Dove va il colosso web con i suoi 6,8 milioni di voci (di cui 1,7 milioni nella versione inglese), 250 lingue diverse di pubblicazione, tra i primi dieci siti più visitati del mondo
Carola Frediani
Dalle Hawaii a Oxford. L'ultimo successo di Wikipedia - l'ormai popolare enciclopedia online - è stato l'inclusione del termine «wiki» nel dizionario di Oxford. Nel viaggio dalle isole americane al vocabolario britannico, la parola ha mutato significato: se in origine significava «veloce» oggi indica un sito web aperto al contributo degli utenti, ovvero facilmente modificabile dai navigatori, che possono aggiornare, correggere o cancellare i suoi contenuti. A trasformare l'esotico vocabolo nella nuova parola d'ordine del web, a farne cioè una hit planetaria è stata ovviamente Wikipedia, la prima enciclopedia scritta e continuamente riscritta dai suoi lettori. Ma più che l'inclusione nel dizionario, a consacrare la modalità wikipediana di creare informazione sono state le parole di Grame Diamond, redattore dell'Oxford English Dictionary: «Si può dire che l'atteggiamento di apertura del nostro dizionario verso il contributo del pubblico e il desiderio di incorporare le segnalazioni dei lettori nel testo suggeriscano un ethos non dissimile da quello del wiki». Ecco chi ha dettato la linea negli ultimi sei anni.
L'ethos di Wikipedia è stato un fiume che ha travolto il mondo online, fertilizzando la cultura della partecipazione, e obbligando strutture accademiche tradizionali - come l'Enciclopedia Britannica - a scomodi confronti. Del resto basta guardare i numeri di questa colosso web: 6,8 milioni di voci (di cui 1,7 milioni nella versione inglese), 250 lingue diverse di pubblicazione, tra i primi dieci siti più visitati. E il tutto a disposizione gratuitamente, senza nemmeno la pubblicità: come si sia riusciti ad arrivare a tanto forse nemmeno il suo creatore Jimmy Wales, l'ex-trader convertitosi alla collaborazione online, sa davvero spiegarlo. Bisogna però dargli atto di aver mantenuto il progetto coerente: «Due anni dopo aver fondato Wikipedia, l'ho donata alla fondazione Wikimedia (l'organizzazione no-profit che gestisce l'enciclopedia, ndr) - ha dichiarato Wales al New Scientist - Penso sia stata la cosa più stupida e insieme più intelligente che abbia mai fatto. Stupida perché ritengo che valga circa 3 miliardi di dollari, e io tutti quei soldi non ce li ho! Ma anche intelligente perché non avrebbe riscosso lo stesso successo se non fosse stata costruita in questo modo».
E tuttavia, malgrado questo percorso in discesa, oggi non è un momento buono per la creatura di Wales, esposta sempre più spesso a critiche, attacchi ed errori che potrebbero obbligarla ad alcuni ripensamenti. E' vero che alcune di queste bordate sono dei tentativi parassitari di ottenere visibilità, come nel caso di Conservapedia, un progetto wiki per costruire un'enciclopedia politicamente conservatrice, alternativo alla troppo liberal Wikipedia. Ma alcune sono invece il risultato di nodi non risolti: ne sa qualcosa Larry Sanger, co-fondatore di questa enciclopedia online insieme a Wales, ma successivamente allontanatosi perché in disaccordo con l'eccessiva apertura di Wikipedia, con il suo giacobinismo partecipativo. Sanger ha deciso di buttare l'acqua sporca e di tenere il bambino: ovvero di creare un «compendio dei cittadini», riducendo però il rischio di errori e vandalismi nelle voci. Ecco quindi, il 25 marzo, debuttare Citizendium, che chiede agli utenti di rinunciare all'anonimato (contrariamente a quanto possibile su Wikipedia) e che si appoggia a un gruppo di accademici perché supervisionino gli articoli. L'obbligo di identificarsi dovrebbe accrescere - questo è il ragionamento - l'accuratezza del sito, oltre che incentivare la partecipazione di utenti colti e di specialisti.
