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15.7.17

Luigi Ferrajoli: «Contro le diseguaglianze ci vuole il reddito universale»

Rapporto Istat sulla povertà 2016. Intervista al filosofo e giurista Luigi Ferrajoli: «La povertà dilagante è uno degli effetti delle diseguaglianze create da politiche che hanno soppresso i vincoli del mercato». «240 miliardi di euro trasferiti dal lavoro al capitale, ora è giunto il momento di restituire il maltolto».

Roberto Ciccarelli

Luigi Ferrajoli, in dieci anni la povertà in Italia è raddoppiata. Quali sono state le politiche che hanno generato questo fenomeno?
Nasce da politiche che hanno soppresso i vincoli ai poteri del mercato che sono diventati poteri assoluti e selvaggi, hanno provocato in tutto il mondo, e non solo in Italia, un trasferimento di quote di Pil dal lavoro al capitale, dai poveri ai ricchi. Luciano Gallino calcolò nel suo ultimo libro che negli ultimi anni 240 miliardi di euro, il 15% del pil, sono stati trasferiti al capitale. È un fenomeno gigantesco, sintomo di un ribaltamento del rapporto tra politica e economia. Non è più la politica che governa la economia, ma è l’economia che detta regole alla politica. La politica ha favorito questo processo liberalizzando i capitali e abbattendo le garanzie del lavoro e i salari, cancellando i diritti.

Di recente è stata approvata una prima misura contro la povertà assoluta. La ritiene adeguata?
La forma più in accordo con il costituzionalismo, l’universalità dei diritti fondamentali e la dignità della persona è il reddito universale. Di fronte a disuguaglianze che concentrano nelle otto persone più ricche del pianeta la stessa ricchezza della metà più povera della popolazione mondiale, una politica degna di questo nome dovrebbe redistribuire le ricchezze sterminate esistenti. Questa concentrazione è l’effetto di un ‘iniqua redistribuzione del reddito da parte del mercato. Per cambiare direzione occorrerebbe perlomeno la garanzia di un’equa retribuzione minima per chi lavora, stabilita dall’articolo 36 della Costituzione, e un reddito minimo garantito per chi non lavora previsto dall’articolo 38. Occorrerebbe insomma restituire il maltolto, non favorire una crescita delle diseguaglianze.

La nostra Costituzione afferma che la dignità della persona si afferma anche nel lavoro. Anche 
le statistiche Istat dimostrano che anche quando si lavora si continua a essere poveri. E la «trappola della precarietà» colpisce i nuclei familiari più giovani. Come si può rispettare questo principio?
Il lavoro, dice l’articolo 1 della Costituzione, è il fondamento della Repubblica. Perciò, non è una merce, ma ha un valore. Sopprimere la stabilità del lavoro con la precarietà significa sopprimere questo fondamento della nostra democrazia. C’è una massima di Kant che andrebbe ricordata ai nostri governanti: «Ciò che ha prezzo non ha dignità, ciò che ha dignità non prezzo». Se ha valore, non ha un prezzo, e perciò non si può licenziare una persona in cambio di una manciata di mensilità come ha fatto il Jobs Act cancellando l’articolo 18. Così si distrugge la dignità della persona. Questa riforma ha eliminato la garanzia su cui si regge il nostro assetto costituzionale: l’intrinseca dignità del lavoro, trasformato in merce.

I populisti usano la povertà degli italiani contro quella degli stranieri, al punto da negare i loro diritti fondamentali. Come ribaltare questo discorso?
È la strategia di tutti i populismi, a cominciare da Trump: mettere i penultimi contro gli ultimi, i poveri contro i migranti. Si ribalta la direzione della lotta di classe: non più il basso contro l’alto, ma il basso contro chi sta ancora più in basso. Così si fomenta la lotta tra i poveri e la guerra contro i poverissimi: i migranti, ad esempio. Vorrei ricordare che il diritto di migrare è il più antico diritto naturale teorizzato nel 500 da Francisco de Vitoria per giustificare la colonizzazione spagnola e lo sfruttamento dei popoli. Da allora è rimasto una norma del diritto internazionale che ha giustificato le rapine che l’Occidente ha fatto in tutto il mondo. Il diritto di migrare è stato un diritto universale riconosciuto a tutti, ma asimmetrico. Nel senso che solo gli europei potevano di fatto esercitarlo e non certo i popoli colonizzati. Oggi che il flusso migratorio si è ribaltato e sono gli altri popoli a migrare, questo antico diritto è stato rimosso e il suo esercizio è stato convertito nel suo opposto, in un reato. Le leggi odierne sull’immigrazione esibiscono questa eredità razzista.

