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23.4.13

Applausi in aula in cambio di una strigliata che ognuno pensa sia per il suo rivale

Leader e «peones» fanno finta di ignorare che le accuse li riguardano. Non tutti: «Ci ha fatto un mazzo a quadretti»

Gian Antonio Stella (Corriere)

«Siete stati sordi». E loro applaudono. «Inconcludenti». E si spellano le mani. «Irresponsabili». E vanno in delirio. Pare quasi una seduta di autocoscienza psichiatrica quella d'insediamento di Giorgio Napolitano. Passata la sbronza correntizia finita in rissa, proprio quelli che hanno fatto arrabbiare il nonno saggio non si accontentano di ascoltare la ramanzina in silenzio. A capo chino.

Ma accolgono ogni ceffone in faccia, guancia destra e guancia sinistra, come se fosse rivolto ad altri. Chi? Altri. Ma quali altri? Boh... Mai e poi mai a loro.
«Ci ha fatto un mazzo a quadretti e come grandi elettori ce lo meritavamo», riconoscerà con onesto imbarazzo il governatore ligure Claudio Burlando: «Ci ha detto che siamo stati a trastullarci di votazione in votazione anziché trovare un'intesa nell'interesse del Paese. Tanto più in un momento che per il Paese è drammatico». «La cosa divertente è che ho visto battergli le mani», ride Felice Casson, «colleghi che nei giorni scorsi hanno fatto l'esatto contrario di quello che il Presidente ci raccomanda». «E che domani hanno intenzione di restare esattamente inchiodati là dove stavano ieri», rincara Claudio Bressa.

Ugo Sposetti invita a non chiamare «Anonima Sicari» i franchi tiratori: «In passato hanno consentito di bocciare alcune candidature sbagliate per far passare uomini come Sandro Pertini o Oscar Luigi Scalfaro». A proposito, ha votato per Marini e poi per Prodi? «Il voto è segreto, lo dice la Costituzione». Ma se il partito aveva deciso... «Come: per alzata di mano?» Il senatore democratico Andrea Marcucci lo rivendica: «Dopo le campagne diffamatorie degli ultimi giorni oggi riaffermiamo l'orgoglio di aver votato Napolitano e non gli altri candidati in gara».

Manco il tempo di sfollare verso le uscite ed ecco «il giovane turco» Matteo Orfini interpretare già a modo suo il monito del presidente: «Un discorso perfetto, ineccepibile che chiede un'assunzione di responsabilità da parte di tutti per un accordo comune di governo». Però... Però «è importante che il sostegno arrivi da parte delle tre principali forze politiche. Se non c'è il MoVimento 5 Stelle cambia tutto e io sono contrario a un patto politico tra Pd e Pdl». Quindi? «Il voto di fiducia è un voto di coscienza, non c'è disciplina di partito... Se sono contrario voto contro». Poco più in là il deputato grillino Giorgio Girgis Sorial butta lì: «L'ultima volta che ho sentito un discorso così era quando in Egitto si è insediato Morsi».
Avrebbe potuto scommetterci prima ancora di scendere sotto la pioggia dal Quirinale verso Montecitorio, Napolitano, di essere destinato a ricevere inchini e baciamano, elogi e salamelecchi, senza però riuscire a scalfire la scorza di tanti. Troppo duro, lo scontro dei giorni scorsi. Troppo profonde le fratture. Troppo calloso l'odio personale che ormai divide le diverse fazioni dello stesso Pd. L'aveva messo in conto. Come aveva messo in conto il diluvio di applausi trasversali indispensabili a coprire pudicamente certe fratture.

Ed eccolo là, l'anziano Re Giorgio, che sale a fatica, senza neppure provarci a mostrare un'elasticità giovanile che non ha più, le scalette che portano alla presidenza. Perché mai dovrebbe rassicurare l'Aula sulla sua salute? Al contrario, raccolta l'ovazione di tutti con l'eccezione dei pentastellati che si alzano in segno di rispetto ma salvo eccezioni non battono le mani manco per cortesia, spiega le sue perplessità davanti a questo secondo mandato anche per «ragioni strettamente personali, legate all'ovvio dato dell'età». Come a dire: mi avete costretto voi, a restare. E lui ha dovuto accettare per il «senso antico e radicato d'identificazione con le sorti del Paese». (Sottinteso: «Che molti di voi non hanno»).

