29.1.07

Ribelli dediti all'ozio nelle città del XXI secolo

Il nuovo profilo del flâneur, dalla descrizione che ce ne ha lasciato Baudelaire alle mutazioni indotte dalle società immateriali. In un libro titolato «Lo sguardo vagabondo» per il Mulino, Giampaolo Nuvolati ridisegna i caratteri di queste figure emblematiche aggiornando il loro significato
Enrico Livraghi
È possibile che la figura del «flâneur» oggi si ripresenti alla ribalta? È possibile una qualche nuova forma di «flânerie» nelle metropoli infestate dalle automobili, assediate dall'inquinamento, scorticate da un'edilizia predatoria, appiattite su un modello speculativo dominante e conformate a una sorta di «pensiero urbanistico unico»? La risposta sembrerebbe affermativa, almeno secondo la tesi che il sociologo dell'ambiente Giampaolo Nuvolati propone nel suo suggestivo Lo sguardo vagabondo. Il flâneur e la città da Baudelaire ai posmoderni (Il Mulino, pp. 184, euro 12). Scrive, Nuvolati: «In questo libro dedicheremo la nostra attenzione a una categoria specifica di individui: i flâneur. Il termine, ampiamente utilizzato a partire dall'Ottocento a proposito di poeti e intellettuali che, passeggiando tra la folla dei cittadini consumatori, ne osservano criticamente i comportamenti, è oggi tornato in voga anche per descrivere alcune pratiche di viaggio ed esplorazione dei luoghi, di relazione consapevole con le persone e i contesti».
Sarebbe proprio l'uniformità urbana dilagante a rimettere in campo la figura del flâneur, nelle vesti - però - di una specie postmoderna di ribelle, quasi un personaggio antagonista rispetto al processo di omologazione della città. È peraltro noto - dice ancora Novolati - che «il flâneur, anche nei suoi comportamenti più originali e bizzarri, segnati dalla solitudine e dall'ozio, costituisce da sempre una figura provocatoria». Dunque, in questa tarda modernità, l'attitudine essenzialmente metropolitana nominata «flânerie» dai tempi della «Parigi capitale del XIX secolo», per quanto mutata all'altezza del presente, sarebbe tutt'altro che scomparsa, e il flâneur, per quanto irriconoscibile, si aggirerebbe ancora vivo e vegeto con il suo occhio graffiante nello spazio urbano (e, a quanto pare, anche in quello extraurbano). Certo, non si tratta più di quella figura messa in gioco da Baudelaire e scolpita in forma indimenticabile nelle pagine «baudelairiane» di Walter Benjamin: quel personaggio che attraversava con aria febbrile e con foga sacrale le strade, i quartieri, i «passages» e i nuovi boulevard parigini. Né il contesto è più il centro della città, il suo «cuore pulsante», luogo del «pellegrinaggio al feticcio della merce», come diceva Benjamin: il moderno flâneur (ma si potrebbe ormai nominarlo in un qualsiasi altro modo) non subisce più lo spaesamento della folla, ma semmai si immerge nel sociale e ha piuttosto di mira le strade di periferia, gli spazi più decentrati e marginali (e borderline), spesso punteggiati dai monumenti riciclati dell'archeologia industriale, dove oggi si produce e insieme si distorce la socialità della metropoli, si costruisce e al tempo stesso si disgrega e si consuma il nesso sociale.
Secondo Nuvolati, «lo sguardo del flâneur...ci aiuta a vedere la storia e i problemi sociali del nostro paese». Infatti, sotto questa curvatura, il moderno flâneur si presenta come una figura sociologicamente rilevante, tanto più che l'orizzonte del suo errare si allarga verso le prospettive della cosiddetta «società immateriale» (il viaggiare, il navigare in rete, il comunicare in permanenza), intese come apertura verso un continente dell'immaginazione sconfinato e impensabile fino a poco tempo fa. Un'immaginazione (appunto sociologica) che parrebbe dunque costituire attualmente un passaggio cruciale, tale da offrire a questo emblematico personaggio una possibile via d'uscita da quello slittamento verso l'omologazione già individuato da Benjamin. Insomma, il moderno flâneur - al contrario del suo celebre antenato ottocentesco - sembrerebbe capace di sottrarre il suo prezioso sguardo al pericolo di una caduta «al servizio della vendita», evitando che la sua intelligenza sia anch'essa un qualcosa che «si è recata al mercato» (ancora Benjamin) divenendo preda della fantasmagoria della merce. A parere di Nuvolati, «se, in passato, le passeggiate del flâneur avevano come meta principale i luoghi del consumo nel cuore della città, sucessivamente questo campo d'azione è andato decentrandosi alla ricerca di eventi e significati anche in anfratti urbani marginali. La città di oggi è senza mappa, è un'entità per certi versi paradossale: esiste pur senza essere rappresentabile, o viceversa è virtuale, dunque rappresentata pur senza esistere».
Tuttavia, forse, proprio l'esercizio dello sguardo rappresenta la più grande insidia per il moderno flâneur (come, infine, per chiunque persegua la destabilizzazione del conformismo visivo imperante in questa città «senza mappa»). Perchè lo sguardo, che tenta di frantumare percettivamente l'omologazione, è invece bersagliato dalla fantasmagoria del mercato finto-immateriale che adesso incombe in ogni dove; ed è al tempo stesso sottoposto alla minaccia rappresentata da quella sorta di gigantesco laboratorio di costruzione dell'immagine-merce che infiltra l'intero spazio metropolitano - meglio se «virtuale» - dove regna l'imperativo di irretire lo sguardo stesso nel perenne processo di auto-valorizzazione del valore.
In un simile spettacolo fantasmagorico, esaltato all'ennesima potenza proprio dalla dimensione virtuale, lo sguardo - reso ipertrofico dalla simbologia e dai segni allusivi, disseminati in ogni angolo e in ogni interstizio della città - è ridotto esso stesso al livello di una pura merce, vale a dire al rango di pura audience, questa merce impalpabile, invisibile (come lo è lo sguardo), inattingibile nel suo sfuggente travestitismo, e che paradossalmente si autoproduce in quanto tale. Tanto che si può forse dire che in questa fase della tarda modernità detta anche globalizzazione (cioè sussunzione capitalistica del globo terracqueo), anche il flâneur è servito.

il manifesto

2 commenti:

Anonimo ha detto...

leggere l'intero blog, pretty good

Anonimo ha detto...

good start