Marco Revelli (il Manifesto)
L’Italia antifascista va in piazza oggi in un clima pesante. «Clima di violenza», recitano i media mainstream, falsando ancora una volta lo scenario, come se si trattasse di violenza simmetrica. Di opposte minoranze estremiste, ugualmente intolleranti, quando invece la violenza a cui si è assistito non solo in queste ultime settimane, ma negli ultimi mesi e negli ultimi anni è una violenza totalmente asimmetrica, distribuita lungo un rosario di intimidazioni, intrusioni, aggressioni sempre dalla stessa parte, per opera degli stessi gruppi, con le stesse divise, gli stessi rituali, gli stessi simboli e tatuaggi: Casa Pound e Forza nuova con i rispettivi indotti. E sempre col medesimo disegno politico: occupare parti di territorio fino a ieri off limits per l’estrema destra.
Periferie metropolitane e piccoli centri, aree in cui la marginalizzazione e il declassamento sociale hanno creato disagio e rabbia, con lo scopo “strategico” di diventare referenti politici di quel disagio e di quella rabbia.
Vicofaro, il 27 di agosto dello scorso anno. Roma, Tiburtino III, il 6 di settembre. Como, il 28 novembre. Sono solo le tappe principali di un percorso che culmina nell’atto estremo di terrorismo razzista a Macerata, il 3 febbraio. Dall’altra parte un solo episodio, quello di Palermo, che per odioso che possa essere considerato – ed è atto odioso il pestaggio di una persona legata, incompatibile con i valori dell’antifascismo quale che ne sia l’idea dei suoi autori -, non può certo mutare il profilo di un quadro politico estremamente preoccupante.
Per fortuna, c’è stato il 10 febbraio a Macerata: quei 30.000 che hanno capito da subito qual’era “la cosa giusta”.
E per fortuna c’è la mobilitazione di oggi, la piazza romana e le tante piazze italiane. Proprio perché pensiamo che minimizzare la minaccia di questa destra orribile e spudorata sia un atto suicida per una democrazia già lesionata. E restiamo convinti che dichiarare il fascismo “morto e sepolto”, come ha fatto il ministro di polizia Marco Minniti, o invitare a sdrammatizzare e abbassare i toni per non turbare una campagna elettorale in salita, sia prova di cinismo e irresponsabilità. Proprio perché sappiamo che dall’onda nera che attraversa l’Europa non è immune l’Italia, anzi! Proprio per questi motivi crediamo che ogni persona in più oggi in piazza sia una vittoria.
Non si tratta qui di rivendicare primogeniture, o giocare al frusto gioco del rinfacciamento. L’antifascismo non è un’arma leggera da portarsi nella battaglia elettorale per contendere qualche decimo di punto. Si tratta di saper vedere il pericolo che incombe. E quel pericolo è grande, inquietante, per certi versi inedito. Non stiamo oggi vivendo una riedizione in sedicesimo dei conflitti degli anni Settanta, quando le bande nere colpivano duro, al servizio di padroni più o meno occulti, di servizi deviati e di agenzie internazionali, ma non avevano un seguito di massa. Il neofascismo di oggi – ma forse sarebbe meglio chiamarlo neonazismo – intuisce (per ora), annusa e avverte un’opportunità nuova di un inedito radicamento “popolare”, per così dire. Di poter attingere a nuovi serbatoi dell’ira.
Dopo il 4 marzo non ci aspetta una tiepida primavera, piuttosto un gelido inverno fuori stagione. L’Europa ha già battuto il suo colpo. Nessuna franchigia prolungata. Un establishment europeo in via di dissoluzione e un’Unione dissestata nei suoi equilibri si preparano a riservare, a un’Italia attardata da un debito insostenibile, un trattamento forse non troppo diverso da quello imposto – nel silenzio di tutti – alla Grecia quasi tre anni or sono. Con una differenza sostanziale: che al governo là c’era saldamente una forza esplicitamente di sinistra come Syriza, che ha salvato il salvabile negli strati più fragili della popolazione, e ha costruito una solida barriera contro la sfida di Alba dorata (che è arretrata da allora).
Qui no, ci sarà o un governo debolissimo, o una destra tanto arrogante quanto divisa: le condizioni per una ulteriore depressione sociale di grandi dimensioni, che amplierà l’esercito della rabbia, del rancore e del risentimento. Alle promesse smodate della campagna elettorale non potrà che seguire la doccia fredda di un’ulteriore deprivazione, col seguito di senso di abbandono, tradimento, solitudine, spirito di vendetta da parte di chi avverte di essere sul versante sbagliato del piano inclinato. L’acqua ideale in cui si preparano a nuotare gli squali che del rancore e della frustrazione si alimentano.
Per questo è da considerare prova d’irresponsabilità grave la decisione del ministero dell’Interno di ammettere alle elezioni le formazioni esplicitamente ispirate al fascismo, contrariamente a quanto era accaduto, correttamente, per le regionali in Sicilia. E assume sempre più rilevanza politica programmatica la richiesta di una rapida, legittima, messa al bando di organizzazioni come Forza Nuova e Casa Pound , con la loro sola presenza, un fattore di disordine e di violenza.