I tagli e le politiche di austerità hanno aggredito un altro diritto fondamentale: la sanità. Dobbiamo rassegnarci alla dismissione del pubblico e alla sua gestione privatistica?
Assolutamente no. Questa azione insensata non può cancellare il diritto alla salute, che è un diritto costituzionale, base dell’uguaglianza, e perciò universale e gratuito. Una politica come quella dei ticket, insieme alla precarizzazione del lavoro e delle tutele, hanno spinto 11 milioni di persone a rinunciare alle cure anche fondamentali perché non hanno le risorse finanziare. Senza contare che la somma ricavata dai ticket è ridicola: 4 miliardi su 110 di fondo nazionale.

Nel Lazio esiste una vertenza esemplare della situazione che descrive. Dopo anni di lotte, ai lavoratori esternalizzati della Sanità regionale è stato riconosciuto il lavoro di anni. Avranno un punteggio che potranno utilizzare nei prossimi concorsi. Il governo ha impugnato davanti alla Corte Costituzionale la legge regionale. Che ne pensa?
È una decisione giuridicamente infondata perché la legge regionale non è subordinata alla legge statale. Tra l’altro la legge statale permette questi riconoscimenti a chi lavora presso le Asl e non solo a chi lavora alle loro dirette dipendenze. La legge in questione estende le tutele del lavoro sulla base del riconoscimento di titoli professionali. È insensato sanzionare una legge regionale a causa di una modestissima norma che dà un punteggio preferenziale a chi già lavora da anni nel settore e ha una professionalità attestata dalle stesse istituzioni. Gli unici a essere danneggiati saranno i lavoratori precari ed è inaccettabile.

Cosa dovrebbe fare la Regione Lazio?
Mi auguro che difenda la sua legge davanti alla corte costituzionale sperando che dia torto al governo, sulla base di argomenti anche soltanto formali; se non altro a difesa dell’autonomia e della potestà legislativa della Regione.

***
Luigi Ferrajoli è uno dei massimi teorici del diritto. Negli anni Sessanta ha partecipato alla fondazione di Magistratura Democratica, è stato magistrato presso la pretura di Prato fino al 1975 . Dal 2014 è professore emerito di filosofia del diritto a Roma Tre. È autore di più di 30 libri tradotti in tutto il mondo. Ha scritto capolavori come « Diritto e Ragione. Teoria del garantismo penale» (1989) e «Principia Iuris. Teoria del diritto e della democrazia» (3 voll.) (2007)

30.4.13

«Letta navigherà a vista»

CAPITALE - Il neoliberismo non ha avuto la sua eclissi finale: «Dal Giappone una nuova bolla colpirà l'Europa e l'Italia»

INTERVISTA - Roberto Ciccarelli

CHRISTIAN MARAZZI * «È urgente prendere coscienza del fallimento dell'austerità. L'unica cosa che riesco a vedere è una rivolta sociale»
«Quando il governo italiano sostiene di volere ricontrattare con la Commissione Europea può anche volere posticipare, com'è stato fatto in Spagna o in Portogallo, la riduzione del deficit di un paio d'anni - afferma l'economista Christian Marazzi - Ma questo non significa ricontrattare l'austerità, significa solo posticiparla lasciando i problemi tali e quali. Non nego che Letta sia animato da buone intenzioni quando dice di volere affrontare il problema degli esodati, dell'esaurimento della cassa integrazione o parla di un welfare più universale. Il problema è dove prenderà i soldi. Soprattutto se le politiche di austerità resteranno intatte».

Propone anche un reddito a sostegno delle famiglie bisognose con tanti figli. Cosa ne pensi? 
Il reddito di cittadinanza, o il reddito minimo, ha un senso se definisce un affrancamento dalle logiche di un mercato del lavoro deregolamentato. Se definisce un'autonomia del reddito da quelle che sono le logiche della crescita o della riduzione dei costi. Fino a quando questo obiettivo non sarà perseguito, e non verrà garantita l'autonomia della vita dalle costrizione di un'economia neoliberale, le declinazioni del reddito in altre forme portano solo a sterili strategie di ingegneria sociale.

