Seconda puntata
Nello stabilimento gioiello della Fiat si «tira» per  reggere i ritmi del Tmc2. Ma la cocaina detta anche tutti i tempi della vita e  permette un commercio che per molti consumatori si trasforma in un bel  business 
Loris Campetti
Melfi (Potenza)
All'inizio era il «prato verde», messi di grano a perdita  d'occhio nella straordinaria piana di San Nicola. Il grano ha lasciato il posto  allo stabilimento Fiat-Sata di Melfi e la collina che si arrampica verso il  paese è ferita da una strada costruita tutta in sopraelevata. Quando venne  inaugurata la fabbrica, nel '94, speranze di emancipazione e retorica  postdemocristiana si mescolarono in una narrazione inedita in questa terra  lucana: arriva il capitalismo serio, si può uscire da una povertà contadina  dominata per decenni dal paternalismo di Emilio Colombo. Arriva l'industria,  arriva il progresso. Il vecchio applaudiva al passaggio dei nuovi padrini:  «Romito, salutateci Agnello», aveva scritto su un cartello ripreso da cento  telecamere e alla Fiat veniva concesso tutto, dalla deroga al divieto del lavoro  notturno per le donne a una rivisitata forma di gabbie salariali che  condannavano i futuri operai a guadagnare meno dei loro compagni di Mirafiori e  a lavorare di più.
«Prato verde» chiamarono lo stabilimento di San Nicola.  Perché nasceva dal nulla (il grano, si sa, è nulla) e nell'assenza di memoria  dell'industria e del conflitto. Ci sono voluti 10 anni esatti perché gli operai  di Melfi esplodessero decretando la fine della pace sociale, per 21 giorni  bloccarono i cancelli, ressero alle cariche della polizia e ruppero un  isolamento che inutilmente, in tanti nella politica, nei media e persino nei  sindacati avevano cercato di costruire intorno ai nuovi briganti in tuta blu.  Vinsero, con il sostegno quasi solitario della Fiom, diventarono maggiorenni  conquistando diritti che altri, in altre stagioni, avevano conquistato e che  ora, tutti insieme, rischiano di perdere di nuovo.
Quasi 15 anni dopo la  nascita, Melfi è uno degli stabilimenti di punta della Fiat. 5.300 dipendenti  diretti, 10 mila con l'indotto. Gli operai arrivano a San Nicola ogni mattina,  pomeriggio e notte da tutti i paesi della Basilicata, dal nord della Puglia e in  parte dalla Campania. Ore e ore di pullman o di macchina, centinaia di incidenti  stradali con tanti morti e feriti accumulati in 15 anni di pendolariato. Anche  qui, come alla Sevel in Val di Sangro, lavora una classe operaia molto giovane  che spesso non riesce a reggere i ritmi ossessivi della fabbrica modello, come  testimonia un turnover molto alto. Anche qui, come alla Sevel, impazza la  cocaina. Mentre ci lasciamo alle spalle la piana e il paese viaggiando verso  Potenza, un delegato Fiom senza nome ci racconta la «normalita» del consumo e  dello spaccio lungo le linee di montaggio - pardon, le Ute, un acronimo che sta  per Unità produttive elementari che viaggiano sui ritmi della famigerata metrica  Tmc2, responsabile di strappi, ernie, tunnel carpali, tendiniti. «La cocaina  circola in fabbrica dall'inizio, ma solo da pochi anni ha assunto dimensioni di  massa. Un carrellista che lavora nella mia Ute vende una quantità di dosi  incredibili agli altri operai, ai capi, ai vigilanti che tirano da matti, alle  donne. Lo spaccio è quotidiano come il consumo, ma il venerdì e prima delle  vacanze il volume degli affari va alle stelle perché vengono acquistate le dosi  per il sabato sera in discoteca, o per le ferie. Il mio amico carrellista prima  di Natale ha tirato su 15 mila euro, in poco tempo si è fatto casa». Ci si droga  anche dentro la fabbrica? «Gli operai - risponde - si fanno durante le pause, li  riconosci perché riprendono il lavoro eccitati, tirano su col naso, è una specie  di tic, e per una mezz'ora producono come pazzi, poi si danno una calmata.  All'inizio sono solo consumatori saltuari, ma quando prendono il vizio si  trasformano in piccoli spacciatori per pagarsi la dose. Le canne se le fanno  direttamente sulla Ute: sentissi che profumo...».
