16.2.16

All’origine dell’ira

Che cosa sono gli scoppi di collera? Si tratta di qualcosa anticamente finalizzato alla nostra sicurezza che oggi può addirittura metterla a repentaglio. Perché? Perché il cervello si è formato per dare risposte rapide a situazioni pericolose, non per essere logico. Perciò non sempre distinguiamo bene e male

di Leonardo Boncinelli (Corriere)

Quando ero piccolo mio padre inveiva spesso contro i mercanti di armi — «di cannoni», diceva lui — che riteneva essere all’origine di tutte le guerre. A quell’epoca io non avevo la più pallida idea di che cosa fosse la biologia — l’ho scoperta solo a 25 anni! — e ancora meno la biologia del comportamento, ma la faccenda non mi quadrava affatto. Mi pareva semplicistica, antistorica e poco aderente all’osservazione della ordinaria microconflittualità quotidiana di tutti contro tutti, suscettibile di alcuni improvvisi incredibili inasprimenti. A parte il fatto che non esiste alcun fenomeno che abbia un’unica causa, sarebbe stato opportuno, pensavo, chiedersi se la conflittualità tra individui non avesse anche una qualche base biologica, oltre che storica.
A metà gennaio la rivista «Science» ha pubblicato una recensione del libro Why we snap , cioè «Perché scattiamo. Comprendere il circuito della collera nel nostro cervello» di R. Douglas Fields (Dutton, 2015). In questa lunga recensione, Pascal Wallisch, psicologo dell’Università di New York, tocca molti dei temi connessi all’argomento, a partire dalla nostra cosiddetta razionalità e dalla nostra scarsa linearità di comportamento. Lo studio delle dinamiche economiche assume che queste vedano come attore principale un essere umano dotato di specifiche qualità, che è stato convenzionalmente definito homo oeconomicus . La caratteristica fondamentale di costui o di costei è quella di agire sempre razionalmente e lucidamente, in modo da massimizzare il proprio guadagno, tenendo conto delle condizioni in cui si trova a operare. Si tratta ovviamente di una idealizzazione — come quelle di un moto in assenza di attrito, di gas ideale e di corpo solido — utile per impostare un’analisi dei processi economici che si osservano nelle varie situazioni.
Le neuroscienze ci hanno insegnato però negli ultimi trent’anni che nessuno di noi si può comportare così in ogni situazione, non solo in pratica, ma nemmeno in teoria. Perché? Perché ciascuno di noi possiede una sorta di «razionalità limitata», limitata per almeno due ragioni. Perché, anche se fosse perfetta, la nostra razionalità dovrebbe sempre fare i conti con l’interferenza del nostro onnipresente universo emotivo, e soprattutto perché la razionalità di ciascuno di noi è gravemente imperfetta e mostra specifiche «falle», vere e proprie «illusioni cognitive», che ci inducono spesso a fare scelte sbagliate, soprattutto, va detto, se si deve decidere in fretta e in condizioni di stress.
Tanto per giocare, sottoponetevi a questo semplice problemino, abbastanza noto e di cui s’è già scritto su «la Lettura». Un tifoso compra insieme una felpa e un distintivo della propria squadra preferita. Per comprare le due cose, spende 110 euro. Se la felpa è costata 100 euro più del distintivo, quanto è costato il distintivo? Provate a rispondere e vedrete che molti di voi daranno una risposta sbagliata, non perché siate stupidi, ma perché il nostro cervello funziona bene soltanto fino a un certo punto, a meno che non lo si metta alla frusta. Cosa che spesso non si fa e che è, per esempio, all’origine del fatto che le cose costino 4,99 euro invece che 5. E questi non sono che alcuni esempi elementari.
Colui che ha il merito principale di avere scoperto queste sorprendenti proprietà del nostro cervello, Daniel Kahneman, ha ottenuto un premio Nobel per la sua scoperta. L’andamento dell’economia mondiale degli ultimi anni, d’altra parte, ha messo drammaticamente a nudo quanto difettosi, oltre che improvvidamente emotivi, siano i ragionamenti di cui sono capaci anche i migliori operatori di mercato. Considerazioni del genere sono ormai all’ordine del giorno e ne è anche nata una nuova scienza, la neuroeconomia.
