Dice la Padania: coinvolgere nella politica «innocenti e disinformati bambini» è «meschino e spregevole». Dice Berlusconi: «È inaccettabile strumentalizzare i bambini». Dice la Gelmini: «È vergognoso che si strumentalizzino i bambini». Ma se la pensano così (a ragione) per i piccoli portati nelle piazze «rosse», come possono tacere su quella scuola di Adro marchiata di simboli leghisti? Sia chiaro, quel sindaco del Carroccio non ha scoperto niente di nuovo. L'indottrinamento dei fanciulli è da sempre una fissa di chi pensa di avere la verità in tasca. Lo hanno fatto i comunisti coi giovani pionieri devoti a Peppone Stalin che correvano per casa annunciando la rivoluzione: «Budet revolucija!». Lo hanno fatto i fascisti coi balilla che a scuola studiavano che «gli italiani, siccome sono i più richiamati dalla Santa Provvidenza, hanno tredici comandamenti. I primi dieci della tavola di Mosè e poi c'è Credere, Obbedire, Combattere». Lo hanno fatto i nazisti partendo da quanto aveva scritto Hitler nel «Mein Kampf»: «Lo Stato razzista deve considerare il bambino come il bene più prezioso della nazione».
Per carità, ogni paragone tra la scuola di Adro e quelle in cui gli scolari intonavano «Heil Hitler! Sia lodato Gesù Cristo in eterno, amen», sarebbe una forzatura esagerata. La tragedia, è noto, si ripete spesso in farsa. Ma certo l'iniziativa di Oscar Lancini, il sindaco bossiano che ha tappezzato col marchio leghista del sole delle Alpi tutta la nuova scuola elementare, dai tavoli ai banchi, dai cestini dell'immondizia alle finestre, è una cosa sgradevolmente nuova perfino nel tormentone dell'uso e dell' abuso dei bambini nelle faccende della politica nostrana. Non c'è mai stato molto rispetto per i minori, dalle nostre parti. Basti ricordare i manifesti del Pci del 1946 con due fratellini che in mezzo a un campo di grano, mentre sventolano una bandiera rossa e una tricolore, invitavano a votare contro la monarchia. O i manifesti della DC. La bimba terrorizzata davanti ai cingoli d'un carro armato marchiato con falce martello. La mamma che protegge i figlioletti: «Madre! Salve i tuoi figli dal bolscevismo!». Il piccolo democristiano che esulta: «Mamma e papà votano per me». Lo scolaretto che tiene un comizio ai compagnucci: «E se papà e mamma non andranno a votare, noi faremo la pipì a letto!»
Né si può dire che le cose siano cambiate col passare degli anni. Lo ricorda una foto di bambini che sfilano per le vie di Milano nel ‘69 col fazzoletto rosso al collo e il “libretto rosso” in mano tra uno sventolio di bandiere dei marxisti leninisti. O l'immagine di una femminista «'n zacco alternativa» che nel 1975 tira a una manifestazione per l'aborto un carrettino dove due bimbe mostrano un cartello: «È più bello nascere se si è desiderati». O ancora la poesia letta in apertura di un congresso radicale da una «tesserata di quattro anni», Altea: «In un bel vaso di porcellana / era rinchiusa una bella cinesina / che danzava una danza americana / con il capitano della Marina. Ciao e buon congresso!» . Per non dire di quel maestro che alla periferia milanese spiegava ai bambini un alfabeto tutto suo (C come Castro, F come fucile, R come rivoluzione…) o delle processioni dei nostalgici alla tomba del Duce a Predappio con figli al seguito con fez e manganellino: «Tu levi la piccola mano, / con viso di luce irradiato. / Tu sei quel bambino italiano, / che il Duce a cavallo, ha incontrato. / Il Duce ti guarda, o innocenza. / Sull'erba, che sfiori, gli appare / la dolce e radiosa semenza…».
Si poteva sperare che cambiasse tutto con la seconda Repubblica? Magari! L'esordio, spettacolare, fu di Maria Pia Dell'Utri il giorno in cui spiegò come mai era nato a casa sua, per iniziativa a suo dire della figlioletta Araba, il primo «Baby club di Forza Italia»: «Mi ha detto: "Mamma, posso essere anch'io presidente di un club di Forza Italia per bambini?" E io: "Ma certo amore, è una splendida idea, chissà come sarà contento papà"». La bimba, spiegò la madre al giornale del quartiere ripreso da Concita de Gregorio, aveva «voluto uno striscione con scritto "Silvio facci sempre vedere i cartoni"» perché «i bambini temevano che se Berlusconi avesse perso le elezioni loro non avrebbero più avuto cartoni animati in tv».
Da allora, ne abbiamo viste, letteralmente, di tutti i colori. Neonati comunisti col pugnetto alzato per «il manifesto». Piccoli finiani (non ancora antiberlusconiani) in marcia contro i leghisti con le magliette che dicevano: «Io sono italiano». Giovanissimi crociati in calzamaglia o con strampalati costumi pseudo-celtici sui palchi dei comizi di Bossi. Devoti chierichetti al «family day». Famigliole felici e avanguardiste arruolate per i manifesti di Forza Nuova. Cuccioli di «black block» o «Tute Bianche» trascinati da babbi e mammine ai cortei alternativi. Tranne il «piccolo kamikaze coi candelottini alla cintura», non ci siamo fatti mancare niente. E ogni volta: scandalo! Da parte di chi, si capisce, stava sull'altro fronte. Indimenticabile un Maurizio Gasparri da antologia: «Trovo sgradevole l'uso dei bambini nelle manifestazioni. È sbagliato strumentalizzare e disinformare i bambini portandoli nei cortei. È una cosa gravissima e chi lo fa è un cattivo genitore». E con chi si fa fotografare al corteo del Family Day del 12 maggio? Con la sua figlioletta. Che porta al collo il badge con nome, cognome e partito di appartenenza: Alleanza Nazionale. Proprio perché questo è un tema che più di altri richiede coerenza, val la pena dunque di ricordare i giudizi della destra sui bambini portati in piazza un paio di anni fa contro Maria Stella Gelmini. «La marcia su Roma dei bambini», titolò scandalizzata la Padania, dedicando al tema altri titoli come «Che pena i bimbi in piazza». «E’ odioso vedere certi insegnanti e certi genitori, spesso senza aver letto una riga del decreto, sfruttare i bambini per la protesta», tuonò il segretario romagnolo della Lega Gianluca Pini. E via così, fino ai durissimi giudizi già ricordati del capo del governo e di Maria Stella Gelmini. La quale oggi pensa che la scelta di indottrinamento leghista della scuola di Adro sia «folklore». Ma va?
Gian Antonio Stella
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