Citizendium cerca indubbiamente di migliorare il prodotto della collaborazione online, anche se va a ritoccare il dogma egualitario su cui, in ultima analisi, si è fondato l'exploit di Wikipedia.
D'altra parte Wales&company sono ormai consapevoli della necessità di trovare delle soluzioni agli errori e ai vandalismi - per altro sempre ben evidenziati dalla stampa mainstream, sadicamente compiaciuta di poter cogliere in fallo i wikipediani. Il punto di crisi sembra essere stato l'episodio di Ryan Jordan, un giovane amministratore di Wikipedia che si spacciava per professore di teologia e che è stato smascherato dalla rivista New Yorker. Wales ha dovuto allontanarlo mentre una bufera di interrogativi si scatenava sulla comunità wikipediana, e sulle credenziali di chi occupa al suo interno ruoli di responsabilità. Anche se bisogna riconoscere che tanta severità è un po' sospetta. In fondo anche il New York Times ha avuto un redattore disonesto, che addirittura s'inventava gli articoli: vi ricordate di Jayson Blair? Il quale naturalmente, proprio come il redattore di Wikipedia, è stato licenziato. Ma nessuno si è sognato di mettere in dubbio la professionalità del quotidiano americano.
Il punto è però ancora un altro, e a metterlo in luce è Seth Finkelstein, programmatore, attivista web e inflessibile critico di Wikipedia: «La retorica sulla peer-production (produzione-collaborazione tra pari) spesso evoca un qualche tipo di processo alchemico - scrive sul Guardian - in cui l'azione collettiva misticamente trasforma la spazzatura in oro. (...) La realtà è molto più terra terra. Spesso, quel che viene ingenuamente scambiato per generazione spontanea è infatti il prodotto di un piccolo numero di persone che sono state indotte a fornire un'enorme mole di lavoro non pagato».
Il giudizio di Finkelstein, fin troppo duro, ha il merito di riportare la discussione sul valore (in tutti i sensi) della peer production e sulla sua collocazione in un sistema dominato dal mercato. Tanto più che il fenomeno wiki ha ormai sfondato nell'economia reale, vezzeggiato da aziende ed economisti che decantano le virtù della partecipazione delle masse internet in tutte le loro diverse declinazioni, dal crowdsourcing alla wikinomics. Mentre c'è tutto un mondo corporate che ha adottato gli strumenti wiki per migliorare la produttività: da Intelpedia di Intel a WikiCentral di Ibm, da Nokia a Sony, progetti e documenti aziendali sono sempre più spesso sviluppati in modalità collaborative. Di sicuro c'è che l'avanzata del wiki prosegue rapida come il suo nome.
freddy@totem.to
(ilmanifesto.it)
L'ethos di Wikipedia è stato un fiume che ha travolto il mondo online, fertilizzando la cultura della partecipazione, e obbligando strutture accademiche tradizionali - come l'Enciclopedia Britannica - a scomodi confronti. Del resto basta guardare i numeri di questa colosso web: 6,8 milioni di voci (di cui 1,7 milioni nella versione inglese), 250 lingue diverse di pubblicazione, tra i primi dieci siti più visitati. E il tutto a disposizione gratuitamente, senza nemmeno la pubblicità: come si sia riusciti ad arrivare a tanto forse nemmeno il suo creatore Jimmy Wales, l'ex-trader convertitosi alla collaborazione online, sa davvero spiegarlo. Bisogna però dargli atto di aver mantenuto il progetto coerente: «Due anni dopo aver fondato Wikipedia, l'ho donata alla fondazione Wikimedia (l'organizzazione no-profit che gestisce l'enciclopedia, ndr) - ha dichiarato Wales al New Scientist - Penso sia stata la cosa più stupida e insieme più intelligente che abbia mai fatto. Stupida perché ritengo che valga circa 3 miliardi di dollari, e io tutti quei soldi non ce li ho! Ma anche intelligente perché non avrebbe riscosso lo stesso successo se non fosse stata costruita in questo modo».
