abbia violato la delibera sulla par condicio. Che certo non prevedeva quel coretto di garruli osanna cui non si assisteva dai tempi del Re Sole.
La penuria di ascolti, arrivata dopo altre trasmissioni fluviali non popolarissime quale L’incudine condotta da Claudio Martelli, dovrebbe porre al Cavaliere una domanda: è davvero vincente dilagare nel palinsesto come il Mississippi nelle pianure alluvionali? Funzionerà questo «nuovo» Berlusconi sempre più lontano ed estraneo alle tesi del Berlusconi di una volta? Non aveva dubbi, un tempo, il Cavaliere: basta coi politici parolai. Il discorso della «discesa in campo» era essenziale: 1.085 parole. Studiate per andare al cuore di elettori assetati di poche cose chiare.
L’obiettivo era dichiarato: rifuggire dalle fumosità di sempre, tipo Forlani che gigioneggiava che avrebbe «potuto parlare per ore senza dire niente». Certo, anche per il Messia Azzurro che cerca continui richiami religiosi (gli apostoli, l’unzione, le dodici tavole, le zie suore, l’amaro calice…) non era facile seguire l’esempio sommo di rapporto diretto con la gente. Il Padre Nostro è fatto di 56 parole, l’Ave Maria di 42, il Credo di 95. Per non dire del Vangelo, dove una parabola come quella del buon samaritano (in Matteo) è concentrata in 123 parole. Ma quello era il senso: poche parole, massima chiarezza. Scrisse Michele Serra: «E’ un nullatenente culturale, per metter insieme 500 parole deve riunire il consiglio d’amministrazione». Errore: non era un limite, ma una scelta. L’asciuttezza era vigore. Il rifiuto del mondo di «quelli che nella vita hanno solo chiacchierato». Lo smarcamento dai «faniguttùn».
Quando il Cavaliere abbia cambiato idea non è facile da dire. Non c’è una data. Ma certo, via via che si lamentava di non essere abbastanza capito e apprezzato, ha cominciato ad arrotolarsi in una matassa di parole che, in bocca a chiunque altro, lo avrebbe spinto a sbuffare. Al punto che perfino l’amico Bruno Vespa arrivò a dire: «Di fronte alla domanda "che ore sono?", Parisi è uno che risponde: "Le otto". Berlusconi, invece: "In questo momento sul mio orologio una lancetta sta sulle otto e una su mezzogiorno"». Certo, la deriva ciacolona ha avuto rari ritorni all’antico. Come il «Contratto con gli italiani», riassunto in 288 parole secche secche: «Abbattimento della pressione fiscale con l’esenzione totale dei redditi fino a 22 milioni di lire annui; con la riduzione al 23% dell’aliquota per i redditi fino a 200 milioni; con la riduzione al 33% dell’aliquota per i redditi sopra i 200 milioni…».
Ma erano eccezioni. Basti ricordare il discorso alla Camera sull’Iraq del settembre 2002: 10.866 parole. Cioè 198 in più di quelle usate da Marx ed Engels per scrivere il «Manifesto» o diecimila in più della Dichiarazione d’indipendenza americana: 1.374 parole. E più l’attaccano più parla, parla, parla. Due ore e mezzo da Mentana rubando palla a Rutelli, due ore e mezzo da Martelli e dalla Pivetti in solitario… Incurante dei consigli di qualche amico, degli ascolti bassini, delle battute sul suo inseguimento ai record del companero Hugo Chavez (che con la sua diretta «Alò Presidente» è andato in onda sei ore e mezzo di fila) o di Fidel Castro, che nel ’98 riuscì a tenere un comizio di 7 ore e 14 minuti: «Volevo riflettere un po’ con voi». Tema: cosa ne penserebbe, il Berlusconi di una volta? Gli offriamo un termine di paragone: al comizio finale per le comunali di Messina (le comunali di Messina!) parlò due mesi fa per un’ora e 36 minuti. Cinquantanove minuti più di quelli usati da Giovanni XXIII per aprire il Concilio Ecumenico Vaticano II.
repubblica.it

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