Droga di sostegno
I  prezzi della cocaina si aggirano tra i 70 e i 100 euro a grammo, i soliti 20-25  euro a quartino. Arriva soprattutto da Foggia portata dai soliti camionisti che  riforniscono la fabbrica di pezzi, componenti e sogni di gloria, o di fuga che  dir si voglia. «C'è anche qualcuno che si buca - continua il racconto del nostro  amico delegato - e spesso viene aiutato dall'azienda a recarsi qualche periodo  in comunità per tentare di disintossicarsi». Perché si drogano? «Anni di lavoro  in questa fabbrica ti spompano. Il ritmo è stressante, i viaggi quotidiani per  raggiungere o lasciare il lavoro fanno il resto e la vita nei paesi è banale,  noiosa. C'è chi si fa per reggere lo stress, ma spesso le motivazioni sono  altre: per stare bene con gli amici, per stare bene con la moglie o il marito.  Molti si portano la coca a casa e fanno sniffare anche la moglie per scopare  meglio». Vuol dire che con gli amici si sta male senza farsi? E che non si  riesce a divertirsi in discoteca o a letto senza l'uso di cocaina? Il delegato  scuote le spalle, e va avanti nel suo racconto. Insiste sul legame con il sesso:  «Quando tirano, anche in fabbrica, non li ferma più nessuno. Qui si dice  «inculare la formica» quando sei preso dal raptus e ti senti Rambo, e succede  che il tuo compagno di lavoro, un po' per gioco e un po' no, venga a toccarti il  culo, non avendo una donna a portata di mano». Tra i consumatori ci sono anche  iscritti al sindacato? «Ce ne sono, ce ne sono. Anche delegati. Uno dell'Ugl è  stato anche bastonato perché era in ritardo con il pagamento allo spacciatore. I  delegati Fiom? Qualche spinello, quello tutti. Sì, qualcuno usa anche la  cocaina. La maggior parte dei consumatori - cambia discorso - è sposato e ha  figli». Qual è la percentuale dei cocainomani? «C'è chi dice il 40%, chi  corregge la cifra al rialzo: uno su due».
Stress, noia, sesso, voglia di  essere diverso anche se poi finisce che sei esattamente uguale a tutti gli altri  tuoi coetanei. «Di notte c'è meno controllo ma si sniffa in tutti i turni. In  questa fabbrica si può comprare fumo, coca, eroina ma anche perizoma,  canottiere, elettrodomestici. Tutti sanno nessuno parla. Per paura, per  convenienza, per quieto vivere». In realtà c'è chi parla: i blitz dell'antidroga  fuori dai cancelli, sui piazzali dello stabilimento, finiscono spesso con  arresti, dunque le spiate non mancano. Chi viene pizzicato con le mani nella  farina viene spinto dall'azienda a dimettersi, oppure viene degradato e spostato  in altre unità, «è successo recentemente a un quarto livello del montaggio».  Dalla lotta vittoriosa dei 21 giorni, Michele è assessore di Rifondazione alle  politiche sociali della provincia di Potenza, in distacco dalla Fiat di Melfi  dove fa l'operaio: «Ho assistito personalmente - ci racconta - all'arresto di  due operai sul pullman che ci riportava al paese dopo il turno di notte: sono  saliti in tre, uno in borghese dalla porta davanti e due in divisa da quella  posteriore per bloccare le uscite e sono andati a colpo sicuro mettendo le  manette a due operai, direttamente sul pullman. Per fortuna quella volta non  avevano roba con sé e sono stati rilasciati». In qualche caso, però, scatta il  licenziamento ma sempre con motivazioni diverse: «Due ragazzi - ci racconta  l'avvocato Lina Grosso che segue le cause di lavoro per la Fiom - sono stati  licenziati per assenza ingiustificata, ma è noto che si trattava di due  tossicodipendenti. Noi avviamo la procedura ma in questi casi la Fiat punta  sempre a monetizzare, offrendo soldi a chi di soldi ha bisogno come il pane, pur  di non arrivare a sentenza. Per noi è difficile convincere questi ragazzi a non  accettare l'offerta, anche perché non abbiamo alcuna certezza di vincere la  causa». E questo è uno dei tanti problemi a Melfi, dove le procedure d'urgenza  (il 700 contro i licenziamenti) durano mesi e mesi e le sentenze, quando ci si  arriva, rarissimamente sono a favore del sindacato. «C'è invece il caso di un  altro operaio, dipendente da alcol, che l'azienda metteva regolarmente in  postazioni per lui insostenibili. Una volta chiese di poter uscire per andare in  ospedale perché stava male. Lo bloccarono più volte finché non riuscì a scappare  determinando momenti di forte tensione. Fuggì in automobile dopo una  colluttazione con due capi in stato confusionale ed ebbe un incidente d'auto.  L'azienda l'ha licenziato e noi abbiamo fatto causa. Abbiamo perso in primo  grado e siamo andati in appello, anche perché una perizia medica ha stabilito  che non era in grado di intendere e di volere per cui non è stato condannato in  sede penale. Dopo una seconda perizia che ha confermato la prima, la Fiat ha  proposto la transazione, cioè la monetizzazione per non arrivare a sentenza. Il  nostro assistito non ha accettato e ora aspettiamo il verdetto del giudice».  Finalmente, all'inizio della settimana è avvenuta una cosa che ha ridato qualche  speranza all'ufficio legale della Fiom: il giudice di melfi ha accolto il  ricorso contro il licenziamento di un operaio Sata, Michele Passannante, «senza  giusta causa», dopo l'apertura di un'inchiesta giudiziaria in cui è indagato per  una presunta appartenenza all'area del terrorismo. Ora la Fiat dovrà riaprirgli  le porte della fabbrica e pagargli gli stipendi arretrati.
