8.6.13

Emmanuel Carrère: lotte di carta

di
 
A forza di raccontare le vite degli altri Emmanuel Carrère è diventato protagonista della scena letteraria degli ultimi tempi, non solo in Francia. A dire il vero il suo viso incredibile – un po’ caratterista del cinema francese, un po’ mafioso russo – spunta sempre tra le pagine dei suoi libri che oscillano tra la biografia e autobiografia, romanzo e saggio. Un territorio narrativo nuovo e personalissimo. Prendiamo Vite che non sono la mia, appena ristampato da Einaudi, come ultimo giro di tango con un autore ormai passato ad Adelphi. Carrère racconta la storia di una giovane madre morta di tumore e quella di una bambina uccisa dallo tsunami. Tutte e due si chiamano Juliette. Una faceva il giudice ed era la cognata di Carrère. L’altra stava passando le vacanze di Natale in Sri Lanka dove si trovava lo scrittore. In Italia il libro non ha venduto molto, in Francia sì. È stato con Limonov, edito da Adelphi, che Carrère ha fatto il botto anche qui. Einaudi si è lasciata scappare l’autore dopo avere creduto in lui a lungo pubblicando cinque titoli a partire dal 1996. Come mollare il marito prima che vinca al Superenalotto. Capita. Il libro è l’imponderabile per definizione. Ecco: anche in Limonov, dietro alla biografia dello scrittore e politico russo mix tra il Che, Henry Miller e Casaleggio – c’è sempre Carrère e il suo impagabile sguardo. Ci si potrebbe vedere una beffa: costruendo una meravigliosa struttura narrativa a partire dai romanzi autobiografici di Limonov, Carrère ha raccontato Limonov meglio di lui stesso. E con più successo.
Figlio di una sovietologa che ha previsto il crollo dell’Urss – seppure per dinamiche diverse da quelle che si sono verificate – nipote di un esule georgiano ucciso nel ‘44 in Francia perché aveva fatto da interprete ai tedeschi, Carrère ha un’attrazione fatale per quel mondo. Ma non rinuncia a guardarlo con gli occhi impietosi oltre che incantati che riserva a ogni soggetto. Mi chiedo se in Italia, dove gli editori sono terrorizzati dalle querele e gli scrittori piegati al politicamente corretto, i suoi esperimenti narrativi sarebbero passati. In Vite che non sono la mia un collega di Juliette, Étienne, giudice militante per la causa delle famiglie indebitate, racconta la sera prima di subire un’amputazione alla gamba. Aveva vent’anni e prima di vedere la fidanzatina è andato in una sauna gay e non ricorda più quel che ha fatto. Con Ena Marchi, editor di riferimento in Adelphi per Carrère, si concorda su un pregio di questo scrittore inclassificabile. Pur essendo sperimentale ha una grande semplicità e fluidità: “I suoi libri sono dei page-turner”. Insomma: non rompe mai i coglioni al lettore. Adelphi ha appena dato alle stampe uno dei titoli più belli di Carrère: L’Avversario. È la storia vera di Jean-Claude Romand che ha sterminato la famiglia – i genitori, la moglie e due figli – quando stava per essere smascherato: diceva di essere ricercatore a Ginevra ma non era neanche laureato e sottraeva soldi a parenti e conoscenti promettendo di portarli in Svizzera. Cosa faceva quando “andava a lavorare”? Passeggiava nei boschi, leggeva i giornali. Un pazzo vero che non mentiva per scopi criminali ma per mantenere una facciata borghese.
Nel momento di gloria Carrère che sta combinando? Ha comprato casa a Patmos, in Grecia, e lì lavora al prossimo romanzo. Su cosa? Dove va a parare quando inizia un libro, questo scrittore così disinvolto da far sembrare facili le più ardite operazioni narrative, forse non lo sa manco lui.

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