Ritieni che stia prendendo corpo in Europa un fronte contro l'austerità?
Parlare di un fronte è un'espressione piuttosto sproporzionata, anche se è indubbio che le proposte di allentare il rigore vengono fatte in Portogallo, Spagna o Francia, le autocritiche del capoeconomista del Fondo Monetario Internazionale Olivier Blanchard e le timide aperture della Commissione Europea con Olli Rehn vadano in questo senso. Bisogna però considerare le controspinte che vengono dalla Germania dove prevalgono i discorsi di segno opposto a sostegno della responsabilità, del rigore fiscale, delle politiche anti-inflattive. In attesa delle elezioni politiche di settembre, non vedo come Angela Merkel possa retrocedere rispetto alle politiche degli ultimi quattro anni, considerando anche la nascita del partito anti-euro «Alternativa per la Germania.

Resta comunque l'impressione che un cambiamento sia avvenuto dall'inizio dell'anno...
Con una battutaccia direi che sono arrivati alla canna del gas. L'evidenza del fallimento politico e finanziario li ha costretti a tornare indietro rispetto alle posizioni scientifiche e ideologiche. È impressionante vedere con che faccia il Fondo Monetario, dopo 50 anni, oggi dica di cambiare politiche economiche che sono esattamente quelle imposte ai paesi indebitati dell'America latina, del Sud est asiatico e oggi a quelli europei. Hanno buon gioco i tedeschi che non intendono cambiare la strategia fiscale quando lo stesso Fmi l'ha imposta in tutti i paesi del mondo.

Allora non bisogna credere in queste aperture?
A me sembrano tentativi tardivi per rimediare ai danni che queste politiche hanno provocato e continuano a provocare. È di ieri la notizia che in Grecia hanno deciso di licenziare 15 mila impiegati pubblici e di aumentare l'orario di lavoro degli insegnanti. Si sta perseverando sulla stessa linea, per questo sono piuttosto scettico sulle possibilità che si riuscirà a incidere sull'austerità. La politica è governo del tempo. Se tu cerchi di recuperare dalle politiche complici dell' austerità, come mi sembra sia state quelle di Monti, devi però fare i conti con i processi reali che sono difficili da invertire.

Quali conseguenze ha prodotto l'austerità?
Ha distrutto una parte importante del tessuto industriale, delle piccole e medie imprese. Il credito alle imprese e alle famiglie non esiste praticamente più e ha aggravato le divergenze all'interno della zona euro tra paesi del Nord e paesi del Sud. Quando si dice che un euro tedesco non è un euro cipriota o italiano o francese, che nella moneta unica c'è un proliferare di monete parallele, significa che il processo di divergenza tra tassi d'inflazione, di interesse e di produttività si è spinto molto in avanti. Questi sono i processi reali che lavorano dietro i tentativi di contenere il danno che il prossimo governo italiano si troverà ad affrontare.

Quale sarà la prossima bolla finanziaria ad esplodere e che effetto avrà sull'Europa e l'Italia?
 Le bolle sono la modalità attraverso le quali la crisi capitalistica si manifesta in tutta la sua potenza distruttiva. La loro funzione è creare panico, una specie di choc esogeno che restringe gli spazi di manovra di un governo, piuttosto che ampliarli. Il rischio di un'esplosione di un'altra bolla, non so in quale forma, è veramente forte. È la politica della banca centrale giapponese a destare maggiori preoccupazioni. È diventata una specie di banca centrale del mondo, iniettando dosi impressionanti di liquidità che si catapultano sulle borse europee che stanno andando bene e hanno contributo a ridurre lo spread italiano. D'altra parte le borse hanno già raggiunto livelli record da questo punto di vista. Gli analisti considerano gli indici già oltre i limiti storicamente raggiungibili. E questo porterà ad una nuova grande bolla speculativa. Arriveranno misure di taglio alla spesa pubblica, continueranno a esserci sempre difficoltà di reperimento di capitali.

Insomma è un circolo vizioso...
Da anni ci troviamo in un'enorme trappola della liquidità. Questi soldi non hanno nessun effetto di trickle down, cioè non sgocciolano nell'economia reale, restano nelle sfere della finanza e alimentano bolle in termini di acquisti o vendite di buoni del tesoro che non modificano il quadro della crisi. Si sta cercando di risolvere finanziariamente un problema che è stato creato dalla finanza. È un rompicapo.

