Antonio Armano (Saturno - Il Fatto Quotidiano)
Festeggiamo i 150 anni dell’Unità passando, come dice David Gilmour (vedi intervista di Alessio Altichieri su The Pursuit of Italy), dall’anomalia Berlusconi all’eccezione Mario Monti: saremo mai un paese normale? Cambierà qualcosa o tutto cambia solo in apparenza come nella migliore tradizione trasformista e gattopardista? Guardando a ritroso: Tangentopoli e gli attentati a Falcone e Borsellino, quasi mezzo secolo di Dc senza alternanza, il terrorismo, il Fascismo… Dimentichiamo qualcosa: P2? Gladio? Bisogna tornare al Risorgimento per ritrovare l’orgoglio? In altre parole: di che ci stupiamo? Bè non è che – da destra a sinistra, da Francesco Perfetti ad Angelo d’Orsi passando per Emilio Gentile e Mario Isnenghi  – una visione così apocalittica sia accettata: «C’è da temere che un  libro come quello di Gilmour  abbia successo – dice Gentile, docente  alla Sapienza – sono luoghi comuni, cose dette e ridette. Non mi  stupisco che nessuno voglia pubblicarlo qui».
«Non soffro di un senso di anormalità. Anormalità rispetto a quale  modello?», dice Isnenghi, professore all’università di Venezia e autore  di Dieci lezioni sull’Italia contemporanea, in uscita per Donzelli.
Gentile contesta l’accusa di gattopardismo rivolta all’Italia a partire  dall’espressione stessa: «Sarebbe più corretto parlare di tancredismo, attribuire il trasformismo,  la volontà di cambiare tutto affinché nulla cambi, a Tancredi, nipote  del Gattopardo. Il Gattopardo, il Principe di Salina, è tutto tranne che  trasformista, è un disgraziato che si trova a vivere a cavallo di due  epoche. Il romanzo, la filosofia dell’autore, piuttosto è nichilista. Si  apre col ritrovamento del cadavere del soldato in giardino e si chiude  con la carcassa del cane Benedicò scagliata dalla finestra che si  trasforma in polvere. Purtroppo l’espressione gattopardismo si è  radicata anche se sbagliata ma non si può riferire al Principe di Salina  né al romanzo».
Perfetti, docente di storia alla Luiss e firma del “Giornale”, non ama  fare analisi di lungo periodo, accostamenti tra epoche e figure  distanti, preferisce concentrarsi su singoli momenti e vede aspetti  positivi nel berlusconismo (pur prendendo atto del fallimento):  «Berlusconi ha saputo convogliare l’antipolitica in  politica nel momento difficile di Tangentopoli. Ha ristabilito  l’alternanza al governo. Prima avevamo un situazione bloccata. Ha  rimesso in circolo i voti della destra missina che si  trovavano in frigo. L’aspetto negativo è stato entrare in politica anche  per interesse personale. Dobbiamo però distinguere. Tra il primo  governo Berlusconi e l’ultimo c’è una bella differenza. La componente  liberale che aveva dato la spinta e anche l’immagine, è stata  accantonata».
Per Angelo d’Orsi, docente di storia all’università di Torino, il  trasformismo in Italia è un fenomeno che riguarda gli intellettuali: «Giuliano Ferrara lo manderei in Siberia  visto che conosce la realtà russa, gli farebbe bene anche alla linea.  Lui è stato un campione nel giustificare qualsiasi cosa facesse  Berlusconi. E gran parte degli editorialisti del “Corriere”  hanno aspettato troppo per sganciarsi da Berlusconi. Hanno fatto anche  loro gli equilibristi: sì è vero in questo sbaglia però… Ernesto Loggia Delle Galline, ehm Galli Della Loggia, Piero Ostellino, Pigi Battista». L’idealtipo del rinnegato, dell’intellettuale passato da sinistra a destra (la direzione del trasformismo), per d’Orsi è Mussolini già direttore dell’“Avanti!”. Quotidiano finito nelle mani di Lavitola e che ora si pretende, in modo ridicolo, «di far rinascere affidandolo a Rino Formica!».