E tuttavia, malgrado questo percorso in discesa, oggi non è un momento buono per la creatura di Wales, esposta sempre più spesso a critiche, attacchi ed errori che potrebbero obbligarla ad alcuni ripensamenti. E' vero che alcune di queste bordate sono dei tentativi parassitari di ottenere visibilità, come nel caso di Conservapedia, un progetto wiki per costruire un'enciclopedia politicamente conservatrice, alternativo alla troppo liberal Wikipedia. Ma alcune sono invece il risultato di nodi non risolti: ne sa qualcosa Larry Sanger, co-fondatore di questa enciclopedia online insieme a Wales, ma successivamente allontanatosi perché in disaccordo con l'eccessiva apertura di Wikipedia, con il suo giacobinismo partecipativo. Sanger ha deciso di buttare l'acqua sporca e di tenere il bambino: ovvero di creare un «compendio dei cittadini», riducendo però il rischio di errori e vandalismi nelle voci. Ecco quindi, il 25 marzo, debuttare Citizendium, che chiede agli utenti di rinunciare all'anonimato (contrariamente a quanto possibile su Wikipedia) e che si appoggia a un gruppo di accademici perché supervisionino gli articoli. L'obbligo di identificarsi dovrebbe accrescere - questo è il ragionamento - l'accuratezza del sito, oltre che incentivare la partecipazione di utenti colti e di specialisti.
Citizendium cerca indubbiamente di migliorare il prodotto della collaborazione online, anche se va a ritoccare il dogma egualitario su cui, in ultima analisi, si è fondato l'exploit di Wikipedia.
D'altra parte Wales&company sono ormai consapevoli della necessità di trovare delle soluzioni agli errori e ai vandalismi - per altro sempre ben evidenziati dalla stampa mainstream, sadicamente compiaciuta di poter cogliere in fallo i wikipediani. Il punto di crisi sembra essere stato l'episodio di Ryan Jordan, un giovane amministratore di Wikipedia che si spacciava per professore di teologia e che è stato smascherato dalla rivista New Yorker. Wales ha dovuto allontanarlo mentre una bufera di interrogativi si scatenava sulla comunità wikipediana, e sulle credenziali di chi occupa al suo interno ruoli di responsabilità. Anche se bisogna riconoscere che tanta severità è un po' sospetta. In fondo anche il New York Times ha avuto un redattore disonesto, che addirittura s'inventava gli articoli: vi ricordate di Jayson Blair? Il quale naturalmente, proprio come il redattore di Wikipedia, è stato licenziato. Ma nessuno si è sognato di mettere in dubbio la professionalità del quotidiano americano.
Il punto è però ancora un altro, e a metterlo in luce è Seth Finkelstein, programmatore, attivista web e inflessibile critico di Wikipedia: «La retorica sulla peer-production (produzione-collaborazione tra pari) spesso evoca un qualche tipo di processo alchemico - scrive sul Guardian - in cui l'azione collettiva misticamente trasforma la spazzatura in oro. (...) La realtà è molto più terra terra. Spesso, quel che viene ingenuamente scambiato per generazione spontanea è infatti il prodotto di un piccolo numero di persone che sono state indotte a fornire un'enorme mole di lavoro non pagato».
Il giudizio di Finkelstein, fin troppo duro, ha il merito di riportare la discussione sul valore (in tutti i sensi) della peer production e sulla sua collocazione in un sistema dominato dal mercato. Tanto più che il fenomeno wiki ha ormai sfondato nell'economia reale, vezzeggiato da aziende ed economisti che decantano le virtù della partecipazione delle masse internet in tutte le loro diverse declinazioni, dal crowdsourcing alla wikinomics. Mentre c'è tutto un mondo corporate che ha adottato gli strumenti wiki per migliorare la produttività: da Intelpedia di Intel a WikiCentral di Ibm, da Nokia a Sony, progetti e documenti aziendali sono sempre più spesso sviluppati in modalità collaborative. Di sicuro c'è che l'avanzata del wiki prosegue rapida come il suo nome.
freddy@totem.to
(ilmanifesto.it)
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