L’Italia antifascista va in piazza oggi in un clima pesante. «Clima di violenza», recitano i media mainstream, falsando ancora una volta lo scenario, come se si trattasse di violenza simmetrica. Di opposte minoranze estremiste, ugualmente intolleranti, quando invece la violenza a cui si è assistito non solo in queste ultime settimane, ma negli ultimi mesi e negli ultimi anni è una violenza totalmente asimmetrica, distribuita lungo un rosario di intimidazioni, intrusioni, aggressioni sempre dalla stessa parte, per opera degli stessi gruppi, con le stesse divise, gli stessi rituali, gli stessi simboli e tatuaggi: Casa Pound e Forza nuova con i rispettivi indotti. E sempre col medesimo disegno politico: occupare parti di territorio fino a ieri off limits per l’estrema destra.
Periferie metropolitane e piccoli centri, aree in cui la marginalizzazione e il declassamento sociale hanno creato disagio e rabbia, con lo scopo “strategico” di diventare referenti politici di quel disagio e di quella rabbia.
Vicofaro, il 27 di agosto dello scorso anno. Roma, Tiburtino III, il 6 di settembre. Como, il 28 novembre. Sono solo le tappe principali di un percorso che culmina nell’atto estremo di terrorismo razzista a Macerata, il 3 febbraio. Dall’altra parte un solo episodio, quello di Palermo, che per odioso che possa essere considerato – ed è atto odioso il pestaggio di una persona legata, incompatibile con i valori dell’antifascismo quale che ne sia l’idea dei suoi autori -, non può certo mutare il profilo di un quadro politico estremamente preoccupante.
Per fortuna, c’è stato il 10 febbraio a Macerata: quei 30.000 che hanno capito da subito qual’era “la cosa giusta”.
E per fortuna c’è la mobilitazione di oggi, la piazza romana e le tante piazze italiane. Proprio perché pensiamo che minimizzare la minaccia di questa destra orribile e spudorata sia un atto suicida per una democrazia già lesionata. E restiamo convinti che dichiarare il fascismo “morto e sepolto”, come ha fatto il ministro di polizia Marco Minniti, o invitare a sdrammatizzare e abbassare i toni per non turbare una campagna elettorale in salita, sia prova di cinismo e irresponsabilità. Proprio perché sappiamo che dall’onda nera che attraversa l’Europa non è immune l’Italia, anzi! Proprio per questi motivi crediamo che ogni persona in più oggi in piazza sia una vittoria.
Non si tratta qui di rivendicare primogeniture, o giocare al frusto gioco del rinfacciamento. L’antifascismo non è un’arma leggera da portarsi nella battaglia elettorale per contendere qualche decimo di punto. Si tratta di saper vedere il pericolo che incombe. E quel pericolo è grande, inquietante, per certi versi inedito. Non stiamo oggi vivendo una riedizione in sedicesimo dei conflitti degli anni Settanta, quando le bande nere colpivano duro, al servizio di padroni più o meno occulti, di servizi deviati e di agenzie internazionali, ma non avevano un seguito di massa. Il neofascismo di oggi – ma forse sarebbe meglio chiamarlo neonazismo – intuisce (per ora), annusa e avverte un’opportunità nuova di un inedito radicamento “popolare”, per così dire. Di poter attingere a nuovi serbatoi dell’ira.
Dopo il 4 marzo non ci aspetta una tiepida primavera, piuttosto un gelido inverno fuori stagione. L’Europa ha già battuto il suo colpo. Nessuna franchigia prolungata. Un establishment europeo in via di dissoluzione e un’Unione dissestata nei suoi equilibri si preparano a riservare, a un’Italia attardata da un debito insostenibile, un trattamento forse non troppo diverso da quello imposto – nel silenzio di tutti – alla Grecia quasi tre anni or sono. Con una differenza sostanziale: che al governo là c’era saldamente una forza esplicitamente di sinistra come Syriza, che ha salvato il salvabile negli strati più fragili della popolazione, e ha costruito una solida barriera contro la sfida di Alba dorata (che è arretrata da allora).
Qui no, ci sarà o un governo debolissimo, o una destra tanto arrogante quanto divisa: le condizioni per una ulteriore depressione sociale di grandi dimensioni, che amplierà l’esercito della rabbia, del rancore e del risentimento. Alle promesse smodate della campagna elettorale non potrà che seguire la doccia fredda di un’ulteriore deprivazione, col seguito di senso di abbandono, tradimento, solitudine, spirito di vendetta da parte di chi avverte di essere sul versante sbagliato del piano inclinato. L’acqua ideale in cui si preparano a nuotare gli squali che del rancore e della frustrazione si alimentano.
Per questo è da considerare prova d’irresponsabilità grave la decisione del ministero dell’Interno di ammettere alle elezioni le formazioni esplicitamente ispirate al fascismo, contrariamente a quanto era accaduto, correttamente, per le regionali in Sicilia. E assume sempre più rilevanza politica programmatica la richiesta di una rapida, legittima, messa al bando di organizzazioni come Forza Nuova e Casa Pound , con la loro sola presenza, un fattore di disordine e di violenza.