Ma qual è il motivo per cui il ragionamento degli individui ha tutte queste defaillance ? La risposta è semplice. Quando il nostro cervello si è formato e perfezionato non esistevano partite di scacchi, indovinelli logici o agenti delle assicurazioni, mentre esisteva un enorme numero di situazioni pericolose dove era richiesta una pronta valutazione delle condizioni ambientali e una decisione molto spedita. La nostra mente doveva essere veloce a valutare, e capace di decisioni tempestive, piuttosto che logicamente ineccepibili. Noi abbiamo ereditato un cervello di questo tipo e quello usiamo anche oggi che le condizioni esterne sono tanto diverse. Ci vorranno millenni, se ci saranno, perché quello cambi e ci dobbiamo arrangiare con ciò che abbiamo, ovvero un buon compromesso fra prontezza e rigore. Il fatto poi che possediamo una matematica e perfino una logica, una disciplina nata anzi praticamente adulta già venticinque secoli fa, deriva dal fatto che non esiste al mondo un unico individuo, ma una moltitudine di persone che, agendo collettivamente, riescono a sopperire ai difetti logici di ciascuno di noi.
Se si vogliono veramente comprendere molte delle nostre caratteristiche occorre spesso mettere la questione in prospettiva e considerarla da un punto di vista evoluzionistico, anche se con le dovute cautele.
Lo stesso vale per i nostri inopinati scatti di collera, per le nostre ostilità, sorde o conclamate, e la nostra perdurante e logorante conflittualità sociale. Negarlo serve solamente a impedirci di comprendere e magari porre rimedio, perché comprendere è sempre necessario anche per poter cambiare le cose e renderle più in linea con i nostri desideri. Non basta desiderarlo, sperarlo o prometterlo, come fanno molto spesso i promettitori di professione, iperbolici reclamizzatori del nulla.
Anche per quanto riguarda gli scoppi d’ira, rari fortunatamente, ma talvolta disastrosi e spesso memorabili anche per chi vi è stato coinvolto, è possibile individuare un’origine evolutiva, che può anche rivelare il suo volto paradossale: qualcosa originariamente finalizzato a proteggere la nostra sicurezza, la può mettere gravemente a rischio nel mondo di oggi, e comunque spingerci a comportamenti inappropriati alla situazione. Nove sembrano essere le situazioni più indicate per scatenare la nostra collera: una minaccia per la nostra vita oppure per parti del nostro corpo; una minaccia per il partner o altri membri della famiglia oppure anche per il gruppo di appartenenza; insulti a noi oppure all’ordinamento sociale; un tentativo di invadere il nostro territorio oppure di appropriarsi di roba nostra; e infine una qualche forma di costrizione che ci impedisca libertà d’azione. Sopravvivenza, quindi, e integrità per noi e le persone a noi più vicine, territorialità in senso proprio o esteso, e libertà di manovra materiale e virtuale, sono, non sorprendentemente, le questioni sul tavolo, alle quali teniamo sopra a tutto il resto. A queste aggiungerei almeno l’intransigenza per una mancanza di rispetto e di considerazione, istanza molto sentita oggi in un mondo dominato dalla conoscenza e dalla comunicazione.
Che cosa mette in moto tutto questo? Mette in moto una serie di aree cerebrali connesse con l’emotività, dopo una valutazione prettamente emotiva mediata dall’amigdala e una più meditata operata dell’ippocampo. A seguito di tutto ciò si passa o non si passa all’azione, in dipendenza della gravità degli stimoli, della situazione complessiva e dell’indole del soggetto implicato, il cui comportamento può anche variare da momento a momento.
Questo è quello che accade dentro di noi. Su questo va poi esercitata un’eventuale azione inibitoria da parte della corteccia cerebrale e della nostra cosiddetta razionalità, sulla base della nostra indole e dell’educazione che abbiamo ricevuto. La cosa può magari essere egregiamente arginata centinaia di volte e manifestarsi più o meno clamorosamente soltanto una o due volte. Spesso senza una concreta possibilità di prevedere. Oppure restare a «bollire in pentola» per anni senza manifestazione alcuna e magari «esplodere» all’improvviso, con atti concreti di ostilità o con decisioni altrettanto inconfondibili verso questo o quello oppure questi o quelli, anche mai incontrati di persona.
Il quadro è essenzialmente questo, e non c’è dubbio che contrasti un po’ con la concezione tipica della nostra cultura, figlia della filosofia occidentale e riflessa nelle norme del diritto, che considerano l’uomo come capace di distinguere chiaramente il bene dal male e quindi pienamente responsabile delle proprie azioni e dei propri errori.
L’autore fa notare però che molte di queste idee sono state elaborate per via speculativa secoli e secoli prima dello sviluppo delle moderne neuroscienze. Viene quasi da pensare che per molta filosofia valga quanto abbiamo detto di certe istanze biologiche: erano fondamentali e di grande utilità una volta; possono essere di dubbia utilità o anche d’intralcio oggi. Un po’ di quello che ci hanno insegnato le neuroscienze potrebbe essere perciò proficuamente incorporato nelle nostre concezioni correnti.