28.5.08

Il nuovo conformismo che circonda il Cavaliere

di Emondo Berselli
dalla Repubblica del 26 maggio 2008.

Gli scontri di Napoli testimoniano che il miracolo non è ancora avvenuto, e che la realtà è refrattaria a conformarsi al clima saccarinoso seguito all’insediamento del Governo Berlusconi e al primo Consiglio dei Ministri sotto il Vesuvio. Con un normale esercizio critico, si può ragionevolmente sostenere che la tonalità generale dell’Italia contemporanea non è certo rappresentata dagli spettrali raid contro i campi nomadi di Ponticelli.Né dalle aggressioni a sfondo più o meno xenofobo, dall'insurrezione antimigratoria. Ma neppure è rappresentata dal clima della luna di miele con il nuovo esecutivo e con il nuovo Berlusconi, lo "statista".Negli ultimi giorni si è assistito a un fenomeno non sorprendente ma comunque straordinario di conformismo verso il nuovo potere.In certi momenti, come all' ultima assemblea generale della Confindustria, è sembrato addirittura che l'attuazione del programma del centrodestra fosse soltanto una formalità, e che Silvio Berlusconi e i suoi ministri meritassero un consenso corale, nel nome delle centrali nucleari, della guerra ai fannulloni e della crescita.Ma questa non è la realtà. Questa è una rappresentazione ideologica, forse un miraggio suscitato dalle aspettative di quella opinione pubblica che ha assaporato il dolce calice della vittoria del Pdl e della Lega, e ora comincia a osservare con romanticismo i primi risultati del nuovo governo. È vero che nelle settimane dopo il 13-14 aprile sono stati sparsi interi turiboli di incenso per celebrare la liturgia del grande ritorno.Ma questa cerimonia andrebbe catalogata sotto l'ineffabile amore di buona parte delle élite italiane per qualsiasi potere, purché forte e spregiudicato: quell'amore che induce i membri dell'establishment a clamorose virate intellettuali (vedi quella del passaggio dal dogma delle privatizzazioni, delle liberalizzazioni e delle "agende Giavazzi" al neoprotezionismo, e alla globalizzazione "regolata", simboleggiate probabilmente dalla candidatura del capo dei tassisti romani e dalla cordata nazionalista per l'Alitalia).Va da sé che non tutti gli uomini politici e le figure di potere possiedono l'auto-stima che fa dire a Massimo D'Alema, a proposito del ministro dell'economia Giulio Tremonti: «E’ un pensatore neo-conservatore, peraltro modesto». Ma perlomeno sarebbe utile se nel Pd emergesse qualche giudizio critico, e criticamente motivato, sulle prime mosse del governo.Perché non è affatto detto che il tema supremo delle riforme istituzionali sia un totem a cui sacrificare anche una dettagliata linea di giudizio. Fra l'altro, non è chiarissimo con quali idee, al di là del reperto della "bozza Violante", il Pd affronti la discussione del rifacimento costituzionale: e non è detto che l'elettorato del centrosinistra condivida integralmente i pilastri del riformismo veltroniano (un ventaglio che sembra prevedere forme di presidenzialismo e si spinge verso configurazioni di federalismo fiscale): tanto per dire, può essere che settori non insignificanti apprezzino invece modalità di governo neoparlamentare, sebbene finora nessuno ne abbia discusso apertamente.Inoltre, sarà superfluo sottolineare le possibili trappole dell'iter di riforma istituzionale: che prevedono la possibilità di essere ricacciati nel ghetto riservato all'opposizione disfattista e sabotatrice, nel caso disgraziato che le riforme della maggioranza non piacciano alla minoranza ovvero che un accordo non si trovi. E sarà inutile anche segnalare che l'accusa di disfattismo arriverà puntualmente non appena si passerà a iniziative di governo più consistenti, dopo i "primi passi", le "prime mosse", i segnali mandati, le misure sperimentali (come per l'appunto i discutibilissimi e poco discussi provvedimenti sull'Ici e sulla parziale nonché bizzarramente selettiva detassazione degli straordinari).In sostanza, la scena politica appare amorfa perché un'ondata di consenso aprioristico, in genere non condizionato dalla verifica dei risultati attesi, si è riversata sul centrodestra.Un consenso "a prescindere", come se la società italiana, dopo essersi faticosamente misurata con il berlusconismo per quindici anni, di fronte al Berlusconi statista, al politico improvvisamente consapevole delle difficoltà e moderato negli intenti, avesse deciso che non aspettava altro, che quella destra era la coperta migliore per il paese, tale da aderire confortevolmente a tutte le sue pieghe: una specie di andreottismo screziato di prudente decisionismo, una Dc senza i preti, ma che comprende l'interclassismo a cui allude Maurizio Sacconi, in cui si sentono echi di Mitbestimmung tedesca, con i sindacati nei consigli d'amministrazione e la fine di qualsiasi conflitto redistributivo: Pax vobiscum, nel senso di una pace sociale garantita da un potere politico senza alternative.Rispondere a questo pacchetto ideologico è difficile, perché in realtà il cosiddetto interclassismo prospetta un 'economia corporata, che integra organicamente gli interessi di categoria, a cui chiede voti offrendo protezione, cioè riducendo la concorrenza e tutelando le rendite diposizione.Di per sé, si tratta di una notevole antitesi al profilo di una società liberale. Ma anche senza ipotecare un giudizio filosoficamente negativo, anche sfuggendo ai pregiudizi e valutando soltanto i fatti, ci vorrebbe comunque da sinistra un buon esorcista, per dissolvere la magia del consenso a tutti i costi e del conformismo generale.Perché con ogni probabilità ci sarà da condurre una battaglia impopolare contro l'idea irresistibile che viviamo nel migliore dei mondi possibili, e in cui l'unico atteggiamento civile è l'applauso.Per questa battaglia, il governo ombra va bene, un'opposizione costruttiva va benissimo, ma una cultura, un progetto condiviso, cioè un'ipotesi di società desiderabile alternativa a quella di Berlusconi e soci, andrebbe anche meglio.
ilbarbieredellasera

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