Giorgio Meletti (Il Fatto Quotidiano)
IN NOME DELL’ITALIANITÀ BERLUSCONI FECE SALTARE L’AFFARE COI FRANCESI. ECCO I RISULTATI DEI “CAPITANI CORAGGIOSI”.
Rieccoci al capolinea. Pare che l’Alitalia sia in crisi nera. Il fatto è che lo è almeno da un quarto di secolo, da quella calda estate del 1988 in cui il presidente dell’Iri Romano Prodi cacciò Umberto Nor-dio, storico padre-padrone della compagnia di bandiera, accusandolo di pigrizia nella ricerca di alleanze internazionali. In questi 25 anni l’unico settore del trasporto aereo che ha potuto razionalizzare e ottimizzare è quello della stampa specializzata, in grado di ripubblicare sempre lo stesso articolo, scritto chissà quando e da chi, senza rischiare l’errore grossolano.
IL MONDO è cambiato, l’Alitalia no. Il trasporto aereo ha avuto un boom che rimarrà nei libri di storia, l’Alitalia è sempre più piccola. Gli italiani volano low cost, i piloti italiani pilotano low cost, e la politica italiana continua a coccolarsi l’immortale fabbrica di debiti come se fosse un tesoro irrinunciabile. Come se i cugini francesi fossero sempre in agguato per strapparci questa gioia chiamata, con retorica novecentesca, “compagnia di bandiera”. E così la storia si ripete. Nella primavera del 2008 l’Air France se la stava prendendo con debiti e tutto, imponendo 2.000 esuberi. Apriti cielo. I sindacati, storici complici nella gestione allegra a base di assunzioni clientelari, si misero di traverso. Silvio Berlusconi ne approfittò per issare la bandiera elettorale della “italianità” da difendere. Il capo di Air France, Jean Ciryl Spinetta, disse al premier Prodi (ancora lui) che non si fidava di firmare un contratto che il suo prevedibile successore a Palazzo Chigi avrebbe fatto saltare. Il salvataggio orchestrato per B. dal numero uno di Intesa Sanpaolo, Corrado Passera, è un capolavoro da studiare in tutte le facoltà di economia.
Gli esuberi sono passati da 2.000 a 3.200 ufficiali, in realtà molto di più perché quanti fossero veramente i lavoratori Alitalia non si è mai capito di preciso, tanti erano i precari e gli stagionali. Fondendo l’Alitalia con l’Air One sono stati imbarcati circa 14 mila dipendenti, non più di due terzi dei lavoratori effettivi. Sono stati lasciati a terra 850 piloti, un terzo del totale, professionalità che erano costate a tutti i contribuenti anni di addestramento. Il debito di circa 4 miliardi, che Spinetta era pronto ad accollarsi, è rimasto sul groppone dello Stato, affidato al liquidatore Augusto Fantozzi, oggi alle prese con i successori che resistono alla corresponsione degli augusti onorari pretesi. Migliaia di dipendenti Alitalia sono andati in cassa integrazione, allungata con apposita legge fino a sette anni, a spese di Pantalone.
Gli unici che ci hanno guadagnato sono i cosiddetti “patrioti”, che hanno risposto all’appello di Passera e hanno messo insieme 850 milioni per far ripartire la nuova Alitalia sull’onda del mitico “piano Fenice”. La crema dell’imprenditoria italiana, capitanata da Roberto Colaninno, lo scalatore di Telecom Italia. Alcuni sono finiti male prima della nuova Alitalia, come Salvatore Ligresti e Emilio Riva, arrestati. E questi due, come tutti gli altri, hanno buttato i loro soldi sapendo che la gratitudine del capo del governo non avrebbe mancato di manifestarsi. Qualche esempio? La famiglia Benetton poteva farsi riconoscere sontuosi aumenti nelle tariffe autostradali di Atlantia; l’allora presidente di Confindustria Emma Marcegaglia pochi mesi dopo avrebbe portato a casa a canone vile le strutture turistiche della Maddalena realizzate per il G8; lo stesso Riva aveva in ballo una complicata Autorizzazione integrata ambientale per l’Ilva di Taranto, andata a buon fine.
È FINITA come doveva. Guardate chi sono oggi i principali azionisti dell’Alitalia moribonda che si sta consegnando senza condizioni agli emiri di Etihad. Al primo posto c’è, con il 20,59 per cento, Intesa Sanpaolo. Al secondo posto ci sono le Poste Italiane, con il 19,48 per cento: il numero uno Massimo Sarmi si è precipitato a buttare 75 milioni pubblici per fare la respirazione bocca a bocca al carrozzone dei patrioti, sperando di guadagnarsi meriti governativi in vista delle nomine di primavera, e senza calcolare che l’Alitalia non porta bene, e no lo ha fatto né a lui né al governo che ha cercato di toglierla alle grinfie francesi per “trattare da posizioni di forza” (di cui riferisce Daniele Martini nella pagina a fianco).
AL TERZO POSTO c’è Unicredit, con il 13 per cento: anche la seconda banca italiana ha finanziato i patrioti, e c’è rimasta impigliata. Il capo di Unicredit, Federico Ghizzoni, potrà ringraziare Passera, che nel 2008 versò lieto il suo obolo di 100 milioni in conto capitale, perché allora si teorizzava la “banca paese”, una specie di dépendance del governo Berlusconi. Passera ci credeva: “Abbiamo investito 100 milioni di euro in Alitalia, contribuendo a salvare 14 mila posti di lavoro. Era un’azienda praticamente fallita e noi pensavamo che, com’è avvenuto, potesse essere ristrutturata”.
Ecco come l’hanno ristrutturata. Anno 2009, 326 milioni di perdita; 2010, 160 milioni di rosso; 2011, 69 milioni in fumo. Rocco Sabelli, ex braccio destro di Colaninno prima alla Tim poi alla Piaggio, ripeteva più o meno tutte le settimane che il pareggio dei conti era in vista, bastava aspettare. A un certo punto se n’è andato, senza mai dire perché. Al suo posto fu pescato un certo Andrea Ragnetti, manager di esperienza internazionale, proveniente dalla Philips dove si era messo in luce proponendo all’austera multinazionale olandese il lancio del vibratore di marca. Ragnetti ha fatto danni nel solo 2012, chiuso con una perdita di 280 milioni per la quale è stato accompagnato alla porta con una buonuscita di un milione di euro. Niente in confronto al trattamento dei manager dell’era pubblica, come Giancarlo Cimoli e Francesco Mengozzi, oggi a processo per “bancarotta per dissipazione”, che se non altro rende l’idea.
Al posto di Ragnetti è arrivato Gabriele Del Torchio, che continua a parlare di imminente rilancio , come se niente fosse. Intanto nel 2013 ha incassato una perdita vicina ai 500 milioni. Fatte le somme dei numeri qui elencati, l’Alitalia dei Patrioti – con flotta e mercato quasi regalati, senza un euro di debiti e con il personale ben alleggerito – ha prodotto in cinque anni 1,3 miliardi di perdite, pari a 700 mila euro al giorno, pari a 30 mila euro l’ora, pari a poco meno di 500 euro al minuto. I vecchi boiardi della Partecipazioni statali in confronto erano geniali e onesti.
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