23.6.16

Fear, Loathing and Brexit (Paura, ripugnanza e Brexit)

 Paul Krugman (The New York Times)
There are still four and a half months to go before the presidential election. But there’s a vote next week that could matter as much for the world’s future as what happens here: Britain’s referendum on whether to stay in the European Union.
Unfortunately, this vote is a choice between bad and worse — and the question is which is which.
Not to be coy: I would vote Remain. I’d do it in full awareness that the E.U. is deeply dysfunctional and shows few signs of reforming. But British exit — Brexit — would probably make things worse, not just for Britain, but for Europe as a whole.
The straight economics is clear: Brexit would make Britain poorer. It wouldn’t necessarily lead to a trade war, but it would definitely hurt British trade with the rest of Europe, reducing productivity and incomes. My rough calculations, which are in line with other estimates, suggest that Britain would end up about two percent poorer than it would otherwise be, essentially forever. That’s a big hit.
There’s also a harder to quantify risk that Brexit would undermine the City of London — Britain’s counterpart of Wall Street — which is a big source of exports and income. So the costs could be substantially bigger.
What about warnings that a Leave vote would provoke a financial crisis? That’s a fear too far. Britain isn’t Greece: It has its own currency and borrows in that currency, so it’s not at risk of a run that creates monetary chaos. In recent weeks the odds of a Leave vote have clearly risen, but British interest rates have gone down, not up, tracking the global decline in yields.
Still, as an economic matter Brexit looks like a bad idea.
True, some Brexit advocates claim that leaving the E.U. would free Britain to do wonderful things — to deregulate and unleash the magic of markets, leading to explosive growth. Sorry, but that’s just voodoo wrapped in a Union Jack; it’s the same free-market fantasy that has always and everywhere proved delusional.
No, the economic case is as solid as such cases ever get. Why, then, my downbeat tone about Remain?
Part of the answer is that the impacts of Brexit would be uneven: London and southeast England would be hit hard, but Brexit would probably mean a weaker pound, which might actually help some of the old manufacturing regions of the north.
More important, however, is the sad reality of the E.U. that Britain might leave.
The so-called European project began more than 60 years ago, and for many years it was a tremendous force for good. It didn’t only promote trade and help economic growth; it was also a bulwark of peace and democracy in a continent with a terrible history.
But today’s E.U. is the land of the euro, a major mistake compounded by Germany’s insistence on turning the crisis the single currency wrought into a morality play of sins (by other people, of course) that must be paid for with crippling budget cuts. Britain had the good sense to keep its pound, but it’s not insulated from other problems of European overreach, notably the establishment of free migration without a shared government.
You can argue that the problems caused by, say, Romanians using the National Health Service are exaggerated, and that the benefits of immigration greatly outweigh these costs. But that’s a hard argument to make to a public frustrated by cuts in public services — especially when the credibility of pro-E.U. experts is so low.
For that is the most frustrating thing about the E.U.: Nobody ever seems to acknowledge or learn from mistakes. If there’s any soul-searching in Brussels or Berlin about Europe’s terrible economic performance since 2008, it’s very hard to find. And I feel some sympathy with Britons who just don’t want to be tied to a system that offers so little accountability, even if leaving is economically costly.
The question, however, is whether a British vote to leave would make anything better. It could serve as a salutary shock that finally jolts European elites out of their complacency and leads to reform. But I fear that it would actually make things worse. The E.U.’s failures have produced a frightening rise in reactionary, racist nationalism — but Brexit would, all too probably, empower those forces even more, both in Britain and all across the Continent.
Obviously I could be wrong about these political consequences. But it’s also possible that my despair over European reform is exaggerated. And here’s the thing: As Oxford’s Simon Wren-Lewis points out, Britain will still have the option to leave the E.U. someday if it votes Remain now, but Leave will be effectively irreversible. You have to be really, really sure that Europe is unfixable to support Brexit.
So I’d vote Remain. There would be no joy in that vote. But a choice must be made, and that’s where I’d come down.

