Vita moderna Le logiche del capitale in «The Beginning of History. Value Struggles and Global Capital», un libro di Massimo De Angelis per Pluto press
Massimiliano Tomba
La letteratura più avveduta considera ormai l'accumulazione originaria non come uno stadio relegabile alla protostoria del modo di produzione capitalistico, ma come basso continuo di tutta la sua storia, anche contemporanea. La questione è da un lato individuare i nuovi modi di accumulazione, dall'altro mostrare come diverse forme di sfruttamento si implicano reciprocamente: su questi due assi si articolano prospettive analitiche e politiche diverse. Confrontandosi con alcune delle più importanti interpretazioni del capitalismo contemporaneo il libro di Massimo De Angelis, The Beginning of History. Value Struggles and Global Capital (London, Pluto 2007) mette in luce come l'accumulazione di capitale sia sempre giocata contro una dimensione esterna, un outside, che non è solo sopravvivenza di aree non capitalistiche, perché viene invece costantemente prodotto dalle lotte di uomini e donne contro la separazione tra mezzi di produzione e condizioni di vita dei lavoratori e delle lavoratrici. Contro nuove e vecchie forme di enclosure. Le analisi di De Angelis mettono in discussione gli assunti della concezione postmodernista secondo la quale il capitalismo costituirebbe una sorta di sistema totale, senza più alcun esterno rispetto ad esso. Una concezione che dà luogo a una sorta di olismo del capitale, non diversa dall'immagine della fantasmagoria delineata da Marx nel celebre capitolo del Capitale sul feticismo. De Angelis prende invece le mosse dal capitale come insieme di rapporti di produzione e come rapporto con il suo altro. Con un outside, appunto, che è risultato di una pratica comune, non solo sottrazione, ma interruzione della temporalità del valore: temporalità di atti creativi ed esperienza soggettiva della trasformazione. Un'alterità che incessantemente si produce e che il capitale, altrettanto incessantemente, cerca di sussumere. Considerando il modo di produzione capitalistico non secondo un'unica linea temporale, le enclosures vengono lette da De Angelis come «una caratteristica continua della logica del capitale». Compito primario dell'analisi è quindi cogliere la funzione centrale delle nuove forme di enclosure nel capitalismo globalizzato. Sia chiaro: questo non significa pensare - secondo una immagine ancora postmodernista - che le più diverse forme di sfruttamento e di insorgenza del lavoro vivo coesistano indifferentemente l'una accanto all'altra in una sorta di esposizione universale delle forme di sussunzione. Quella che deve essere indagata è, piuttosto, «l'articolazione globale di una molteplicità di tecniche e strategie: dallo schiavismo al lavoro salariato, dal lavoro non pagato di riproduzione al lavoro temporaneo post-fordista», dalle produzioni nel cosiddetto terzo mondo alle produzioni del capitalismo high-tech. Una politica di liberazione deve oggi affrontare l'articolazione di queste diverse tipologie nella gerarchia globale dei salari e delle forme di sfruttamento. Non solo il mondo non è una superficie omogenea di forme equivalenti, ma una politica di emancipazione deve seriamente porsi il problema del «superamento di questa articolazione, che tende a dividere la società globale» e a metterne in competizione i diversi segmenti. Importante diventa allora la questione di uno spazio che renda possibili concrete pratiche soggettive, capaci di costituirsi comel'outside del capitale. L'attenzione di De Angelis si sposta con ciò alle nuove forme di insorgenza, cercando di coglierne l'elemento comune. Il conatus verso l'auto-conservazione può fungere da collettore. Permette forse di trovare un punto di convergenza tra lotte oggi ancora nefastamente contrapposte come le lotte per la difesa dell'ambiente e quelle del lavoro, là dove invece proprio la questione delle nuove e vecchie forme di nocività legate al lavoro impone di riarticolare battaglie concrete contro la nocività dentro e fuori ai luoghi di lavoro. Il martello dell'industrializzazione, per usare un'immagine di Joel Kovel (The Enemy of Nature: The End of Capitalism or the End of the World?, Zed Books, 2002) devasta anche la natura umana, assorbendo il tempo di vita nel tempo di lavoro. Sempre più figure lavorative, precarie e non, sono costrette a subire una sempre maggiore indistinzione tra tempo di vita e tempo di lavoro. Contemporaneamente anche le funzioni biologiche dell'essere umano sono diventate oggetto di enclosure: viene privatizzata l'acqua che dobbiamo bere e, in molte metropoli occidentali, siamo costretti a pagare per il privilegio di evacuarla.
ilmanifesto.it
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