di Chiara Saraceno
Questa notte migliaia di immigrati in tutt'Italia si sono messi in coda nella speranza di essere tra i primi a consegnare la domanda di permesso di lavoro. Alcuni anzi sono già in coda da giorni, facendo turni, per non perdere il posto in fila. Solo una frazione ce la farà, perché le quote assegnate dal decreto sui flussi sono largamente inferiori non solo agli immigrati che hanno ritirato il kit (con altre code), ma a quelli che effettivamente stanno già lavorando in Italia e che sperano in questo modo di mettersi in regola. Così come lo sperano molti datori di lavoro: piccoli imprenditori che hanno bisogno di manodopera stagionale o anche a più lungo termine, famiglie che hanno bisogno di lavoratrici di cura.
Qualche giorno fa il presidente Ciampi ha voluto riconoscere il prezioso contributo degli immigrati al benessere delle famiglie e della società italiane consegnando l'onorificenza di Cavaliere della Repubblica ad una badante romena (oltre a quella di commendatore ad una architetta araba e ad una avvocata africana). Ma le migliaia di immigrati che staranno in fila per ore ricevono solo un messaggio di umiliazione e disprezzo.
Dietro queste code, alla vergognosa lotteria di cui sono strumento (perché non c'è altro criterio che quello di chi prima arriva) ci sono due problemi, due inefficienze distinte del nostro modo di affrontare l'immigrazione. Il primo riguarda lo scarto tra numero di permessi ed effettivi posti di lavoro disponibili, spesso di fatto già occupati, ancorché in modo non regolarizzato. Questo scarto costringe sia i datori di lavoro che i lavoratori immigrati in un continuo stato di illegalità, e di ricatto reciproco, pur in situazioni di potere asimmetrico. Alimenta anche comportamenti più gravemente illegali, di intermediazione dei permessi più o meno criminosa. Proprio il razionamento dei permessi e la loro messa all'asta della velocità e della resistenza può favorire, infatti, i ricatti e le prepotenze.
Il secondo problema riguarda l'incapacità della nostra amministrazione, dopo anni di esperienza, di trovare meccanismi insieme più trasparenti e meno irrispettosi della dignità di ciascuno di questa lotteria insieme tragica e grottesca. Certo, non sorprende in un Paese in cui anche i cittadini italiani sono spesso trattati dai servizi pubblici come sudditi che devono accontentarsi di ciò che passa il sovrano. Gli immigrati in cerca di lavoro e di regolarizzazione sono meno che sudditi: sono mendicanti da lasciare fuori al freddo, cui gettare ogni tanto qualche cosa lasciando che si azzuffino tra loro. Salvo commentare negativamente - dall'alto della nostra superiorità occidentale (e perché no, cristiana) - sia la loro rassegnata accettazione che la loro occasionale ribellione.
lastampa.it
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