Massimo Giannini  (La Repubblica)
 
Dall´«uomo dei sogni» all´«uomo dei miracoli»? Nessuno si era  illuso: il passaggio dal Venditore di Arcore al Professore della Bocconi  non poteva bastare a risolvere i guai dell´Italia. Ma ora che la  «dittatura dello spread» pesa sulla democrazia dei popoli, Monti non può  esitare: serve una svolta immediata, per uscire da questa crisi. La  tempesta finanziaria è globale. Squassa l´Europa. Non più solo i paesi  lassisti del Club Med: ormai persino la virtuosa Germania paga dazio,  come dimostra l´inaudito insuccesso dell´asta dei Bund disertata dagli  investitori internazionali (e soprattutto asiatici) in fuga dai titoli  dell´intera Eurozona.Ma l´Italia torna a  pagare il prezzo più alto. Il differenziale sul Btp a due anni è salito a  700 punti, il più alto da quando esiste l´euro. È un segnale  chiarissimo: i mercati cominciano a dubitare non più solo della  sostenibilità del debito a lungo periodo, ma anche di quello a breve. È  anche un costo elevatissimo: stavolta il Tesoro dovrà pagare agli  investitori un premio di rischio del 7,2% a scadenza biennale, e non  decennale.
C´è una destra, provinciale e irresponsabile, che ora si frega le mani.  Il manipolo degli «irriducibili» della ex maggioranza, Mibtel e spread  alla mano, sostiene che il problema «non era Berlusconi». È l´ennesimo  tentativo di mistificare la verità. L´«effetto Monti», sui mercati, c´è  stato eccome. Per una settimana, dal giorno dell´incarico al nuovo  premier domenica 13 novembre fino a domenica scorsa, i tassi di  interesse sui nostri titoli di Stato sono scesi stabilmente da circa 570  a poco meno di 480 punti base rispetto ai titoli tedeschi. Il solo  cambio di governo, dunque, è stato salutato positivamente dalla business  community. È la prova che il «teorema Roubini» non era affatto  sbagliato: la semplice uscita di scena del Cavaliere comporta per  l´Italia un risparmio secco di 100 punti base. La «Papi tax» è esistita,  insomma. E noi l´abbiamo pagata.
Ma ora c´è un problema. Negli ultimi tre giorni si è insinuato il dubbio  che il nuovo governo abbia scontato una partenza troppo lenta. Non solo  rispetto alle attese dei mercati e dell´opinione pubblica, che erano e  restano altissime. Ma anche rispetto alle urgenze dell´economia e della  finanza, che erano e diventano sempre più drammatiche. Il presidente del  Consiglio, nel suo discorso alle Camere sulla fiducia, è stato  impeccabile nella sua sobria fermezza, che è bastata a trasformare il  pollaio di Montecitorio nell´emiciclo di Westminster: «L´Europa vive i  giorni più difficili dal secondo dopoguerra… L´Italia vive una  situazione di seria emergenza… dobbiamo evitare che qualcuno ci  consideri l´anello debole dell´Europa… Il mio è un tentativo  difficilissimo: ma se sapremo superare i problemi, avremo l´occasione  per riscattare il Paese».
Da allora sono passati dieci giorni. Monti ha fatto al meglio tutto  quello che doveva. Prima di tutto la formazione del governo, con una  squadra di ministri scelti in un´élite tecnocratica di alta qualità. E  poi la «missione fiducia» nel consesso internazionale: l´altro ieri  l´Eurogruppo e l´incontro con Barroso e Van Rompuy, oggi il vertice  trilaterale con Merkel e Sarkozy. Una scelta felice, che in tre giorni  ha miracolosamente riportato l´Italia nell´unico luogo fisico e politico  nel quale deve stare e dal quale Berlusconi l´aveva inopinatamente  sradicata: l´Europa dei costituenti, dei paesi fondatori e della moneta  unica. I partner europei hanno apprezzato. Monti è stato accolto a  Palazzo Justus Lipsius non come un «battutista» che racconta  barzellette, ma come uno statista che torna a casa sua.
Ma i problemi italiani restano tutti, uguali se non più gravi di prima.  Questo lo sa il governo di Bruxelles. Barroso premette: «Non ci  aspettiamo miracoli», «il risanamento non è una corsa sprint, è una  maratona». Ma poi avverte: «La situazione italiana rimane  difficilissima», «il governo Monti ha di fronte a sé una responsabilità  storica e una sfida immensa». Questo lo sa anche il governo di Roma.  Giustamente il premier, anche se ripropone il tema della rivalutazione  del disavanzo in funzione del ciclo e degli investimenti, conferma  l´obiettivo del pareggio di bilancio nel 2013 Ma i giorni passano. E il  dubbio è che ci sia uno scarto tra la comunicazione, giustamente  allarmata, e l´azione, sorprendentemente misurata. Il primo Consiglio  dei ministri «operativo», lunedì scorso, ha prodotto solo il via libera  al decreto legislativo su Roma Capitale. Per quanto simbolico, un atto  che non marchierà a fuoco questo pericoloso tornante della storia  repubblicana. L´Agenda Monti, così come il premier l´ha illustrata nel  suo discorso programmatico, è già chiara nelle sue grandi linee. Dalla  reintroduzione di un´Ici progressiva in base al reddito alla correzione  delle pensioni d´anzianità. Dalla lotta all´evasione fiscale alla  riduzione del prelievo su famiglie e imprese. Dalla razionalizzazione  del mercato del lavoro alla riforma degli ammortizzatori sociali. Le  misure da varare sono sufficientemente note. Investono materie  socialmente sensibili. Il premier, oltre all´imperativo della crescita,  ha promesso rigore ed equità: stavolta «chi ha di più, dovrà dare di  più». Sarà misurato anche sul rispetto di questa irrinunciabile  promessa. È comprensibile che voglia calibrare gli interventi e comporli  in un disegno organico, nel quale la somministrazione dei sacrifici sia  accompagnata, per quanto possibile, dalla redistribuzione dei benefici.
La coesione politica impone prudenza. Il consenso sociale richiede  pazienza. Ma anche per Monti il «fattore tempo» sta diventando cruciale.  È il momento di accelerare, e di sfruttare la «luna di miele» che il  nuovo governo sta ancora vivendo con il Paese. Il presidente del  Consiglio ne è consapevole, come lo è il presidente della Repubblica.  Anche questa volta, i tempi della transizione italiana rischiano di non  coincidere con quelli della crisi internazionale. Sta a Monti colmare,  con la politica, anche questo deficit. Il Professore ha in tasca un  doppio, prezioso «dividendo»: la discontinuità e la credibilità. Non può  sprecarlo. Prima ancora dei mercati, non glielo perdonerebbero gli  italiani.
 
 
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