Ciò precisato, comincia a rinfacciare ai presenti «una lunga serie di omissioni e di guasti, di chiusure e di irresponsabilità». E li bacchetta per non avere dato risposte alle «esigenze fondate e domande pressanti di riforma delle istituzioni e di rinnovamento della politica e dei partiti» facendo «prevalere contrapposizioni, lentezze, esitazioni circa le scelte da compiere, calcoli di convenienza, tatticismi e strumentalismi».
Tanto da svuotare, accusa, «quel tanto di correttivo e innovativo che si riusciva a fare nel senso della riduzione dei costi della politica, della trasparenza e della moralità nella vita pubblica» col risultato che alla fine «l'insoddisfazione e la protesta sono state con facilità, ma anche con molta leggerezza, alimentate e ingigantite da campagne di opinione demolitorie e da rappresentazioni unilaterali e indiscriminate in senso distruttivo del mondo dei politici, delle organizzazioni e delle istituzioni in cui essi si muovono». Ed ecco che, muti e silenti sotto i ceffoni sui ritardi nei tagli e le riforme, esplodono tutti nell'applauso liberatorio: ooh, finalmente gliele canta a chi accusa la politica di aver dato solo delle sforbiciatine!

Ed è lì che Napolitano esce dal discorso scritto e ferma l'entusiasta battimani: «Attenzione: il vostro applauso a quest'ultimo richiamo che ho sentito di dover esprimere non induca ad alcuna autoindulgenza». E vabbé, meglio che niente: e vai con nuovi applausi!

Pier Luigi Bersani, tradito prima dal risultato elettorale che si era illuso di avere in qualche modo già acquisito quando parlava del suo «squadrone» e poi tradito dai compagni di partito prima nelle sue disastrose aperture ai pentastellati e poi nelle votazioni per il Colle, se ne sta lì, deluso e cupo, il gomito piantato sul banco, il mento appoggiato nel cavo della mano. Dirà poi che «Napolitano ha detto quel che doveva dire, con un discorso di una efficacia eccezionale». Ma lo sa che, quando il Presidente ricorda che «piaccia o non piaccia, occorre fare i conti con la realtà delle forze in campo nel Parlamento da poco eletto», parla anche di lui.

Sull'altro fronte, Silvio Berlusconi sprizza allegria. Sette anni fa, dopo la prima elezione di «Re Giorgio», le cronache raccontarono che aveva raccomandato ai suoi: «Mi raccomando. Composti. Come fosse un funerale». E successivamente non aveva fatto mancare le sue riserve. Come quando, in una manifestazione a Vicenza, urlò che le elezioni erano state «taroccate» e che le sinistre avevano occupato tutte le istituzioni: «Il presidente della Repubblica è uno di loro, così come i presidenti di Camera e Senato, la Corte costituzionale...». Quando il Colle rifiutò di firmare il decreto su Eluana andò oltre: «Vi ho visto tutta la cupezza di un armamentario culturale figlio di una stagione che non è ancora tramontata».

Tutto cambiato, oggi. Tanto da spingere il Cavaliere, compiaciuto del discorso di insediamento dove il capo dello Stato «ha invitato a buttare a mare la parola inciucio perché la politica è fatta di compromessi e collaborazione e la realtà comporta la necessità di superare le distanze», ad ammiccare: «Ho pregato le mie parlamentari per oggi di cambiare l'inno del Pdl in "meno male che Giorgio c'è"».

E come potrebbe non essere allegro Pier Ferdinando Casini? «Ora chi è andato a chiedergli di rimanere, chi lo ha pressato per fare ciò che non voleva, ha il dovere morale di fare subito un governo. Altrimenti siamo nel regno dei buffoni». Bella sfida. Ce la faranno?

1.2.12

Melandri: vitalizi, tagli sbagliati io lasciai il lavoro per la politica

Monica Guerzoni (Corriere)

