19.9.08

Un intervento di Tullio De Mauro

Tratto da INTERNAZIONALE n. 762, 19 settembre 2008

FRANCESCO DE SANCTIS non fu solo un grande studioso di letteratura. A due riprese gli toccò il compito di ministro della pubblica istruzione. E sapeva bene cosa intendeva la volta che, scoraggiato, esclamò: "Chi parla di scuola in Italia è condannato all'eternità". Un secolo e mezzo dopo bisogna dire che questo non è più interamente vero. Vediamo perché.

Nell'enorme apparato dell'istruzione vi sono segmenti che negli ultimi quarant'anni hanno conosciuto un rinnovamento profondo con esiti positivi oggettivamente misurabili.

Il succo delle idee pedagogiche di Giuseppe Lombardo Radice, affidato nel 1913 alle sue Lezioni di didattica, e il confronto con le migliori scuole primarie di altri paesi hanno ispirato tra gli anni sessanta e ottanta un movimento di idee e di esperienze che si è tradotto nel 1985 in una radicale revisione dei programmi della scuola elementare, dei suoi metodi didattici e dell' organizzazione del lavoro. Fu merito del ministro Franca Falcucci evitare che tutto ciò restasse sulla carta e realizzare un aggiornamento a tappeto di tutti i già bravi insegnanti elementari. il risultato è scritto nelle indagini comparative internazionali: in uscita dalla scuola elementare gli alunni e le alunne delle nostre elementari si collocano per bravura ai primi posti nel mondo, tra i top ten e, talora, tra i top five. I provvedimenti restrittivi dell'attuale ministro rischiano di compromettere questi risultati, ma maestre e maestri hanno tutta l'aria di sapere comunque continuare sulla loro strada.

Ma questo è dir poco, se non si tiene conto del fatto che ancora negli anni cinquanta la maggioranza della popolazione adulta, il 59,2 per cento, non aveva la licenza elementare. Nei nostri anni la scuola elementare ha saputo diventare la scuola del 100 per cento delle bambine e dei bambini e ciò in stretto legame con il profondo rinnovamento dei contenuti e dei metodi.

Modello planetario

L'espansione quantitativa delle elementari e il loro successo si legano a due altri fatti innovativi e positivi. La scuola prevalementare pubblica, statale e comunale, dagli anni sessanta in poi ha fatto grandi passi in avanti nel suo progressivo diffondersi, accanto alle scuole private religiose. Documenti importanti ne hanno regolato la vita. L'organizzazione delle scuole dell'infanzia di Reggio Emilia, progettate da un uomo geniale, Loris Malaguzzi, si è imposta come un modello da seguire, un modello di riconosciuta eccellenza planetaria. Generalizzare del tutto la scuola dell'infanzia resta un obiettivo, pur non lontano, ancora da raggiungere. Ma, rispetto a cento o cinquanta anni fa, il salto in positivo è stato enorme e in molte parti d'Italia ha spianato la via alla scuola elementare.

Altro grande fatto innovativo, che De Sanctis non poteva immaginare, è stato l'allineamento all'Europa nel creare una scuola di base unitaria per "almeno otto anni". Nel 1939 questo era stato un progetto già del ministro fascista Giuseppe Bottai, ma fu travolto dalla guerra. Nel 1948 la costituzione sancì gli "almeno otto anni" di istruzione. Dovettero passare quindici anni perché la media unificata decollasse e altri quindici perché nuovi programmi la mettessero all'altezza dei suoi compiti nuovi di scuola di tutte e tutti. Mancò e manca tuttavia un riassetto della formazione degli insegnanti pari a quello conosciuto nelle elementari. Si stima che tra il 18 e il 25 per cento dei ragazzi che terminano le medie inferiori abbia gravi lacune e, in aggiunta, una percentuale consistente non raggiunge la licenza media. Diversamente dalle scuole dell'infanzia e dalle elementari, la scuola media funziona a regime ridotto.

L'eternità di Francesco De Sanctis si riaffaccia e ci soffoca se si guarda alla scuola secondaria superiore. Qualcuno, per parere informato, parla di "scuola gentiliana". In realtà, la deep structure della secondaria fu concepita da studiosi e intellettuali liberali e socialisti ai primi del novecento. Giovanni Gentile, legato culturalmente a quei gruppi, ebbe la possibilità di tradurla in una riorganizzazione d'insieme durante il primo gabinetto Mussolini (1922-1925). Forse era una cattiva scuola, come con veemenza sostenne Antonio Gramsci nei Quaderni del carcere, destinata a perpetuare l'immobilità sociale del paese. Forse non era malvagia, come pensano i laudatores da pagina culturale. Certo era una scuola pensata per quelle percentuali esigue di popolazione che, raggiunto il tetto delle elementari, riuscivano a proseguire verso le secondarie: figli (più che figlie) dei ceti borghesi già istruiti. A questi si offrivano due canali: uno alto, i licei, e uno mediobasso, gli istituti tecnici.

I successori di Gentile, ritiratosi dopo il delitto Matteotti, provvidero subito a manomettere l'impianto gentiliano, cominciando a creare quel vero dedalo di opzioni e percorsi e diplomi di cui è incerto perfino il numero (1207) che caratterizza la secondaria superiore italiana. Qua e là singole sezioni e interi istituti, dal liceo Ariosto di Ferrara al Vittorio Emanuele di Palermo, dal Mamiani di Roma al Parini di Milano, sfruttando la concessione di sperimentazioni ammesse dagli anni ottanta, realizzano isole di eccellenza. Ma al di fuori di poche aree (Trento, Val d'Aosta) le indagini comparative internazionali e gli studi più attenti (come quelli di Giancarlo Gasperoni o Benedetto Vertecchi) segnalano la mancanza di uno standard decente nei risultati e cadute di livello che si vorrebbero dire inammissibili. Ma ci sono.

Il fatto è che le classi politiche che si sono succedute dal dopoguerra a oggi non hanno saputo mettere mano alla realizzazione di un ripensamento radicale di contenuti e metodi della scuola superiore. C'è una novella di Pirandello che mette in fila i verbali del consiglio comunale di Milocca in cui dal 1880 al 1930 si discusse di come portare l'energia elettrica nel comune senza mai portarla. La secondaria superiore è la Milocca della nostra scuola. Chi legge le denunce fatte dai primi del novecento sul pessimo stato d'insegnamenti e apprendimenti di matematica, italiano, latino, può cambiare le date e assumerle come documenti di oggi e condirle con i tristi numeri delle statistiche comparative internazionali che si succedono dal 1971 e che solo negli ultimi due o tre anni ottengono un po' d'attenzione nella stampa.

Tutto è cambiato dai primi del novecento: i saperi, le tecniche, le professioni, gli assetti sociali e produttivi. La Milocca liceale resta quella pensata cent'anni fa per i giovinetti di civil condizione. Ora finalmente è affollata, come nelle altre parti del mondo, dalla quasi totalità delle leve anagrafi che. Ma, diversamente che in altre parti del mondo, i ragazzi vengono da famiglie senza libri a casa per 1'80 per cento, senza abitudine alla lettura di libri e giornali per il 60 o 70 per cento, con gravi fenomeni di analfabetismo di ritorno per il 70 o 80 per cento. Spiegare a tutti Cartesio o gli integrali è una mission impossible. Non usciremo da Milocca senza renderci conto di ciò e senza porvi riparo, come avviene nel resto d'Europa, con un sistema nazionale di educazione degli adulti.

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