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Ci sono ancora quattro mesi e mezzo, per arrivare alle elezioni presidenziali. Ma la prossima settimana c’è un voto che per il futuro del mondo potrebbe contare altrettanto di quanto succede da noi: il referendum dell’Inghilterra sul restare o no nell’Unione Europea.
Sfortunatamente, questo voto è una scelta tra il male e il peggio – la domanda è quale sia l’uno e quale l’altro.
Non sarò schivo: io voterei per restare. Lo farei nella piena consapevolezza che l’Unione Europea è profondamente disfunzionale e mostra pochi segni di riforma. Ma l’uscita dell’Inghilterra – la Brexit – probabilmente renderebbe le cose peggiori, non solo per il Regno Unito, ma per l’Europa nel suo complesso.
Una normale analisi economica parla chiaramente: la Brexit renderebbe l’Inghilterra più povera. Non porterebbe necessariamente ad una guerra commerciale, ma certamente danneggerebbe il commercio inglese con il resto dell’Europa, riducendo la produttività e i redditi. I miei calcoli approssimativi, che sono in linea con altre stime, indicano che il Regno Unito si ritroverebbe ad essere più povero del 2 per cento, in sostanza per sempre, rispetto a quanto sarebbe altrimenti. Il che sarebbe un gran danno.
C’è anche il rischio, più difficile da quantificare, che la Brexit metta in difficoltà la City di Londra – l’omologo inglese di Wall Street – che rappresenta una grande fonte di esportazioni e di reddito. In quel caso, i costi sarebbero sostanzialmente più grandi.
Cosa dire degli ammonimenti secondo i quali il voto per l’uscita provocherebbe una crisi finanziaria? È una paura troppo remota. L’Inghilterra non è la Grecia: ha la propria valuta e si indebita nella propria valuta, dunque non è a rischio di un percorso che crei un caos finanziario. Nelle settimane recenti la probabilità di un voto per l’uscita sono chiaramente aumentate, ma i tassi di interesse britannici sono scesi, non saliti, seguendo l’andamento del declino globale nei rendimenti.
Ciononostante, dal punto di vista economico la Brexit sembra una cattiva idea.
È vero, i sostenitori della Brexit argomentano che lasciare l’UE consentirebbe all’Inghilterra la libertà di fare cose stupende – deregolamentare e mettere in libertà la magia dei mercati, portando ad una crescita esplosiva. Mi dispiace, ma questa è soltanto economia voodoo confezionata con la bandiera britannica; è la medesima fantasia sul libero mercato che si è dimostrata illusoria, sempre e dappertutto.
No, l’argomentazione economica non è solida, come di solito accade ad argomenti del genere. Perché, dunque, il mio tono dimesso a favore del rimanere nell’Unione Europea?
In parte, la risposta è che gli impatti della Brexit sarebbero disomogenei: Londra ed il Sud Est dell’Inghilterra sarebbero colpiti duramente, ma la Brexit comporterebbe probabilmente una sterlina più debole, il che effettivamente potrebbe essere d’aiuto per le vecchie regioni manifatturiere del Nord.
Ancora più importante, tuttavia, è la sconsolante realtà dell’UE che l’Inghilterra lascerebbe.
Il cosiddetto progetto europeo ebbe inizio più di sessant’anni orsono, e per molti anni fu una forza potente in termini positivi. Non solo favorì il commercio ed aiutò la crescita delle economie; fu anche un baluardo di pace e di democrazia in un continente che veniva da una storia terribile.
Ma l’UE di oggi è la terra dell’euro, un errore serio, aggravato dall’insistenza tedesca a volgere la crisi provocata dalla moneta unica in una rappresentazione moraleggiante sui peccati (degli altri, ovviamente), che devono essere scontati con tagli paralizzanti ai bilanci. L’Inghilterra ha avuto il buon senso di tenersi la sua sterlina, ma ciò non l’ha tenuta al riparo dagli altri problemi della eccessiva assunzione di rischi dell’Europa, in particolare quello di ammettere il libero movimento delle persone senza un governo condiviso.
Si può sostenere, ad esempio, che i problemi provocati dai rumeni che utilizzano il Servizio Sanitario Nazionale vengano esagerati, e che i benefici dell’immigrazione in buona misura pareggino quei costi. Ma è un argomento difficile da offrire ad una opinione pubblica frustrata dai tagli ai servizi pubblici – in particolare quando la credibilità degli esperti favorevoli all’UE è così bassa.
Perché è questa la cosa più irritante dell’UE: nessuno sembra mai riconoscere o imparare dagli errori. Se c’è un qualche esame di coscienza a Bruxelles o a Berlino sulla terribile prestazione dell’Europa a partire dal 2008, è difficile scovarlo. Ed io provo qualche simpatia con i britannici che proprio non intendono dipendere da un sistema che offre una affidabilità così modesta, anche se lasciarlo sarebbe economicamente costoso.
La domanda, tuttavia, è se un voto inglese per l’uscita renderebbe le cose migliori. Potrebbe servire come uno shock salutare che finalmente dia una scossa ai gruppi dirigenti europei ad uscire dal loro compiacimento e porti alla riforma. Ma io ho il timore che potrebbe, per la verità, rendere le cose peggiori. I fallimenti dell’UE hanno prodotto una minacciosa ascesa del nazionalismo reazionario e razzista – ma la Brexit, anche troppo probabilmente, rafforzerebbe ulteriormente quelle forze, sia in Inghilterra che in tutto il Continente.
Ovviamente, potrei sbagliare su queste conseguenze politiche. Ma è anche possibile che la mia mancanza di speranza sulla riforma europea sia esagerata. Ed il punto è questo: come mette in evidenza Simon Wren Lewis di Oxford, se oggi l’Inghilterra vota per rimanere, un giorno potrebbe ancora avere la possibilità di lasciare l’UE, ma uscire oggi sarebbe in sostanza irreversibile. Per sostenere la Brexit, si deve essere assolutamente sicuri che l’Europa sia irriformabile.
Dunque, io voterei per restare. Non ci sarebbe, in quel voto, alcuna contentezza. Ma una scelta deve essere fatta, ed io farei quella.

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