In che modo lo si può risolvere?
L'unica cosa che riesco a vedere, ma non a prevedere, è una rivolta sociale. Oggi scontiamo un grande ritardo nella mobilitazione, anche se ci sono stati momenti esaltanti come Occupy negli Stati Uniti o gli indignados in Spagna. Per quanto lo auspichi, non vedo però una capacità di mobilitazione a livello europeo. Se non fosse così una rivolta non avrebbe nessuna chance di vivere più di un giorno. Ma non voglio essere pessimista. Oggi è urgente prendere coscienza del fallimento dell'austerità e capire che ciò che accomuna gli europei non è l'euro, come moneta unica. La nostra moneta comune è la povertà. Una volta compreso, e mi sembra che lo stiamo capendo, bisogna forzare per attuare una rivolta contro la povertà

Quale lotta può diventare il simbolo di questa mobilitazione?
Il reddito di cittadinanza su scala europea. È una delle chiavi per un'Europa comune contro l'austerità. È il tempo della politica deve diventare quello della mobilitazione. Come dice Guido Viale, non abbiamo bisogno di fatti, ma di promesse. Oggi è la voglia di futuro che deve dominare sul realismo dei fatti.

* Un critico dell'economia politica
Christian Marazzi è uno dei più acuti economisti, critici del capitalismo, che da anni insegna in diverse università europee e alla State University di New York. Attualmente è docente alla Scuola universitaria e professionale della Svizzera italiana. È autore dei saggi come «E il denaro va» (Casagrande/Bollati Boringhieri 1998), «Finanza bruciata» (Casagrande 2009) e «Il comunismo del capitale» (Ombre Corte 2010)

8.6.11

Il diritto universale alla vita

Un'intervista con il filosofo del diritto Luigi Ferrajoli
 di Roberto Ciccarelli   (Il Manifesto)

«La sinistra deve capire che il reddito base universale, anche se è difficile da realizzare, dovrebbe oggi rappresentare il principale obiettivo di una politica riformatrice da realizzare gradualmente in una o due legislature». È come sempre chiaro e netto Luigi Ferrajoli, che ha da poco pubblicato Poteri selvaggi. La crisi della democrazia italiana (Laterza) la più aspra critica del berlusconismo che si ricordi degli ultimi tempi (Il Manifesto del 25 maggio) e domani interverrà al meeting sull'«utopia concreta del reddito» organizzato dal Basic Income Network a Roma. «La crisi non ci lascia alternative: bisogna arrivare ad un reddito per tutti che garantisca l'uguaglianza e la dignità della persona. Diversamente da altre forme limitate di reddito di cittadinanza, un reddito per tutti escluderebbe qualunque connotazione caritatevole e quindi lo stigma sociale che deriva da un'indennità legata al non lavoro o alla povertà. L'ho già sostenuto in Principia Iuris: il reddito è un diritto fondamentale».

Molti studiosi sostengono che il reddito di base è impraticabile perché costa troppo?

Certamente il reddito costa,ma i calcoli che sono stati fatti mostrano che esso comporterebbe anche grandi risparmi: un reddito ope legis per tutti riduce gran parte delle spese per la mediazione burocratica di almeno una parte delle prestazioni sociali, con tutti i costi, le inefficienze, le discriminazioni e la corruzione legati a uno stato sociale che condiziona le prestazioni dei minimi vitali a condizioni personali che minano la libertà e la dignità dei cittadini. Ma soprattutto è necessario sfatare l'ideologia dominante a destra, e purtroppo anche a sinistra, secondo la quale le spese nell'istruzione, nella salute, nella sussistenza sono un costo insostenibile. Queste spese sono al contrario gli investimenti primari ed economicamente più produttivi. In Italia, il boom economico è avvenuto simultaneamente alla costruzione del diritto del lavoro, all'introduzione del servizio sanitario nazionale e allo sviluppo dell'istruzione di massa. La crisi è iniziata quando questi settori sono stati tagliati. Sono cose sotto gli occhi di tutti.

Come si possono recuperare le risorse necessarie?

Dal prelievo fiscale, che tra l'altro dovrebbe essere riformato sulla base dell'articolo 53 della Costituzione che impone il carattere progressivo del sistema tributario. La vera riforma fiscale dovrebbe prevedere aliquote realmente progressive. Oggi la massima è il 43 per cento, la stessa di chi ha un reddito di circa 4.000 euro al mese e di chi, come Berlusconi o Marchionne o gli alti manager, guadagna 100 volte di più. È una vergogna. Quando Berlusconi dice che non vuol mettere le mani nelle tasche degli italiani pensa solo alle tasche dei ricchi. Occorrerebbe invece prevedere tetti e aliquote che escludano sperequazioni così assurde.

