di Barbara Spinelli
Non so se sia giusto guardare e riguardare in un video quel che abbiamo visto nelle ultime ore: Giuliana Sgrena imprigionata dai terroristi in una cella con pareti bianche senza finestre, umiliata, dimagrita, i capelli in disordine, spaventata a morte, gli occhi sgranati sulla notte in cui è stata gettata. Non so quanto quelle immagini servano alla sua sopravvivenza, anche se sembrano fornir la prova che è viva. Il film del suo denudamento e del suo strazio è un calice d'ebbrezza offerto ai sequestratori terroristi, dilata il piacere speciale che essi traggono dal filmare la vittima e diffondere il volto e le mani imploranti di una Giuliana così forte ieri, così sfigurata e supplicante oggi. Questo è così insopportabile e torvo, nella diffusione del film e in noi che lo coviamo con occhi disperatamente avidi, ma pur sempre avidi.
È un piacere di duplice natura, quello dei terroristi. Da una parte essi possono compiacersi del potere senza confini che possiedono sull'animo d'un essere umano, e in particolare su una donna che sanno indipendente: un animo che vogliono mostrare di saper plasmare a piacimento, e che stanno degradando a grumo di sofferenza e lacrime. Dall'altro vedono noi tutti - padre, madre, fratello, uomo di Giuliana; e sullo sfondo noi cittadini e i politici italiani - che assistiamo impietriti, e abbiamo l'impressione d'un nulla trionfante, e siamo come complici di questo nulla fatto d'impotenza e non-pensiero. Nulla ha senso in quel che vediamo, se si considera che Giuliana era contro la guerra in Iraq ben prima della cattura. Nulla ha senso nel litigio tra politici sulle nostre truppe in Iraq, se ragioniamo serbando nella memoria tracce di quel filmato. Il film stesso è figura del nulla, verso cui tendono i mujahiddin-carcerieri e dentro cui precipitiamo tutti noi che procuriamo ebbro tumulto nei sequestratori, accettando di guardare la loro pornografia del terrore.
Comunque ora siamo di fronte al video, e con esso dobbiamo fare i conti provando nonostante tutto a pensare e capire, pur non giustificando. È una sensazione che non conoscemmo quando rapirono Moro, e leggevamo lettere e implorazioni scritte su fogli. L’irruzione di video trasmessi nel pianeta introduce un elemento d'intimità del tutto inerme, scardina l'ordine delle cose, le tramuta radicalmente. Osserviamo quel volto rimpicciolito, quelle mani che si torcono, quel sussulto di pianto, e tornano alla mente le immagini di Auschwitz. Giacché fu questo, Auschwitz: la degradazione dell'umanità, nell'uomo illimitatamente umiliato.
Se questo è un uomo. Se questa è una donna. Mentre Giuliana Sgrena supplica, non ci sono che le parole di Primo Levi, che possano aiutare a non perdersi nel nulla e a comprendere qualche scheggia del reale. Chi è stato ridotto così non pensa che a prolungare il giorno: «Oggi e qui, nostro scopo è di arrivare a primavera, e tutto è grigio intorno e noi siamo grigi». Il prigioniero si trova intruso in ambienti sconosciuti, intorno tutto gli è nemico. In quelle condizioni, «il primo ufficio dell'uomo è perseguire i suoi scopi con mezzi idonei, e chi sbaglia paga». La notte «è tale, che si conobbe che gli occhi umani non avrebbero dovuto assistervi e sopravvivere».
Ridotto a «merce di dozzina», ecco l'uomo: «In viaggio verso il nulla, in viaggio all'ingiù, verso il fondo». Se parlo di Auschwitz, è perché Giuliana Sgrena è oggetto di un crimine speciale: il crimine contro l'umanità, che annienta nell'uomo quel che di lui ancor ieri conoscevamo.
Tutto questo Giuliana Sgrena immagino lo sappia. Da quel che so di lei lo sapeva fin da quando condannò, in Algeria, un terrorismo cui essa stessa diede il nome di crimine, imprescrittibile, contro l'umanità. Ma conoscendo Giuliana so che il messaggio non è solo questo. Quel che ha scritto, quel che dice la sua attività di indagatrice del Manifesto in Iraq, è la sciagura seminata dalla guerra in Iraq, oltre al male assoluto imputabile agli integralisti violenti e al particolare odio che essi nutrono verso la donna, emblema dell'individuo libero. È il male di una guerra che ha dilatato l'accanimento granitico e la forza logistica del terrorismo in nome di Dio, e che dunque non è stata solo premessa necessaria anche se dolorosa delle elezioni irachene.
Ci sono momenti storici di svolta che individuiamo noi, e ce ne sono altri che son visti da altri occhi, altri animi. Per noi l'ora della svolta è nelle elezioni del gennaio 2005. Per un numero enorme di iracheni e musulmani il punto di svolta, di krìsis, è un altro: è nel maggio 2004, quando sugli schermi mondiali si vide la mortificazione sprezzante d'un popolo e d'una religione nelle prigioni di Abu Ghraib. Giuliana Sgrena ne parla nel video - anche se sembra recitare a precipizio un copione - ma ha descritto l'evento già prima, quando fece parlare le donne torturate e violentate da carcerieri occidentali. Noi tendiamo a scordare quel momento, in cui i coalizzati (compresi i soldati italiani, pur non coinvolti in torture) furono visti come occupanti e aguzzini. Tanti, troppi iracheni non lo dimenticano, e non lo dimenticheranno.
Questo non significa che l’agire dei terroristi sia giustificato, e neppure comprensibile: nulla di quello che hanno fatto angloamericani e alleati può essere neanche lontanamente paragonato a un crimine che ricorda Auschwitz proprio perché non vede niente, non capisce niente, non considera niente quando degrada o uccide. Se qui si sottolinea l’importanza di Abu Ghraib per molti iracheni è per penetrare una follia che si potrà nel futuro estirpare o addomesticare, a condizione di sfruttarne gli interni meccanismi.
La verità che Giuliana Sgrena ha cercato non possiamo far finta che non esista nella sua essenza complicata. È la verità d'un integralismo che non esita a commettere crimini contro l'umanità. Ma al tempo stesso - e senza assolutamente mettere sullo stesso piano soldati occidentali e terroristi - è la verità di eserciti di occupazione che stanno facilitando la democrazia ma che accrescono al contempo la febbre del crimine nel cuore dell’Iraq non ancora sovrano. Su tutto questo val la pena cominciare a pensare, in maniera intransigente verso i carnefici ma non semplificante. Siamo di fronte a una tragedia, e trovare il sentiero stretto che tenga conto della profondità del male e delle ragioni che esso pretende accampare è così difficile. Ma quel che è difficile va sempre di nuovo tentato, con la mente e con l’azione, se non vogliamo diventare noi stessi comparse del video che tanto diletta i carcerieri di Giuliana Sgrena.
http://www.lastampa.it/redazione/editoriali/ngeditoriale1.asp
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