«È dal 1994 che siedo in Parlamento e non ho mai preso il doppio stipendio. Non ho fatto, come invece tanti miei colleghi, il deputato e al tempo stesso l’ avvocato, il notaio, il commercialista... E quel che mi dispiace è che in futuro non ci potrà essere un’ altra Giovanna Melandri, una ragazza come me che a 35 anni lascia un lavoro da economista in Montedison e decide di servire il suo Paese». Melandri, ovvero l’ orgoglio del politico di professione. Ora che è «fuori dalla sala macchine del Pd» l’ ex ministro non ha paura di dire cose che potrebbero non piacere all’ opinione pubblica, o almeno a quella parte dell’ opinione pubblica che vede i parlamentari come il simbolo di vizi e privilegi italiani. Lei, che di certo è fortunata e non lo nega, contesta la «logica» con cui Fini e Schifani stanno riformando gli emolumenti di deputati e senatori: «Berlinguer e Fanfani erano d’ accordo sulla nozione di vitalizio e anche io penso che quel concetto non sia sbagliato. Non ho da recriminare nulla, ma ho paura di quel che resterà sotto le macerie del populismo. Mettere insieme una rappresentatività di giovani sarà sempre più difficile». Oggi l’ Ufficio di presidenza di Montecitorio e Palazzo Madama darà il via libera alla riforma dei vitalizi e ad altri tagli che alleggeriranno le buste paga dei parlamentari. E la Melandri non è d’ accordo: «In futuro potrà candidarsi solo chi ha un notabilato sociale alle spalle, oppure ha un altro mestiere e continuerà a esercitarlo durante il mandato di deputato o senatore». Ministro della Cultura con D’ Alema e Amato, responsabile dello Sport con Prodi e poi, nel 2008, ministro (ombra) della Comunicazione nel governo (ombra) di Veltroni, la Melandri è nata a New York il 28 gennaio del 1962. Due giorni fa ha compiuto 50 anni, il che vuol dire che con le vecchie regole avrebbe già maturato il diritto a una sostanziosa pensione. Mentre ora? «La prenderò fra dieci anni, nel 2022». Una ventina di deputati hanno presentato ricorso e giovedì il presidente del Consiglio di giurisdizione della Camera, Giuseppe Consolo, aprirà la cassaforte con i nomi. Ce ne sono di noti, onorevoli ancora in carica ed ex deputati di un certo calibro. E a Montecitorio molti sospettano che ci sia anche il suo. È così, onorevole? «No, io non ho fatto ricorso, anche perché una delibera formale ancora non c’ è. Quando ci sarà, eventualmente...». Allora è vero, ci sta pensando? «Gli estremi ci sarebbero e non solo per i contributi già versati. Non mi piace l’ idea del forcone contro i politici e la logica in cui stiamo entrando». Farà ricorso o no? «Non lo farò perché non si tratta di un caso personale, ma di una questione politica - e qui la voce tradisce una nota di rimpianto -. Devono essere i partiti, a cominciare dal mio, a capire che entreranno in Parlamento solo i ricchi e i professionisti con 740 cospicui, oppure persone che durante il mandato dovranno occuparsi di quel che faranno dopo». Ce l’ ha con chi approfitta dello scranno per piazzarsi in qualche azienda pubblica? «Non voglio dire che dovranno per forza essere corrotti, ma c’ è il rischio che mentre si sta in Parlamento si pensi solo alla rielezione o a come ricollocarsi dopo». Viva i politici di professione? «Non dico che bisogna esserlo per forza, ma ritengo grave che un deputato vada a lavorare nel suo studio di avvocato o notaio. Se uno fa il parlamentare, non dovrebbe esercitare nessun’ altra professione. Arriverà il momento, tra qualche anno, in cui bisognerà ripensare le scelte di questi giorni». Tra qualche anno, quando il vento dell’ antipolitica avrà smesso di soffiare così forte? «Il populismo nasce dall’ inefficienza del processo parlamentare, ma io penso che ci siano tante forme per rendere più efficace il processo legislativo e ridurre i costi, ad esempio tagliando il numero dei parlamentari». Perché non si può cominciare dai vostri stipendi e vitalizi, visti i sacrifici chiesti ai cittadini? «Va bene, invece di darci 5000 euro di pensione a cinquant’ anni potrebbero darcene la metà, ma eliminare i vitalizi no. Io non sono d’ accordo».] Melandri: vitalizi, tagli sbagliati io lasciai il lavoro per la politica