Un'emergenza che  dilaga
La Regione Basilicata si occupa della Fiat di Melfi dal giorno della  sua apertura, e lo fa manifestando talvolta un certo grado di autonomia rispetto  allo strapotere esercitato nel territorio dalla multinazionale torinese. Ha  attivato incheste («magari la Procura fosse altrettanto attiva», ci dicono gli  avvocati che difendono gli operai) sul mutamento della vita nei paesi in cui  vivono i dipendenti Sata e dell'indotto, sugli infortuni stradali stradali  legati al pendolarismo, sul mobbing. La Regione si è occupata anche di  tossicodipenza in fabbrica. In particolare c'è un'inchiesta curata dall'equipe  della Cooperativa Marcella sulla percezione delle droghe da parte dei lavoratori  dell'area industriale di Melfi: «Tutti sono concordi nell'affermare che l'uso  delle sostanze è gravemente nocivo per la salute», pur ritenendo che alcune,  come le droghe leggere, possano aumentare la capacità lavorativa e insieme a  quelle sintetiche migliorino la resistenza alla fatica, a differenza di alcol e  psicofarmaci. In molti pensano che l'uso di droghe pesanti e sintetiche facciano  correre rischi all'interessato e ai compagni di lavoro. Sono al corrente del  consumo crescente di droghe in fabbrica, o per conoscenza diretta, o per lo  spaccio evidente, le siringhe abbandonate, i furti, l'eccesso di assenze per  malattia, qualche episodio di violenza. Solo il 21% degli intervistati esclude  che nella sua azienda si consumino sostanze stupefacenti. Un dato allarmante su  cui riflettere è segnalato da un intervistato su due: chi si fa si infortuna di  più. Il 50% sostiene che chi si droga è «una persona normale».
L'altro dato  che non deve sorprendere è che il consumatore «non si ritiene tossicodipendente»  (44,9%). Per il 77,3% del campione, infine, «le imprese dovrebbero avere un  programma di lotta contro la droga».
Qualche mese fa, nel terzo stabilimento  meridionale della Fiat per importanza, quello di Cassino, fu realizzato un video  con un operaio intervistato di spalle che raccontava il consumo di droga durante  il turno di notte. Diceva molte verità, e proponeva qualche certezza di troppo e  troppo politicamente corrette: ci si fa di cocaina solo per resistere a un  lavoro altrimenti insopportabile. E' così, ma non è solo così. Ne parleremo  nelle prossime puntate. Finora abbiamo indagato solo grandi fabbriche  metalmeccaniche, anzi Fiat, perché è più facile stabilirvi relazioni e perché il  tasso di vent'enni è altissimo. Non si creda però che si tratti di un fenomeno  circoscritto a queste realtà. In tutti i settori dell'industria e dei servizi il  consumo della cocaina è drammaticamente alto e crescente. Lo è nei lavori  faticosi, come nell'edilizia, nei lavori ripetitivi, in quelli che prevedono il  rapporto con il pubblico. Lo è soprattutto tra i giovani e i precari. C'è chi  pensa che ci sia un rapporto tra la diffusione delle droghe e la riduzione dei  conflitti sul lavoro. Ipotesi, naturalmente, tutte da verificare.
ilmanifesto.it
 
 
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