Monica Guerzoni (Corriere)
«È dal 1994 che siedo in Parlamento e non ho mai preso il doppio stipendio. Non ho fatto, come invece tanti miei colleghi, il deputato e al tempo stesso l’ avvocato, il notaio, il commercialista... E quel che mi dispiace è che in futuro non ci potrà essere un’ altra Giovanna Melandri, una ragazza come me che a 35 anni lascia un lavoro da economista in Montedison e decide di servire il suo Paese». Melandri, ovvero l’ orgoglio del politico di professione. Ora che è «fuori dalla sala macchine del Pd» l’ ex ministro non ha paura di dire cose che potrebbero non piacere all’ opinione pubblica, o almeno a quella parte dell’ opinione pubblica che vede i parlamentari come il simbolo di vizi e privilegi italiani. Lei, che di certo è fortunata e non lo nega, contesta la «logica» con cui Fini e Schifani stanno riformando gli emolumenti di deputati e senatori: «Berlinguer e Fanfani erano d’ accordo sulla nozione di vitalizio e anche io penso che quel concetto non sia sbagliato. Non ho da recriminare nulla, ma ho paura di quel che resterà sotto le macerie del populismo. Mettere insieme una rappresentatività di giovani sarà sempre più difficile». Oggi l’ Ufficio di presidenza di Montecitorio e Palazzo Madama darà il via libera alla riforma dei vitalizi e ad altri tagli che alleggeriranno le buste paga dei parlamentari. E la Melandri non è d’ accordo: «In futuro potrà candidarsi solo chi ha un notabilato sociale alle spalle, oppure ha un altro mestiere e continuerà a esercitarlo durante il mandato di deputato o senatore». Ministro della Cultura con D’ Alema e Amato, responsabile dello Sport con Prodi e poi, nel 2008, ministro (ombra) della Comunicazione nel governo (ombra) di Veltroni, la Melandri è nata a New York il 28 gennaio del 1962. Due giorni fa ha compiuto 50 anni, il che vuol dire che con le vecchie regole avrebbe già maturato il diritto a una sostanziosa pensione. Mentre ora? «La prenderò fra dieci anni, nel 2022». Una ventina di deputati hanno presentato ricorso e giovedì il presidente del Consiglio di giurisdizione della Camera, Giuseppe Consolo, aprirà la cassaforte con i nomi. Ce ne sono di noti, onorevoli ancora in carica ed ex deputati di un certo calibro. E a Montecitorio molti sospettano che ci sia anche il suo. È così, onorevole? «No, io non ho fatto ricorso, anche perché una delibera formale ancora non c’ è. Quando ci sarà, eventualmente...». Allora è vero, ci sta pensando? «Gli estremi ci sarebbero e non solo per i contributi già versati. Non mi piace l’ idea del forcone contro i politici e la logica in cui stiamo entrando». Farà ricorso o no? «Non lo farò perché non si tratta di un caso personale, ma di una questione politica - e qui la voce tradisce una nota di rimpianto -. Devono essere i partiti, a cominciare dal mio, a capire che entreranno in Parlamento solo i ricchi e i professionisti con 740 cospicui, oppure persone che durante il mandato dovranno occuparsi di quel che faranno dopo». Ce l’ ha con chi approfitta dello scranno per piazzarsi in qualche azienda pubblica? «Non voglio dire che dovranno per forza essere corrotti, ma c’ è il rischio che mentre si sta in Parlamento si pensi solo alla rielezione o a come ricollocarsi dopo». Viva i politici di professione? «Non dico che bisogna esserlo per forza, ma ritengo grave che un deputato vada a lavorare nel suo studio di avvocato o notaio. Se uno fa il parlamentare, non dovrebbe esercitare nessun’ altra professione. Arriverà il momento, tra qualche anno, in cui bisognerà ripensare le scelte di questi giorni». Tra qualche anno, quando il vento dell’ antipolitica avrà smesso di soffiare così forte? «Il populismo nasce dall’ inefficienza del processo parlamentare, ma io penso che ci siano tante forme per rendere più efficace il processo legislativo e ridurre i costi, ad esempio tagliando il numero dei parlamentari». Perché non si può cominciare dai vostri stipendi e vitalizi, visti i sacrifici chiesti ai cittadini? «Va bene, invece di darci 5000 euro di pensione a cinquant’ anni potrebbero darcene la metà, ma eliminare i vitalizi no. Io non sono d’ accordo».] Melandri: vitalizi, tagli sbagliati io lasciai il lavoro per la politica
