«Dobbiamo uccidere il libro per salvare i libri». Finirà così nell'era digitale?
Gutenberg è vivo e lotta insieme a noi. Ma sparsi per il mondo ci sono migliaia di lavoratori a ore impegnati a scannerizzare, pagina dopo pagina, intere biblioteche per Google. E tra 5 anni potrebbero aver finito
Nicola Bruno
Doveva essere la prima vittima illustre della rivoluzione digitale, ma il libro è ancora qui con noi, vivo e vegeto. Rispetto ad altri supporti (l'album per la musica, la pellicola per il cinema), l'avanzata dei bit non è riuscita del tutto a stravolgerne la natura di «insieme di fogli stampati o manoscritti, (...) numerati e cuciti insieme in modo da formare un volume, fornito di copertina» (De Mauro).
Nell'ultimo decennio in molti (soprattutto tra gli editori) hanno ingenuamente pensato che fosse solo una questione di hardware. Che bastasse, cioè, spingere sul mercato un gadget vagamente interattivo e portatile, su cui trasferire lo stesso prodotto affidato da secoli alla carta, per seppellire definitivamente Gutenberg. Niente di più sbagliato. Come per l'audio e i video online, anche qui il cambiamento dovrà passare per una risocializzazione delle pratiche di produzione e consumo. La direzione verso cui guardare è semmai quella del software, dove il David sociale sta definitivamente uccidendo il Golia della cultura istituzionalizzata.
Sparsi per il mondo ci sono migliaia di lavoratori a ore impegnati a scannerizzare, pagina dopo pagina, intere biblioteche per Google. L'Economist parla di 3000 volumi al giorno solo a Berkeley, contratti simili con altre 11 istituzioni. A voler fare un calcolo prudente, si tratta di oltre 10 milioni di libri all'anno. Di questo passo l'intera produzione mondiale, stimata intorno ai 65 milioni di opere, nel giro di un quinquennio sarà interamente digitalizzata. Non avrà le stanze esagonali della Biblioteca di Babele borgesiana, né si estenderà lungo la Via Lattea come l'Enciclopedia Galattica di Asimov, ma sarà a portata di clic di chiunque e da qualunque parte del mondo, in qualsiasi momento. Gli editori potranno aggirare gli impietosi colli di bottiglia della distribuzione tradizionale: niente ristampe e volumi al macero, il mercato sarà completamente on-demand. Seppur in scala molto ridotta, tutto ciò è già realtà: da qualche anno su Google Books è possibile effettuare ricerche all'interno dei libri, visualizzare anteprime, ordinare una copia o stamparla direttamente da casa. Mentre i colossi editoriali italiani nicchiano, piccole case come Meltemi e Apogeo hanno colto la palla al balzo, iniziando a offrire gran parte del loro catalogo online.
E questa è solo una faccia della medaglia. L'altra è rappresentata dal self-publishing, destinato a produrre effetti ancora più dirompenti. La tendenza è stata inaugurata da Lulu.com, ma sono già tanti i cloni (come Blurb o l'italiano Boopen) che permettono di pubblicare e vendere qualsiasi contenuto digitale in totale fai-da-te. Basta iscriversi, caricare la propria opera, scegliere il formato e la copertina, stabilire il prezzo di vendita, et voilà, il libro è in commercio. Con buona pace delle diseconomie di scala delle case editrici, il cui modello, come dice il fondatore di Lulu, Bob Young, funziona solo per l'Harry Potter di turno. Almeno fino a quando la Rowling non deciderà di ricorrere a servizi simili: il che non rappresenta una possibilità tanto remota. Un precedente già esiste e arriva dall'Italia con Giuseppe Genna (si veda qua sotto).
Tutto qui? Il libro online sarà quindi solo un upgrade in salsa digitale di quanto abbiamo avuto fino ad ora? Non proprio. In molti sono convinti che la vera rivoluzione deve ancora arrivare. «Dobbiamo uccidere il libro per salvare i libri», afferma lo studioso Jeff Jarvis, convinto oppositore delle definizioni dei media troppo legate al supporto: il giornalismo non è fatto di carta, ma di idee e informazioni veicolabili con qualsiasi mezzo. Lo stesso per i libri. C'è poi chi, come gli analisti del Future of the Book Institute, di New York, da tempo teorizza l'avvento del «networked book», ovvero «il libro come software sociale, un'esperienza intellettuale strutturata, un attrattore di idee reinventato in un'ecologia peer-to-peer».
Più che a Google Book o Amazon, si pensa a un modello potenziato di Wikipedia, in grado di far crepare la struttura bidimensionale della pagina e andare oltre l'interazione muta tra scrittori e lettori. E' il percorso indicato da un autore come Neal Stephenson o l'approccio dei blook, opere nate su un blog, terreno di contaminazione creativa dei più diversi generi e formati.
Niente foglie morte o prodotti surgelati all'origine, ma punti di presenza di un network organico in cui la conoscenza, anche quella narrativa, diventa produzione collettiva. Ma questa è già un'altra storia, in cui Gutenberg non potrà avere molta voce in capitolo.
(ilmanifesto.it)