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19.4.18

Scuola, l’America fa dietrofront: più conoscenze, meno competenze

Le conclusioni di un panel di esperti consultati dall’Ente nazionale di valutazione americano: gli studenti non imparano più a leggere perché a scuola si fanno solo test e si trascurano storia e letteratura, arte e scienze

Perché gli studenti americani non riescono a migliorare le loro capacità di lettura nonostante tutti gli investimenti fatti negli ultimi due decenni proprio per rafforzare questa competenza strategica? Per tentare di rispondere a questa domanda il Naep, l’Invalsi americano, la settimana scorsa ha convocato un gruppo di esperti a Washington. E la risposta finale è stata: perché leggere non è come andare in bicicletta. Non basta saper pedalare: per capire un testo bisogna poter contare su un solido bagaglio di conoscenze, mentre il sistema scolastico americano da vent’anni a questa parte ha puntato tutto e solo sulle competenze, a scapito della ricchezza del curriculum. Era il 2001 - presidente George W. Bush - quando il Congresso americano approvò con un voto bipartisan la legge chiamata No child left behind che, almeno nelle intenzioni, doveva servire a dare a tutti i ragazzi - ricchi o poveri - delle solide competenze in lettura e matematica grazie a un sistema di test diventato negli anni sempre più pervasivo. Dai risultati di queste prove standardizzate, infatti, dipendeva una buona parte dei fondi federali, cosicché le scuole pian piano finirono per appiattire i programmi sui test (il cosiddetto «teaching to the test») impoverendo la qualità della didattica. Risultato: i livelli dei ragazzi sono rimasti gli stessi mentre la forbice fra ricchi e poveri si è ulteriormente allargata tanto che nel 2015 - presidente Barack Obama - la vecchia legge è stata sostituita dal nuovo Every Student Succeeds Act, che ha modificato (delegandoli ai singoli Stati) ma non eliminato il sistema di test standardizzati obbligatori in tutte le scuole dal terzo all’ottavo grado (cioè dalla quarta elementare alla terza media).
«Don’t know much about history»
La storia di questo fallimento educativo è stata ricostruita da The Atlantic in un lungo e documentato articolo in cui si rimarca come il meccanismo perverso dei test abbia agito negativamente soprattutto sulle scuole dei distretti più poveri, quelle che avevano più difficoltà a raggiungere i traguardi prefissati dal governo e che dunque erano più facilmente esposte al rischio di tagliare materie come la storia e la letteratura, l’arte o la scienza che, non essendo misurate dai test governativi, venivano considerate dei rami secchi, per concentrarsi solo sui test. Col risultato paradossale che così finivano per moltiplicare lo svantaggio di chi non aveva alle spalle una famiglia con un patrimonio culturale da trasmettergli. Perché la lettura è un’abilità complessa che richiede non solo la capacità di decodificare un testo ma quella assai più articolata di comprenderlo. E nelle comprensione di un brano scritto conta più il nostro bagaglio di conoscenze che le cosiddette abilità di lettura - le reading skills misurate dalle prove standardizzate. Come ha spiegato uno degli esperti che hanno partecipato alla riunione di martedì scorso, lo psicologo cognitivo Daniel Willingham, il fatto che i lettori capiscano o meno un testo dipende molto di più dalle loro conoscenze e dalla ricchezza del loro vocabolario che da quanto si sono esercitati con domande del tipo «Qual è l’argomento principale del testo?» o «Che conclusioni trai dalla lettura di questo brano?». Se un ragazzo arriva alle superiori senza sapere nulla della Guerra civile americana perché non l’ha mai studiata a scuola, non importa quanti test ha fatto: farà molta più fatica a rispondere a qualsiasi domanda relativa a quell’argomento di un suo collega più colto anche se magari meno allenato di lui nei quiz.
Alzare l’asticella
Ma non basta. Come osservato da Timothy Shanahan, professore emerito all’Università dell’Illinois e autore di oltre 200 pubblicazioni sulla «reading education», il sistema dei test commette un altro errore gravissimo: quello di misurare le capacità dei ragazzi usando dei brani considerati alla loro altezza. Mentre al contrario diverse ricerche dimostrano che gli studenti imparano molto di più quando leggono testi che sono al di sopra del loro livello di competenze e che proprio per questa ragione li portano a sforzarsi arricchendo il loro vocabolario e le loro capacità di comprensione. Perciò se vogliamo davvero migliorare le capacità di lettura degli alunni piantiamola di farli esercitare con i bugiardini dei farmaci o le istruzioni degli elettrodomestici. E semmai puntiamo su un curriculum ricco in storia scienze letteratura e arte che fornisca ai ragazzi una cassetta degli attrezzi - intesa come un sistema di nozioni e un vocabolario articolato - servibile per ogni occasione.
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Articolo originale: Why American Students Haven't Gotten Better at Reading in 20 Years  (The Atlantic)

7.1.15

I nuovi prof un anno in prova - E il preside diventa sindaco

di Orsola Riva (Corriere)