ROMA - «È dal 1994 che siedo in Parlamento e non ho mai preso il doppio stipendio. Non ho fatto, come invece tanti miei colleghi, il deputato e al tempo stesso l' avvocato, il notaio, il commercialista... E quel che mi dispiace è che in futuro non ci potrà essere un' altra Giovanna Melandri, una ragazza come me che a 35 anni lascia un lavoro da economista in Montedison e decide di servire il suo Paese». Melandri, ovvero l' orgoglio del politico di professione. Ora che è «fuori dalla sala macchine del Pd» l' ex ministro non ha paura di dire cose che potrebbero non piacere all' opinione pubblica, o almeno a quella parte dell' opinione pubblica che vede i parlamentari come il simbolo di vizi e privilegi italiani. Lei, che di certo è fortunata e non lo nega, contesta la «logica» con cui Fini e Schifani stanno riformando gli emolumenti di deputati e senatori: «Berlinguer e Fanfani erano d' accordo sulla nozione di vitalizio e anche io penso che quel concetto non sia sbagliato. Non ho da recriminare nulla, ma ho paura di quel che resterà sotto le macerie del populismo. Mettere insieme una rappresentatività di giovani sarà sempre più difficile». Oggi l' Ufficio di presidenza di Montecitorio e Palazzo Madama darà il via libera alla riforma dei vitalizi e ad altri tagli che alleggeriranno le buste paga dei parlamentari. E la Melandri non è d' accordo: «In futuro potrà candidarsi solo chi ha un notabilato sociale alle spalle, oppure ha un altro mestiere e continuerà a esercitarlo durante il mandato di deputato o senatore». Ministro della Cultura con D' Alema e Amato, responsabile dello Sport con Prodi e poi, nel 2008, ministro (ombra) della Comunicazione nel governo (ombra) di Veltroni, la Melandri è nata a New York il 28 gennaio del 1962. Due giorni fa ha compiuto 50 anni, il che vuol dire che con le vecchie regole avrebbe già maturato il diritto a una sostanziosa pensione. Mentre ora? «La prenderò fra dieci anni, nel 2022». Una ventina di deputati hanno presentato ricorso e giovedì il presidente del Consiglio di giurisdizione della Camera, Giuseppe Consolo, aprirà la cassaforte con i nomi. Ce ne sono di noti, onorevoli ancora in carica ed ex deputati di un certo calibro. E a Montecitorio molti sospettano che ci sia anche il suo. È così, onorevole? «No, io non ho fatto ricorso, anche perché una delibera formale ancora non c' è. Quando ci sarà, eventualmente...». Allora è vero, ci sta pensando? «Gli estremi ci sarebbero e non solo per i contributi già versati. Non mi piace l' idea del forcone contro i politici e la logica in cui stiamo entrando». Farà ricorso o no? «Non lo farò perché non si tratta di un caso personale, ma di una questione politica - e qui la voce tradisce una nota di rimpianto -. Devono essere i partiti, a cominciare dal mio, a capire che entreranno in Parlamento solo i ricchi e i professionisti con 740 cospicui, oppure persone che durante il mandato dovranno occuparsi di quel che faranno dopo». Ce l' ha con chi approfitta dello scranno per piazzarsi in qualche azienda pubblica? «Non voglio dire che dovranno per forza essere corrotti, ma c' è il rischio che mentre si sta in Parlamento si pensi solo alla rielezione o a come ricollocarsi dopo». Viva i politici di professione? «Non dico che bisogna esserlo per forza, ma ritengo grave che un deputato vada a lavorare nel suo studio di avvocato o notaio. Se uno fa il parlamentare, non dovrebbe esercitare nessun' altra professione. Arriverà il momento, tra qualche anno, in cui bisognerà ripensare le scelte di questi giorni». Tra qualche anno, quando il vento dell' antipolitica avrà smesso di soffiare così forte? «Il populismo nasce dall' inefficienza del processo parlamentare, ma io penso che ci siano tante forme per rendere più efficace il processo legislativo e ridurre i costi, ad esempio tagliando il numero dei parlamentari». Perché non si può cominciare dai vostri stipendi e vitalizi, visti i sacrifici chiesti ai cittadini? «Va bene, invece di darci 5000 euro di pensione a cinquant' anni potrebbero darcene la metà, ma eliminare i vitalizi no. Io non sono d' accordo».