ROMA - «È dal 1994 che siedo in Parlamento e non ho mai preso il doppio stipendio. Non ho fatto, come invece tanti miei colleghi, il deputato e al tempo stesso l' avvocato, il notaio, il commercialista... E quel che mi dispiace è che in futuro non ci potrà essere un' altra Giovanna Melandri, una ragazza come me che a 35 anni lascia un lavoro da economista in Montedison e decide di servire il suo Paese». Melandri, ovvero l' orgoglio del politico di professione. Ora che è «fuori dalla sala macchine del Pd» l' ex ministro non ha paura di dire cose che potrebbero non piacere all' opinione pubblica, o almeno a quella parte dell' opinione pubblica che vede i parlamentari come il simbolo di vizi e privilegi italiani. Lei, che di certo è fortunata e non lo nega, contesta la «logica» con cui Fini e Schifani stanno riformando gli emolumenti di deputati e senatori: «Berlinguer e Fanfani erano d' accordo sulla nozione di vitalizio e anche io penso che quel concetto non sia sbagliato. Non ho da recriminare nulla, ma ho paura di quel che resterà sotto le macerie del populismo. Mettere insieme una rappresentatività di giovani sarà sempre più difficile». Oggi l' Ufficio di presidenza di Montecitorio e Palazzo Madama darà il via libera alla riforma dei vitalizi e ad altri tagli che alleggeriranno le buste paga dei parlamentari. E la Melandri non è d' accordo: «In futuro potrà candidarsi solo chi ha un notabilato sociale alle spalle, oppure ha un altro mestiere e continuerà a esercitarlo durante il mandato di deputato o senatore». Ministro della Cultura con D' Alema e Amato, responsabile dello Sport con Prodi e poi, nel 2008, ministro (ombra) della Comunicazione nel governo (ombra) di Veltroni, la Melandri è nata a New York il 28 gennaio del 1962. Due giorni fa ha compiuto 50 anni, il che vuol dire che con le vecchie regole avrebbe già maturato il diritto a una sostanziosa pensione. Mentre ora? «La prenderò fra dieci anni, nel 2022». Una ventina di deputati hanno presentato ricorso e giovedì il presidente del Consiglio di giurisdizione della Camera, Giuseppe Consolo, aprirà la cassaforte con i nomi. Ce ne sono di noti, onorevoli ancora in carica ed ex deputati di un certo calibro. E a Montecitorio molti sospettano che ci sia anche il suo. È così, onorevole? «No, io non ho fatto ricorso, anche perché una delibera formale ancora non c' è. Quando ci sarà, eventualmente...». Allora è vero, ci sta pensando? «Gli estremi ci sarebbero e non solo per i contributi già versati. Non mi piace l' idea del forcone contro i politici e la logica in cui stiamo entrando». Farà ricorso o no? «Non lo farò perché non si tratta di un caso personale, ma di una questione politica - e qui la voce tradisce una nota di rimpianto -. Devono essere i partiti, a cominciare dal mio, a capire che entreranno in Parlamento solo i ricchi e i professionisti con 740 cospicui, oppure persone che durante il mandato dovranno occuparsi di quel che faranno dopo». Ce l' ha con chi approfitta dello scranno per piazzarsi in qualche azienda pubblica? «Non voglio dire che dovranno per forza essere corrotti, ma c' è il rischio che mentre si sta in Parlamento si pensi solo alla rielezione o a come ricollocarsi dopo». Viva i politici di professione? «Non dico che bisogna esserlo per forza, ma ritengo grave che un deputato vada a lavorare nel suo studio di avvocato o notaio. Se uno fa il parlamentare, non dovrebbe esercitare nessun' altra professione. Arriverà il momento, tra qualche anno, in cui bisognerà ripensare le scelte di questi giorni». Tra qualche anno, quando il vento dell' antipolitica avrà smesso di soffiare così forte? «Il populismo nasce dall' inefficienza del processo parlamentare, ma io penso che ci siano tante forme per rendere più efficace il processo legislativo e ridurre i costi, ad esempio tagliando il numero dei parlamentari». Perché non si può cominciare dai vostri stipendi e vitalizi, visti i sacrifici chiesti ai cittadini? «Va bene, invece di darci 5000 euro di pensione a cinquant' anni potrebbero darcene la metà, ma eliminare i vitalizi no. Io non sono d' accordo».
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