Cosa risponde a chi pensa che il reddito sia un sussidio di disoccupazione?

Lo sarebbe se fosse dato solo ai poveri e ai disoccupati. Il reddito di base universale, al contrario, sarebbe un'innovazione dirompente, che cambierebbe la natura della democrazia, e non solo dello stato sociale, della qualità della vita e del lavoro. È infatti una garanzia di libertà oltre che un diritto sociale. Provocherebbe una liberazione dal lavoro e, insieme, del lavoro. Il lavoro diventerebbe il frutto di una libera scelta: non sarebbe più una semplice merce, svalorizzata a piacere dal capitale.

Per riconoscere il reddito come diritto fondamentale è necessaria una riforma costituzionale?

No. Si può anzi affermare il contrario: che una simile misura è imposta dallo spirito della Costituzione. La troviamo nei principi di uguaglianza e dignità previsti dall'articolo 3,ma addirittura nel secondo comma dell'articolo 42 sulla proprietà che stabilisce che la legge deve disciplinare la proprietà «allo scopo di renderla accessibile a tutti». Questa norma, come ha rilevato un grande giurista del secolo scorso, Massimo Severo Giannini, prevede che tutti dispongano di una qualche proprietà, accessibile appunto con un reddito minimo di cittadinanza. E poi ci sono le norme del diritto internazionale, come l'articolo 34 della carta di Nizza, l'articolo 25 della Dichiarazione universale dei diritti umani. È insomma la situazione attuale del lavoro e del non lavoro che è in contrasto con la legalità costituzionale.

La sinistra crede in questa prospettiva?

No. Tuttavia, se la sinistra vuole rappresentare gli interessi dei più deboli, come dovrebbe essere nella sua natura, questa oggi è una strada obbligata. Il diritto al reddito è oggi l'unica garanzia in grado di assicurare il diritto alla vita, inteso come diritto alla sopravvivenza. Ovviamente occorrerebbe anche l'impegno del sindacato. Nella sua tradizione, sia in quella socialista che in quella comunista, si è sempre limitato alla sola

tutela del lavoro. Oggi le garanzie del lavoro sono state praticamente dissolte dalle leggi che hanno fatto del lavoro precario a tempo determinato la regola, e del vecchio rapporto di lavoro a tempo indeterminato l'eccezione. Una sinistra degna di questo nome dovrebbe comunque restaurare la stabilità dei rapporti di lavoro. Con la precarietà, infatti, tutte le garanzie del diritto del lavoro sono crollate perché chi ha un rapporto di lavoro che si rinnova ogni tre mesi non può lottare per i propri diritti. Tuttavia, nella misura in cui il diritto del lavoro non può essere, in una società capitalistica, garantito a tutti, e fino a che permangono forme di lavoro flessibile, il reddito di cittadinanza è anche un fattore di rafforzamento dell'autonomia contrattuale del lavoratore. Una persona che non riesce a sopravvivere accetta qualsiasi condizione di lavoro. Ad un dramma sociale di questa portata si deve rispondere con un progetto ambizioso.

Per quanto riguarda il lavoro e il reddito che cosa si dovrebbe leggere in un programma di sinistra per le prossime elezioni politiche?

Esattamente l'opposto di quanto è stato fatto finora, anche dai governi di centro-sinistra che negli anni Novanta hanno inaugurato, con i loro provvedimenti, la dissoluzione del diritto del lavoro. Bisogna tornare a fare del lavoro un'attività garantita da tutti i diritti previsti dalla Costituzione e conquistati in decenni di lotta, a cominciare dal diritto alla sua stabilità, che è chiaramente un meta-diritto in assenza del quale tutti gli altri vengono meno. Il lavoro, d'altro canto, deve cessare di essere una semplice merce. E a questo scopo il reddito di base è una garanzia essenziale della sua valorizzazione e insieme
della sua dignità. Non è accettabile che in uno stato di diritto i poteri padronali siano assoluti e selvaggi. Marchionne non può ricattare i lavoratori contro la Costituzione, le leggi e i contratti collettivi e minacciare di dislocare la produzione all'estero. Una sinistra e un sindacato degni di questo nome dovrebbero quanto meno impegnarsi su due obiettivi: l'unificazione del diritto del lavoro a livello europeo, per evitare il dumping sociale, e la creazione di sindacati europei. Nel momento in cui il capitale si internazionalizza, perché non dovrebbero farlo anche le politiche sociali e i sindacati?