di Antonio Armano
  
A forza di raccontare le vite degli altri Emmanuel Carrère è diventato protagonista  della scena letteraria degli ultimi tempi, non solo in Francia. A dire  il vero il suo viso incredibile – un po’ caratterista del cinema  francese, un po’ mafioso russo – spunta sempre tra le pagine dei suoi  libri che oscillano tra la biografia e autobiografia, romanzo e saggio.  Un territorio narrativo nuovo e personalissimo. Prendiamo Vite che non sono la mia, appena ristampato da Einaudi,  come ultimo giro di tango con un autore ormai passato ad Adelphi.  Carrère racconta la storia di una giovane madre morta di tumore e quella  di una bambina uccisa dallo tsunami. Tutte e due si chiamano Juliette. Una faceva il giudice ed era la cognata di Carrère. L’altra stava passando le vacanze di Natale in Sri Lanka dove si trovava lo scrittore. In Italia il libro non ha venduto molto, in Francia sì. È stato con Limonov,  edito da Adelphi, che Carrère ha fatto il botto anche qui. Einaudi si è  lasciata scappare l’autore dopo avere creduto in lui a lungo  pubblicando cinque titoli a partire dal 1996. Come mollare il marito  prima che vinca al Superenalotto. Capita. Il libro è l’imponderabile per  definizione. Ecco: anche in Limonov, dietro alla biografia dello  scrittore e politico russo mix tra il Che, Henry Miller e Casaleggio –  c’è sempre Carrère e il suo impagabile sguardo. Ci si potrebbe vedere  una beffa: costruendo una meravigliosa struttura narrativa a partire dai  romanzi autobiografici di Limonov, Carrère ha raccontato Limonov meglio  di lui stesso. E con più successo.
Figlio di una sovietologa che  ha previsto il crollo dell’Urss – seppure per dinamiche diverse da  quelle che si sono verificate – nipote di un esule georgiano ucciso nel  ‘44 in Francia perché aveva fatto da interprete ai tedeschi, Carrère ha  un’attrazione fatale per quel mondo. Ma non rinuncia a guardarlo con gli  occhi impietosi oltre che incantati che riserva a ogni soggetto. Mi  chiedo se in Italia, dove gli editori sono terrorizzati  dalle querele e gli scrittori piegati al politicamente corretto, i suoi  esperimenti narrativi sarebbero passati. In Vite che non sono la mia un  collega di Juliette, Étienne, giudice militante per la causa delle famiglie indebitate, racconta la sera prima di subire un’amputazione alla gamba. Aveva vent’anni e prima di vedere la fidanzatina è andato in una sauna gay e  non ricorda più quel che ha fatto. Con Ena Marchi, editor di  riferimento in Adelphi per Carrère, si concorda su un pregio di questo  scrittore inclassificabile. Pur essendo sperimentale ha una grande  semplicità e fluidità: “I suoi libri sono dei page-turner”. Insomma: non  rompe mai i coglioni al lettore. Adelphi ha appena dato alle stampe uno  dei titoli più belli di Carrère: L’Avversario. È la storia  vera di Jean-Claude Romand che ha sterminato la famiglia – i genitori,  la moglie e due figli – quando stava per essere smascherato: diceva di  essere ricercatore a Ginevra ma non era neanche  laureato e sottraeva soldi a parenti e conoscenti promettendo di  portarli in Svizzera. Cosa faceva quando “andava a lavorare”?  Passeggiava nei boschi, leggeva i giornali. Un pazzo vero che non  mentiva per scopi criminali ma per mantenere una facciata borghese.
Nel momento di gloria Carrère che sta combinando? Ha comprato casa a Patmos, in Grecia,  e lì lavora al prossimo romanzo. Su cosa? Dove va a parare quando  inizia un libro, questo scrittore così disinvolto da far sembrare facili  le più ardite operazioni narrative, forse non lo sa manco lui.
 
 
Nessun commento:
Posta un commento