20.6.14

La prova del dna non è infallibile

Le cose non sono semplici come nei telefilm, e ci sono stati già molti casi di errori. Un’analisi sul caso Gambirasio

L’abbiamo pensato tutti: la svolta del caso Yara Gambirasio sembra una puntata di Csi. Il dna di interi paesi schedato, riesumazioni di cadaveri, la scoperta di figli nati fuori dal matrimonio, fino a giungere all’identità del sospettato. Nella tragedia, un trionfo di investigazione scientifica. Ma l’esame del dna è veramente infallibile?

Il dna profiling, o impronta digitale genetica, è ormai adulto: è stato inventato quasi esattamente 30 anni fa. Ci sono varie tecniche di profiling, e la ricerca continua: alcuni studi addirittura iniziano a poter ricostruire un volto a partire da campioni di dna. La maggior parte dei test comunque si concentra su particolari sequenze di dna chiamate microsatelliti. Sono zone (nel gergo dei genetisti si chiamano loci) del genoma in cui si ripete molte volte una stessa sequenza di due-cinque lettere del dna: per esempio GAGAGAGAGAGA… Le sequenze in sé non hanno un ruolo importante: quello che conta è che la lunghezza di queste zone monotone cambia in modo casuale da individuo a individuo. L’Fbi utilizza per il dna profiling tredici loci del nostro genoma, dove si concentrano i microsatelliti – contando che ciascuno di noi ha due copie del genoma in ogni cellula, abbiamo un totale di 26 microsatelliti. Mettendo insieme le lunghezze dei microsatelliti di ciascuna zona si ottiene una serie di numeri -il profilo di dna – in teoria altamente specifico per ogni individuo.

La probabilità che due profili di dna coincidano per puro caso, in teoria, va da 1 su 100 miliardi a 1 su 10mila miliardi, a seconda del test. Da qui la sua fama di bacchetta magica e inconfutabile. Purtroppo tra la teoria e la pratica c’è un abisso. L’anno scorso fino a 800 casi di stupro risolti grazie al dna, negli Usa, sono stati messi in discussione a causa dell’errore di una singola tecnica di laboratorio. Altre indagini hanno rivelato, sempre in Usa, che molti laboratori di dna profiling sono di scarsissimo livello, con personale poco o nulla specializzato. Alcuni addirittura falsificavano risultati (ahinoi, accade ovunque).

Anche facendo le cose per bene e onestamente, l’incertezza del fattore umano è inevitabile. La lettura dei microsatelliti non è sempre perfettamente precisa, e a volte profili simili (ma diversi) possono sembrare identici. I campioni in teoria dovrebbero essere incontaminati, ma ovviamente non sempre lo sono. Per esempio il dna della vittima può contaminare quello del criminale, creando un profilo ibrido, o un tecnico può accidentalmente inquinare un campione con uno analizzato poco prima. Ci sono casi più bizzarri, come quello del fantasma di Heilbronn, dove una stessa misteriosa assassina sembrava coinvolta in 40 casi in mezza Europa, a giudicare dal dna. Ma non c’era nessuna serial killer: erano i tamponi usati per raccogliere il dna a essere giunti contaminati dalla fabbrica. Molto spesso inoltre la qualità dei campioni sul luogo del delitto è troppo bassa per ottenere un profilo completo, e bisogna affidarsi a un profilo parziale -e quindi più soggetto a errori. Nel 2002 hanno messo alla prova vari laboratori di dna profiling, trovando che la percentuale di errori era molto alta: in più di 1 caso su 100, campioni che non corrispondevano sono stati considerati uguali, o viceversa. Altri test in passato hanno trovato match fasulli addirittura nel 7% dei casi!

Da questi scandali sono passati molti anni, ma qual è oggi è la percentuale di errore reale? Difficilissimo dirlo, visto che dipende dal laboratorio, dal personale, dalla qualità dei campioni e dei database, e di molti altri fattori: ma di sicuro non è di una su vari miliardi. Possiamo stimare una forbice da 1 errore su 1000 a 1 su qualche milione. Attenzione però: questa non è la probabilità di aver sbagliato colpevole (nel qual caso sarebbe comunque un test eccezionale): è solo la probabilità di trovare due profili corrispondenti. È molto facile fare confusione tra le due cose, e infatti questa cantonata ha un nome: prosecutor’s fallacy, o fallacia dell’accusatore. Le chances di aver azzeccato il colpevole possono essere molte di meno.

Come mai? Mettiamo che il nostro laboratorio sia così perfetto da trovare una coincidenza sbagliata solo in un caso su un milione. Giustamente fieri, analizziamo una banca dati del dna di tutti gli italiani, che sono circa 60 milioni, a caccia del colpevole. Quanti match troviamo? Ne troveremo uno vero: ma ne troviamo anche uno falso ogni milione: quindi circa 60. A questo punto il test del dna non ci dice affatto quale sia il vero colpevole. Se restringessimo il campo a soli 500mila sospettati – diciamo una città come Bologna- troveremmo comunque un match fasullo nel 50% dei casi – e quindi inchioderemmo un vero colpevole solo in un caso su due.

Non è solo teoria: nel periodo 2001-2006, nel Regno Unito, le ricerche effettuate nelle banche dati di profili del dna davano, da dati ufficiali, un risultato ambiguo nel 27,6% dei casi -e infatti i casi di persone arrestate per sbaglio sulla base del solo test del dna si sprecano. Altro che impronta infallibile. Nel caso di Yara Gambirasio il match iniziale inoltre era solo parziale (nonostante siano state confrontate 18mila persone), con il sospettato che è stato incastrato solo dopo una rocambolesca ricerca dei parenti. Questo tipo di indagini familiari a ritroso che partono da campioni di migliaia di persone non è una novità, ma è considerato particolarmente vulnerabile a errori statistici.

In realtà il test del dna è importante, ma solo se considerato insieme a tutti gli altri indizi. Nel caso dell’omicidio Gambirasio, ci sono altre circostanze che hanno portato all’arresto: la presenza vicino al luogo del delitto proprio il giorno dell’omicidio, per esempio, e il fatto che il sospettato sia un muratore, come l’assassino, secondo numerose tracce. Tutto questo se verificato rende più plausibile che il match del dna non sia una coincidenza: quante persone con lo stesso profilo del DNA sono coerenti anche con il resto dello scenario del delitto? Ma di nuovo, sono solo probabilità che si accumulano, non marchi d’infamia definitivi. Prima di cantare vittoria come ha fatto incautamente il ministro dell’Interno Angelino Alfano, meglio aspettare il processo.