15.11.11

Parlamentari e manager, lo specchio dei privilegi. Ricche baby pensioni, maturate per un giorno di lavoro e senza cumulo

 da Siciliainformazioni


Baby pensionati
( nome cognome, classe,  ramo, pensione lorda annuale -  mensile - al giorno, ente)

Mauro SANTINELLI 1947 telefonia 1.173.205,15 - 90.246,55 -  3.258,90  INPS
Mauro GAMBARO 1944 finanza 665.083,64 - 51.160,28 - 1.847,45  INPS
Alberto DE PETRIS 1943 telefonia 653.567,20 - 50.274,40 - 1.815,46  INPDAI
Germano FANELLI 1948 elettronica 600.747,68 - 46.211,36 - 1.668,74  INPS
Vito GAMBERALE 1944 telefonia 574.102,23 - 44.161,71 - 1.594,72  INPS
Alberto GIORDANO 1941 finanza 549.193,74 - 42.245,67 - 1.525,53 INPS
Federico IMBERT 1951 finanza 539.775,62 - 41.521,20 - 1.499,37  INPS
Giovanni CONSORTE 1948 finanza 372.000,00 - 28.593,00 - 1.033,33  INPS
Ivano SACCHETTI 1944 finanza 371.000,00 - 28.560,00 - 1.030,55  INPS
Ernesto PAOLILLO 1946 finanza 342.000,00 - 26.327,00 -  950,00 INPS


PENSIONE PER 1 GIORNO DI LAVORO

nome cognome attività svolta per pensione/mese lorda ente

Luca BONESCHI parlamentare 1 giorno 3.108,00 Camera
Piero CRAVERI parlamentare 8 giorni 3.108,00 Senato
Angelo PEZZANA parlamentare 8 giorni 3.108,00 Camera
Toni NEGRI parlamentare 64 giorni 3.108,00 Camera
Paolo PRODI parlamentare 126 giorni 3.108,00 Camera
Clemente MASTELLA giornalista 397 giorni (?) INPGI
Oscar Luigi SCALFARO magistrato 3 anni 7.796,85 INPDAP


(nome cognome attività svolta in pensione a pensione/mese lorda ente)


Manuela MARRONE in BOSSI insegnante 39 anni 766,37 INPDAP
Giuseppe GAMBALE parlamentare 42 anni 8.455,00 Camera
Antonio DI PIETRO magistrato 44 anni 2.644,57 Inpdap
Rainer Stefano MASERA banchiere 44 anni 18.413,00 INPS
Pier Domenico GALLO banchiere 45 anni 18.000,00 INPS
Rino PISCITELLI parlamentare 47 anni 7.959,00 Camera
Pier Carmelo RUSSO assessore Sicilia 47 anni 10.980,00 Regione Sicilia
Mario SARCINELLI banchiere 48 anni 15.000,00 INPS
Alfonso PECORARO SCANIO parlamentare 49 anni 8.836,00 Camera
Vittorio SGARBI parlamentare 54 anni 8.455,00 Camera

3 PENSIONI SENZA LIMITI DI CUMULO
nome cognome pensioni/mese lorde ente
Romano PRODI
4.246,00 INPDAP
4.725,00 Parlamento
5.283,00 Unione Europea

2 PENSIONI SENZA LIMITI DI CUMULO
nome cognome pensioni/mese lorde ente
Luciano VIOLANTE
7.317,00 INPDAP
9.363,00 Camera
Publio FIORI
16.000,00 INPDAP
10.631,00 Camera

2 PENSIONI E UNO STIPENDIO SENZA LIMITI DI CUMULO
nome cognome
pensioni/mese lorde +
stipendio lordo
ente
Giuliano AMATO
22.048,00 INPDAP
9.363,00 Parlamento
(?) stipendio di Deutsche Bank
Lamberto DINI
18.000,00 Bankitalia
7.000,00 INPS
19.053,75 stipendio da parlamentare
Carlo Azelio CIAMPI
30.000,00 Bankitalia
4.000,00 INPS
19.053,75 stipendio da parlamentare
Giulio ANDREOTTI
5.823,00 INPDAP
5.086,00 INPGI
19.053,75 stipendio da parlamentare

1 PENSIONE E UNO STIPENDIO SENZA LIMITI DI CUMULO
nome cognome
pensione/mese lorda +
stipendio lordo
ente
Renato BRUNETTA
4.352,00 INPDAP
19.053,75 stipendio da parlamentare
Giuseppe FIORONI
2.008,00 INPDAP
19.053,75 stipendio da parlamentare
Rocco BUTTIGLIONE
5.498,00 INPDAP
19.053,00 stipendio da parlamentare
Achille SERRA
22.451,00 INPDAP
19.053,75 stipendio da parlamentare
Mario DRAGHI
14.843,00 INPDAP
37.500,00 stipendio Bankitalia
Cesare GERONZI
22.037,00 INPS
417.500,00 stipendio Ass. Generali