Su un punto tutti concordano: se esiste un’anomalia italiana, innegabile, congenita, strutturale, è il Vaticano.  Per Gentile, la presenza nel territorio italiano di una piccola città  dotata di una grande potere spirituale crea problemi per la laicità  dello stato. Ma invita a non fare troppa dietrologia: «Se pensassi che  dietro a ogni azione del governo sia possibile rintracciare un disegno  del Vaticano smetterei di fare questo mestiere. A che servirebbe? Il  Vaticano appoggia tutti i governi in carica. È ministeriale per  vocazione. Per un’ambiguità di fondo. Il Papa è anche capo di Stato».
Perfetti riconosce l’anomalia vaticana, rispetto alle democrazie di  stampo anglosassone ma anche a Francia e Spagna; e dice: «Il mondo  cattolico ha sempre appoggiato Berlusconi, a parte una frangia legata al  vecchio dossettismo. Poi, per reazione a certi comportamenti privati,  l’ha mollato. E pure per il liberismo selvaggio. Ora  credo che dopo la caduta del governo esista un disegno per ricreare la  democrazia cristiana, un blocco dei cattolici in politica che possa  esercitare almeno il ruolo di ago della bilancia».
Rincara la dose d’Orsi: «In questo governo si vede una forte impronta  vaticana, un progetto di egemonia cattolica, il tentativo di dettare  l’agenda politica. Non più soltanto un potere d’indirizzo. Da tempo le  dichiarazioni della Cei e del Papa sono quotidiane. Il Vaticano concede  appoggi in cambio di esenzioni e privilegi. Il finanziamento alla scuola  cattolica è uno scandalo. La vera anomalia italiana è questa. Ci  indigniamo tanto per quel che accade nei paesi islamici e non per quel  che succede in Italia. La religione deve tornare a essere un fatto  privato. Le gerarchie cattoliche hanno esitato a lungo prima di prendere  le distanze da Berlusconi, hanno aspettato che si muovessero prima  altri poteri forti. La Marcegaglia è stata più coraggiosa e dura del Papa».
Per quanto tutti attacchino Gilmour, la visione che emerge è piuttosto  desolante. Almeno nell’età moderna, Risorgimento a parte: «Nella mia  Storia d’Italia – dice Isnenghi – insegno a essere fieri del  Risorgimento. La Germania, che si viene formando in parallelo, non ha un  Mazzini o un Garibaldi. Dobbiamo vergognarci meno di noi stessi. Me la prendo con alcuni stereotipi. Come quello del paese da operetta. Siamo un paese tragico. Abbiamo avuto un regicidio, l’assassinio Matteotti,  piazzale Loreto…  Ecco, se una cosa si può dire di Berlusconi, è che ha fatto molto per  identificarci con lo stereotipo del paese da operetta. Con il  comportamento che ha tenuto all’estero soprattutto. Siamo diventati “il paese del cucù”…  In Italia si mescola l’elemento tragico e quello operettistico, pizza,  mandolino e stragi di mafia… Abbiamo intere regioni in mano alla  criminalità organizzata ma giudici che chiedono di essere mandati là per  combatterla. Io ragionerei in termini di dualismo, di conflitto, non di  normalità e anormalità. Normalità e anormalità rispetto a quale  modello?»
Per quanto esalti il Risorgimento, Isnenghi vede una costante storica nella figura del dittatore pro tempore, Garibaldi, Cadorna, il Duce,  Berlusconi. Un bisogno di affiliazione, di una figura forte e  affascinante da adorare. Tutto discende dal Papa. Poi diventa una  versione attualizzata del (Santo) padre: «Un padre giovane, con cui  andare al bar, all’osteria o al casino». Al casino in particolare.  Gentile invita infine a tenersi lontano dalle eccessive generalizzazioni  e lamentazioni: le anomalie toccano ogni paese e gli italiani sono  molto cambiati in 150 anni di storia. A non cambiare mai è la classe  politica: «Quando Obama incontra Napolitano penso che il nostro presidente era già in parlamento quando quello americano non era ancora nato».
 
 
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