Selezione, risorse, materie: tutti i nodi della riforma della scuola

Di rinvio in rinvio, la grande riforma della scuola di Matteo Renzi dovrebbe finalmente vedere la luce alla fine di febbraio. Lo ha annunciato il premier due giorni fa. Gli ingredienti sono noti. Primo: assunzione in blocco di quasi 150 mila «precari storici». Secondo: introduzione del merito: a essere valutati non saranno più solo gli studenti ma anche i prof e il loro stipendio varierà di conseguenza (ma su quali basi e chi darà loro le pagelle è ancora tutto da chiarire). Terzo: potenziamento di alcune materie - arte, musica, informatica, inglese - e più ore per laboratori e stage in azienda. Ultimo ma non ultimo - Renzi ci ha messo la faccia fin dal suo insediamento - l’edilizia scolastica. Tutti ingredienti più che «buoni» sulla carta, ma basteranno a mettere davvero in sicurezza la scuola italiana e i nostri figli? I nodi da sciogliere sono ancora tanti. Vediamo i principali.

Stabilizzazione dei prof

I 150 mila neo assunti saranno tutti all’altezza del ruolo? Molti di loro (uno su cinque) non insegnano più da anni, altri hanno abilitazioni per materie ormai uscite dai programmi. L’allarme lanciato dagli esperti è stato raccolto anche dal governo. «Forse dal piano di assunzioni - ammette il sottosegretario Davide Faraone - si potrebbero escludere i docenti di materie non più utili come la dattilografia». E tutti gli altri? Bisognerebbe formarli. Sì, ma con quali soldi? E allora ecco che si profila una soluzione più drastica: il cosiddetto anno di prova previsto per legge ma finora solo sulla carta. «Quell’anno deve diventare decisivo per la permanenza dei neoassunti», taglia corto Faraone. Più facile a dirsi che a farsi: come non immaginare la valanga di ricorsi da cui sarebbe sommerso il ministero?

Gli esclusi

Se è vero che l’assunzione dei precari storici è stata pensata per sanare un’ingiustizia, in realtà ne apre un’altra. Ci sono infatti decine di migliaia di prof (circa centomila) che prestano servizio nelle nostre scuole ma sono rimasti tagliati fuori. Loro dovranno aspettare il concorso del 2016. Unica concessione al vaglio del governo: una «quota riservata» dei 40 mila posti in palio.

Il merito

È la vera incognita della riforma. Nel testo della Buona Scuola si era ipotizzata l’eliminazione tout court degli scatti di anzianità per un sistema in teoria incentrato appunto sul merito in realtà alquanto arbitrario: scatti ogni tre anni a due prof su tre, i «migliori» di ciascuna scuola. La norma è saltata, gli scatti di anzianità sono tornati al loro posto (anche se Faraone precisa che sullo stipendio peserà molto di più la quota premiale legata al merito) e soprattutto non è chiaro chi valuterà cosa. Su tutto il sistema, però, dovrebbe vigilare il preside, nuovo «sindaco della scuola».

Nuove materie

Va bene puntare su musica, storia dell’arte ed educazione fisica (20 mila nuove cattedre) e pure sul «coding» (la programmazione informatica tanto sbandierata anche se ammonta ad appena un’ora di lezione all’anno) ma com’è che nessuno si preoccupa dei pessimi risultati dei nostri figli in italiano e in matematica? «I dati Invalsi e Ocse dicono che i ragazzi italiani non sanno leggere: dovrebbero maneggiare non solo testi letterari ma anche scientifici, mentre noi continuiamo a insegnare loro a contemplare i libri, non a capirli. Molti dei problemi in matematica hanno origine nella difficoltà di lettura: spesso i risultati peggiori i ragazzi li danno non sulle domande più ostiche ma su quelle che hanno una forma meno scolastica», dice il professor Matteo Viale, docente di linguistica italiana all’Università di Bologna. Bisognerebbe adottare una nuova didattica trasversale, ma di didattica nella Buona Scuola di Renzi non si parla proprio.

Scuola-lavoro

Altro mantra del governo che più volte ha detto di volersi ispirare al cosiddetto «sistema duale» tedesco, anche se nella legge di Stabilità sono saltati i 10 milioni che dovevano servire a raddoppiare le ore di alternanza. Vedremo nel decreto di fine febbraio. Con una avvertenza: l’Italia non è la Germania ed è bene che il governo vigili sulle storture già in atto (vedi i 2.700 studenti del Centro-Sud che venivano sfruttati come manodopera a basso costo da alberghi e ristoranti del Nord proprio dietro lo schermo dell’alternanza scuola-lavoro).

Edilizia scolastica

Infine i muri, la grande scommessa lanciata da Renzi: un miliardo per 21 mila scuole. Tre i capitoli: #scuolenuove (rifacimento o costruzione di nuovi plessi), #scuolebelle (piccola manutenzione) e #scuolesicure (messa a norma e in sicurezza). Il più critico, al momento, è anche quello più importante: ovvero la sicurezza. A dicembre 500 sindaci hanno marciato su Roma perché, pur avendo già effettuato i lavori, non erano ancora riusciti a riscuotere i fondi della prima tranche. Il governo conta di far partire entro la fine di quest’anno 1.600 cantieri di #scuolesicure ed altrettanti di #scuolenuove ed altri 15.000 per #scuolebelle entro primavera 2016. I conti, li faremo alla fine.