Visualizzazione post con etichetta coronavirus. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta coronavirus. Mostra tutti i post

1.4.20

Perché la Svezia ha affrontato il coronavirus senza chiudere tutto

di Eva-Kristin Urestad Pedersen (internazionale.it
1 aprile 2020
Mentre praticamente tutto il mondo è in lockdown, la Svezia insiste con la propria strategia: niente quarantena, tranne che per le persone trovate positive al nuovo coronavirus, niente chiusure di scuole, uffici o ristoranti. Insomma, mentre gli altri passano le giornate rinchiusi in casa, in Svezia è tutto normale.

O quasi. Ci sono pochi divieti, ma anche gli svedesi evitano di uscire. I ristoranti sono aperti, ma la clientela è diminuita notevolmente. Molti concerti ed eventi culturali sono stati cancellati. Le scuole sono aperte, ma le università hanno sospeso i corsi, chiedendo agli studenti di studiare a casa. Non è più consentito organizzare eventi per più di 50 persone, e dal 31 marzo non si può più andare in visita alle case di riposo.

A parte questo, la strategia svedese si basa soprattutto sulla fiducia. Il governo confida nei proprio cittadini, che seguono le raccomandazioni, evitando comportamenti rischiosi. Un esempio? La Pasqua è sempre stata una vacanza importante in tutti i paesi nordici, dove la gente ne approfitta per andare in massa a sciare. Mentre in Norvegia è proibito raggiungere le proprie case in montagna, in Svezia non c’è un simile divieto, solo una richiesta da parte del primo ministro: per quest’anno rimanete a casa. Perché la Svezia è così diversa?

Comunicazione rassicurante
Evitare l’uso della forza contro i propri cittadini fa parte della cultura svedese, come la fiducia nelle autorità. L’ultima volta che le forze armate svedesi sono state usate per controllare la folla è stato nel 1931. Gli svedesi non reagiscono bene ai divieti, ma se un esperto gli spiega come bisogna comportarsi, allora seguono il consiglio.

In questo caso l’esperto principale è Anders Tegnell, l’epidemiologo di stato. Di fronte alle molte critiche che ha ricevuto in patria e all’estero, ha risposto che alla Svezia serva una strategia adatta alla società svedese, non a quella di un altro paese.

Secondo l’italosvedese Christian Di Schiena, nato e cresciuto in Svezia, è propria la mentalità svedese a determinare il successo della strategia di Tegnell. “Siamo un popolo che si conforma alle regole, l’intera società si basa sulla fiducia”, spiega. Inoltre diverse caratteristiche della società svedese favoriscono la strategia scelta da Tegnell, per esempio l’elevatissimo numero di persone che vivono da sole, il fatto che pochissimi adulti vivono con i genitori o con i nonni, l’abitudine di salutarsi senza baci e abbracci. Insomma, c’è molto più distanza fra le persone che in paesi come l’Italia o la Spagna.

Anche se la maggior parte degli svedesi appoggia la strategia del governo, le critiche continuano a farsi sentire, in particolare sui social network. Secondo il giornalista Uffe Berggren però, sono voci isolate. Berggren è rimasto colpito dal modo di comunicare di Tegnell: “Risponde ai giornalisti in modo autorevole, basandosi sempre sui fatti, facendo riferimento a dati scientificamente provati. È molto rassicurante”.

26.2.20

Lo stato d’eccezione provocato da un’emergenza immotivata

Coronavirus. La paura dell’epidemia offre sfogo al panico, e in nome della sicurezza si accettano misure che limitano gravemente la libertà giustificando lo stato d’eccezione
 
 Giorgio Agamben (il manifesto)

Di fronte alle frenetiche, irrazionali e del tutto immotivate misure di emergenza per una supposta epidemia dovuta al virus corona, occorre partire dalle dichiarazioni del Cnr, secondo le quali “non c’è un’epidemia di Sars-CoV2 in Italia”.
Non solo. Comunque “l’infezione, dai dati epidemiologici oggi disponibili su decine di migliaia di casi, causa sintomi lievi/moderati (una specie di influenza) nell’80-90% dei casi. Nel 10-15% può svilupparsi una polmonite, il cui decorso è però benigno in assoluta maggioranza. Si calcola che solo il 4% dei pazienti richieda ricovero in terapia intensiva”.
Se questa è la situazione reale, perché i media e le autorità si adoperano per diffondere un clima di panico, provocando un vero e proprio stato di eccezione, con gravi limitazione dei movimenti e una sospensione del normale funzionamento delle condizioni di vita e di lavoro in intere regioni?
Due fattori possono concorrere a spiegare un comportamento così sproporzionato.
Innanzitutto si manifesta ancora una volta la tendenza crescente a usare lo stato di eccezione come paradigma normale di governo. Il decreto-legge subito approvato dal governo “per ragioni di igiene e di sicurezza pubblica” si risolve infatti in una vera e propria militarizzazione “dei comuni e delle aree nei quali risulta positiva almeno una persona per la quale non si conosce la fonte di trasmissione o comunque nei quali vi è un caso non riconducibile ad una persona proveniente da un’area già interessata dal contagio di virus”.
Una formula cosi vaga e indeterminata permetterà di estendere rapidamente lo stato di eccezione in tutte le regioni, poiché è quasi impossibile che degli altri casi non si verifichino altrove.
Si considerino le gravi limitazioni della libertà previste dal decreto:
  1. divieto di allontanamento dal comune o dall’area interessata da parte di tutti gli individui comunque presenti nel comune o nell’area;
  2. divieto di accesso al comune o all’area interessata;
  3. sospensione di manifestazioni o iniziative di qualsiasi natura, di eventi e di ogni forma di riunione in un luogo pubblico o privato, anche di carattere culturale, ludico, sportivo e religioso, anche se svolti in luoghi chiusi aperti al pubblico;
  4. sospensione dei servizi educativi dell’infanzia e delle scuole di ogni ordine e grado, nonché della frequenza delle attività scolastiche e di formazione superiore, salvo le attività formative svolte a distanza;
  5. sospensione dei servizi di apertura al pubblico dei musei e degli altri istituti e luoghi della cultura di cui all’articolo 101 del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, nonché l’efficacia delle disposizioni regolamentari sull’accesso libero e gratuito a tali istituti e luoghi;
  6. sospensione di ogni viaggio d’istruzione, sia sul territorio nazionale sia estero;
  7. sospensione delle procedure concorsuali e delle attività degli uffici pubblici, fatta salva l’erogazione dei servizi essenziali e di pubblica utilità;
  8. applicazione della misura della quarantena con sorveglianza attiva fra gli individui che hanno avuto contatti stretti con casi confermati di malattia infettiva diffusa.
La sproporzione di fronte a quella che secondo il Cnr è una normale influenza, non molto dissimile da quelle ogni anno ricorrenti, salta agli occhi.
Si direbbe che esaurito il terrorismo come causa di provvedimenti d’eccezione, l’invenzione di un’epidemia possa offrire il pretesto ideale per ampliarli oltre ogni limite.
L’altro fattore, non meno inquietante, è lo stato di paura che in questi anni si è evidentemente diffuso nelle coscienze degli individui e che si traduce in un vero e proprio bisogno di stati di panico collettivo, al quale l’epidemia offre ancora una volta il pretesto ideale.
Così, in un perverso circolo vizioso, la limitazione della libertà imposta dai governi viene accettata in nome di un desiderio di sicurezza che è stato indotto dagli stessi governi che ora intervengono per soddisfarlo.