di Gianni Rusconi
Un insieme di piccoli universi paralleli, di "rooms" (per ora) non comunicanti fra di loro ma dalle quali è possibile interagire con chicchessia collegato in Rete e trasmettere video dal sito di YouTube su televisori virtuali. Per chi non si accontenta c'è anche la possibilità di condividere virtualmente le proprie foto, sulla falsa riga di quanto avviene sui siti di social networking come Flickr.. La descrizione non riguarda un'evoluzione di Second Life bensì riassume i connotati principali di Lively, la nuova creatura tridimensionale di Google che al sito (a torto o a ragione) emblema del Web 2.0 fa chiaramente il verso. Come nelle isole di Second Life, ad animare la vita su Lively sono infatti gli avatar e a loro è demandato il compito di entrare in contatto con i membri della comunità, secondo specifiche e del tutto personali esigenze. Dove, sta, allora la novità di questo sito a cui ha contribuito in fase di sviluppo l'Università dell'Arizona? Nel fatto che - e a scriverlo sul blog ufficiale delle compagnia di Mountain View è stata Niniane Wang, l'ingegnere che ha supervisionato la realizzazione di Lively - "se entri in una stanza di Lively inserita nel tuo blog preferito o su un sito Web puoi immediatamente farti un'idea degli interessi del suo creatore, osservando semplicemente l'arredamento e il tipo di ambiente scelto". Il che significa portare ai massimi livelli possibili la possibilità di personalizzare il proprio spazio virtuale, di vivere (per gli utenti) l'esperienza del social network sfruttando l'account (user Id e password) con i quali si è già registrati all'universo dei servizi Google (come la posta elettronica Gmail per esempio)."Be who you want on the web pages you visit". Tradotto letteralmente suona più o meno così: "sii chi vuoi sulle pagine Web che visiti". Il titolo del post con il quale la Wang ha annunciato l'arrivo (in versione beta) di Lively è una perfetta sintesi di quelle che sono le finalità del servizio, che attualmente si può utilizzare (scaricando il programma da browser Internet Explorer e Firefox) solo su pc con sistema operativo Windows ma è certo o quasi (visti i presupposti) che girerà presto anche su macchine Linux e Mac). A differenza di Second Life, che di suo utilizza tecnologia Ibm, quello di Google non è unico un mondo virtuale ma tanti (le "room" per l'appunto), che vivono di vita propria. Il meccanismo di interazione con il proprio avatar è anch'esso innovativo e agli utenti è data la totale libertà di azione per guidarli (quanto efficacemente è tutto da verificare) in tutto e per tutto all'interno del proprio spicchio di mondo virtuale. Per la creazione della propria stanza, tutto – animazioni predefinite, template, oggetti virtuali – è fornito gratuitamente (per il momento) solo da Google. Lively è quindi un ambiente paradossalmente chiuso, sotto il profilo di chi ha sviluppato i contenuti disponibili nel catalogo, e solo in futuro, si dice, saranno aperti all'intervento di terze parti..Ma quel che preme a Google non è tanto l'attuale ricchezza di contenuti e di grafica che l'utente può trovare nelle stanze di Lively. Al gigante californiano interessa far passare il concetto che questo mondo non è per gli utenti una seconda vita ma una nuova componente della prima (di quella vissuta on line perlomeno). Lively non è una destinazione alternativa ma un modo, per chi sta sul Web, di creare un piccolo mondo virtuale per sé stesso e i suoi contatti (amici, colleghi e magari anche interlocutori d'affari). Un universo parallelo parziale, totalmente integrato con l'esperienza Internet classica, quella che porta gli utenti a condividere e scaricare foto e video in Rete. L'idea è in sostanza quello di creare un nuovo livello di social network, un nuovo anello di congiunzione fra contenuti digitali, strumenti del Web 2.0 (blog, wiki, widget disponibili su MySpace o Facebook) e strumenti di comunicazione tradizionale, come la posta elettronica. Chissà, si chiedono già in tanti, quanti cittadini (magari un po' delusi) di Second Life si arrederanno una stanza in Lively. A Mountain View, anche se nessuno lo dice, pensano saranno molti.
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